Perlé Bianco 2006, Ferrari

Arrivo ultimo dopo i grandi: i siti “importanti” questo Perlé Bianco lo hanno già recensito, forti dell’invito di casa Ferrari, che con varie degustazioni ha proposto in assaggio il vino a quelli che contano.

Nel mio piccolo, io la bottiglia la ho comperata e ne sono anche felice, visto che ritengo Ferrari la migliore casa spumantistica italiana by far, sia per la costanza qualitativa che per l’ottimo livello medio di tutta la gamma, sia per l’eccellenza dei vini di punta.

Detto questo, resta la curiosità irrefrenabile di assaggiare un vino nuovo, 100% Chardonnay, coltivato a 400-700 metri di quota e con affinamento di oltre 100 mesi sui lieviti.

Denominazione: Trento Doc Riserva
Vino: Perlé Bianco
Azienda: Ferrari
Anno: 2006
Prezzo: 35 euro

Alla vista è perfetto, con il suo paglierino vivo e luminoso, reso splendente dalle catenelle di un perlage da manuale, tanto è sottile e fitto.
Gli aromi sono intensi ma suadenti: spicca l’agrume (cedro) su un sottofondo di fiori bianchi, un accenno di talco, un ricordo iodato e uno zic di biscotti al burro (una sosta in legno? Pare di no).

In bocca arriva subito quello che apprezzo negli spumanti di Ferrari: l’equilibrio perfetto, che in questo caso si accompagna ad una complessità notevole, soprattutto senza cenno alcuno di fatica per il lungo affinamento.
Questo è un vino giovane, in cui freschezza e sapidità sono pronunciate (per fortuna) ma armonicamente bilanciate da un dosaggio tanto leggero (4,5 g/l) quanto decisivo.

Le bollicine non pungono, anzi sono una crema che regala un lieve massaggio al cavo orale, mentre il calore alcolico pressoché inavvertibile invita a nuovi sorsi; il finale è lungo, disteso e, come dubitarne, esente da qualsiasi scia amara.

Gran vino, e alla faccia di tutti coloro che dicono che certi paragoni non hanno senso e non si possono fare, io lo dico: questa bottiglia è a livello di ottimi champagne blanc de blancs di prezzo superiore.

Abbinamento? Quelli tipici da Metodo Classico: antipasti (Parmigiano, salumi), primi di pesce (risotto con gli scampi), magari anche qualche carne bianca.

Il bello: L’armonia complessiva

Il meno bello: Nulla da segnalare

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Dosaggio Zero Riserva 2010, Maso Martis: reprise e osservazioni bonus

Con tanti saluti ai punteggi, alle “degustazioni oggettive” e, certo, anche agli articoli dei blog (questo compreso).

Mi spiego: io neppure mi ricordavo di averlo bevuto questo Metodo Classico, e dopo averlo portato a casa, raffreddato, stappato e sbevucchiato, ho acceso il pc e mi son messo da bravo a buttare giù due righe poco entusiaste.
Verso la fine mi si è accesa una lampadina: vuoi vedere che..?
E in effetti si trattava di un prodotto già assaggiato e recensito, e persino in termini lusinghieri piuttosto divergenti dall’opinione suscitata questa volta…

Nulla da dimostrare, se non la mia vecchia convinzione che tutte le pippe che ci facciamo con il bicchiere roteante sono appunto questioni di lana caprina: ogni bottiglia ha una storia e una evoluzione diversa (in gran parte), e persino i nostri sensi sono soggetti a situazioni ben differenti (la stagione, la giornata in cui sei ben disposto o nervoso, il cibo con cui abbiniamo il vino, la salute eccetera).

Quindi nessuna recensione, comprese le mie affidate a queste pagine, hanno senso?
Non arrivo a tanto, ma di certo vanno prese per quello che sono: impressioni su quella specifica bottiglia in quel determinato momento secondo un singolo individuo, da cui si possono trarre alcune indicazioni ma non di certo verità bibliche.
E certo, mi azzardo a dire che le discussioni infinite per spaccare il capello tra un punteggio di 88 piuttosto che 90 sono da manicomio.

Per la cronaca, ecco quel che ho pensato del vino in questione:

Colore paglierino tenue, bolla estremamente sottile e fine. Al naso lievemente affumicato, molti fiori bianchi; preciso e piacevole.

In bocca la carbonica è un po’ pungente, ha bella acidità e struttura, ma il vino è scoordinato: soprattutto morde l’amaro che si avverte fin da subito e domina il sorso rendendolo monocorde e pesante.

Vino che non capisco: non so se è una bottiglia sfortunata o se sia in una fase complicata della sua vita.

Il bello: piacevole finezza olfattiva

Il meno bello: l’amaro domina incontrastato

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Perlé 2008, Ferrari

E allora diciamolo, che noi enofili da computer siamo degli snob mica da poco. Scrivo queste righe dopo aver provato a dare una occhiata a cosa dice “la rete” su un prodotto magari non di massa ma certo molto noto come il Ferrari Perlé (2008, nell’occasione).
Bene, un mezzo deserto: praticamente nessuno di noi bloggaroli e maniaci che si degni di perdere due minuti a vergare un parere, quando invece è facile leggere opinioni praticamente su tutto, dal vino macerato della Georgia ai Retzina dalla Grecia.

Ed è un peccato, perché per il mio modestissimo parere questa bottiglia, a questo prezzo, regge tranquillamente il confronto con molti metodo classico blasonati, d’oltralpe e non; semmai sconta il delitto di essere marchiata dallo stesso produttore che inonda la GDO con altri spumanti  (dignitosissimi, peraltro).

perleDenominazione: Trento DOC
Vino: Perlé
Azienda: Ferrari
Anno: 2008
Prezzo: 25 euro

Quindi come lo descriviamo questo vino?
E’ metodo classico importante, giallo paglierino carico, ricco di sfumature tostate in primis, ma anche di agrume e di panificazione.
La bolla è giustamente nervosa e decisa, e l’assaggio è ricchissimo ma ben bilanciato: fresco, sapido, gustoso, persistente.
Unico difetto: le note tostate tornano anche al palato e sono un poco eccessive se non si pasteggia, rendendo il sorso non del tutto compulsivo, ma basta saperlo e destinare il vino al suo uso d’elezione, la tavola imbandita, per ovviare ad ogni problema.

Il bello: la ricchezza gustativa

Il meno bello: piccolo eccesso di note tostate

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Dosaggio Zero, Maso Martis

Mi è frequente avere conferme sul Trento DOC: nella fascia di prezzo umano, quello più accessibile da noi consumatori comuni, è abbastanza facile incontrare prodotti di buon livello. Perlomeno, è più facile rispetto a quanto accade con altre zone più di moda (Franciacorta, per non far nomi).

Oggi ho stappato la bottiglia di una azienda (certificata biologica) rappresentante di questa tipologia di Metodo Classico “di montagna”, Maso Martis, che conduce 12 ettari, situati a 450 metri di altitudine, sopra a Trento, per una produzione di circa 60.000 bottiglie l’anno.

dosaggio-zero-riserva-masomartis

Denominazione: Trento DOC
Vino: Dosaggio Zero
Azienda: Maso Martis
Anno: –
Prezzo: 25 euro

Il vino in questione è il Dosaggio Zero, composto al 70% da Pinot Nero e al 30% da Chardonnay; la metodologia di produzione prevede che le uve bianche vengano fermentate e affinate in barriques, mentre quelle nere solo in acciaio; i mesi di riposo sui lieviti sono 24 e non si aggiunge liqueur d’expedition.

Colore paglierino-verdolino, con bolla millimetrica e bel naso fine, di fiori e agrumi con accenni minerali e di nocciola, sottile ma non anemico, molto elegante.
Il sorso è ricco, pieno, gustoso, materico, con carbonica che solletica tramite punture decise ma fini; sicuramente fresco e sapido e anche molto equilibrato: quasi non sembra un dosaggio zero per come si stacca dalla moda di certi estremismi arriccia-gengive.

Finale non particolarmente lungo, con accenno di mandorla che fortunatamente non arriva a definirsi nell’amaro.

Il bello: bellissimo spettro olfattivo e sorso gustoso

Il meno bello: manca un po’ di lunghezza, finale non finissimo

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Giulio Ferrari Riserva del Fondatore 2001, Cantine Ferrari

Riepilogando: sono un appassionato di vini bianchi, in particolare di Metodo Classico, e non ho pregiudizi rispetto a quanto metto nel bicchiere (perlomeno cerco di non averne); detto questo, o forse proprio per questo, trovo abbastanza stucchevole la cantilena secondo la quale non sarebbe possibile confrontare Champagne e Franciacorta, Tranto DOC e Oltrepò Pavese…

Certo, terreno e latitudine non hanno nulla in comune, per non parlare dei numeri e dell’esperienza di coloro che il vino lo fanno, ma io sono un consumatore, non un enologo o uno storico, e valuto quello che tracanno.
Mi pare abbastanza ovvio che il “modello di riferimento” di tutti (quasi) coloro che producono Metodo Classico sia lo Champagne, e che la prova di assaggio evidenzi enormi somiglianze tra vini creati con questa metodologia (e vorrei vedere… la tecnica e i vitigni impiegati sono i medesimi, e in questo caso la tecnica conta eccome: gli spumanti sono vini estremamente “costruiti”).

Quanto sopra per giustificare il fatto che, nonostante la vulgata corrente lo ritenga una bestemmia, quando assaggio un Metodo Classico italiano mi abbandono per un attimo ad una piccola astrazione mentale, cercando di riportare quello che ho nel bicchiere alla terra di Francia, zona Reims, cedendo alla tentazione del paragone con Champagne di prezzo analogo.

Nel mio personale (modestissimo) cartellino, gli italiani si difendono bene sino ad una certa fascia di prezzo (diciamo spannometricamente fino ai 30 / 40 euro?), aiutati dall’handicap dei costi di importazione francesi. Oltre quella soglia, temo che molto spesso i cugini dalla erre moscia abbiano la meglio.

Certo, ci sono casi e casi,  e quello di oggi è uno di quelli in cui un Metodo Classico italiano di prezzo importante riesce a ottimamente figurare accanto a bottiglie transalpine comparabili.

La mia esperienza con “il Giulio” ha anche un aneddoto curioso: agli albori della mia frequentazione col mondo del vino mi ritrovai ad una degustazione, presenti molti nomi importanti; mi fiondai subito sulle bolle (ovvio), e il primo o il secondo vino della giornata fu proprio la Riserva del Fondatore. Tutti gli altri spumanti in degustazione impallidirono al confronto e la cosa mi impressionò decisamente.
Mi è poi capitato di assaggiarlo altre volte, e di farne fuori un paio di bottiglie di diverse annate, e mai sono stato deluso… certo, il prezzo…

Giulio-Ferrari-Riserva-del-Fondatore-2001Denominazione: Trento DOC
Vino: Riserva del Fondatore
Azienda: Cantine Ferrari
Anno: 2001
Prezzo: 60 euro

Poche note tecniche: chardonnay al 100% dal vigneto Maso Pianizza, 500 metri sul livello del mare esposti a sud-sud/ovest, circondato da boschi; raccolta manuale, fermentazione in acciaio e ben dieci anni di affinamento. Tecnicamente possiamo parlare di un extra-brut (il dosaggio lo porta a meno di 6 grammi/litro di residuo).

Poco da dire su un prodotto del genere: è una crema dorata,  di un brillante perfetto, con bollicine ideali per sottigliezza e lucentezza. Lo spettro olfattivo non è esplosivo, ma non è questo quello che cerchiamo in un Metodo Classico: importa che la finezza e la complessità siano encomiabili: fiori, agrumi, panetteria, accompagnati da una sottesa nota di vaniglia e di affumicato.

Il sorso è pieno, ricco, succoso… soprattutto è magnifico l’equilibrio che nasconde l’alcol, che bilancia perfettamente sapidità e acidità e che rende la bevuta sontuosa ma allo stesso tempo agilissima.

Vino ideale a tutto pasto, ma anche come aperitivo o come bevuta solitaria, difficile trovargli un ambito non consono (giusto i dolci, dai!).

Il bello: lo bevi come vuoi e con cosa vuoi: non puoi sbagliare
Il meno bello: le prix, ça va sans dire

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Tridentvum Riserva Extra Brut 2005, Cesarini Sforza

Le premesse per un bel metodo classico ci sono tutte quando parli di un Trento DOC di un produttore illustre, fatto con uva chardonnay al 100% ottenuta da vigneti tra i 500 e i 700 metri e affinato a lungo sui lieviti (4-5 anni).

Invece al di là di un colore invitante e particolare (giallo paglierino-dorato intenso ma che mantiene curiosamente qualche riflesso verdolino), non c’è molto altro da ricordare.

Tridentvm-RiservaDenominazione: Trento DOC
Vino: Tridentvum Riserva Extra Brut
Azienda: Cesarini Sforza
Anno: 2005
Prezzo: 19 euro

La bolla è fine, certo, ma invece di accarezzare il palato risulta un po’ debole; l’olfattivo è abbastanza intenso: si riconoscono i canonici floreale e frutta matura, mentre stranamente, nonostante il lungo riposo sui lieviti, c’è poca traccia di fragranza. In compenso si avverte qualcosa di fuori posto, appena accennata ma leggermente fastidiosa e difficile da identificare, sembrerebbe una terziarizzazione poco riuscita che rimanda alla plastica.
Insomma, mancano la finezza e anche il guizzo.

L’assaggio è secco, ma alla cieca non lo direi un extra brut. La freschezza c’è, ma il vino risulta mollo: d’accordo non aggredire il palato come a volte capita con certe bolle beniamine dei passaparola tra enofanatici del non dosaggio, della mineralità spinta e delle acidità selvagge, ma l’immagine è quella di un prodotto seduto, senza slancio.
La chiusura ha un finale leggermente amarognolo e non risulta una gran lunghezza.

Insomma è tutto corretto (a parte la sbavatura olfattiva), ma non c’è neppure uno spunto, qualcosa per farsi ricordare. Lascia del tutto indifferente e non è un gran pregio per un metodo classico da zona vocata, che ha certe ambizioni e viene via e 19 euro.

Come si dice in questi casi: bottiglia sfortunata?

Il bello: prodotto molto classico, senza spunti strani
Il meno bello: olfattivo poco fine, una certa mollezza generale

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Antares 2010, Cantina Toblino

antares

Si dice spesso che le cantine sociali in Tentino Alto Adige siano una eccezione rispetto a quelle di gran parte del panorama vinicolo italiano, nel senso che sfornano prodotti a prezzi ragionevoli, mantenendo standard qualitativi di ottimo livello.

Ne ho avuto conferma stappando questo Antares, metodo classico di Cantina Toblino, che ho potuto indirettamente comparare con un analogo prodotto della Cooperativa Tre Secoli di Mombaruzzo, bevuto qualche giorno prima.
Il confronto è stato davvero impietoso: del primo leggete qui sotto, mentre del secondo mi limito a segnalare la piattezza gusto-olfattiva e il prezzo (8 euro).

antaresDenominazione: Trento DOC
Vino: Antares
Azienda: Cantina Toblino
Anno: 2010
Prezzo: 12 euro

Mi avvicino con un certo scetticismo: infondo si tratta di un metodo classico con 36 mesi di affinamento sui lieviti, per giunta millesimato, proposto a 12 euro!
Contribuisce alla diffidenza l’orrenda etichetta, che mi ricorda nettamente quelle appiccicate sulle bottiglie delle confezioni panettone-spumante da autogrill anni ottanta… Dai ragazzi, io sono tutto fuorché un fissato della grafica, ma credo non sia difficile fare di meglio…

Il vino è uno chardonnay in purezza, paglierino con accenni verdolini, dalla bolla non copiosa ma continua e vellutata.
L’olfattivo è fresco, floreale, con qualche accenno di fieno, anice e una lontana crosta di pane; semplice ma piacevolmente delicato.

L’ingresso in bocca, che mi aspettavo timido, è in realtà pieno e di una certa struttura, acidità e sapidità sono ben calibrate; proseguendo, il sorso risulta un po’ troppo morbido per i miei gusti (ma per nulla stucchevole): è pur sempre una bolla “primo prezzo” che deve piacere a tutti!
Lunghezza non esaltante, ma non possiamo chiedere troppa grazia.

Ottimo rapporto qualità prezzo, una dignitosissima interpretazione di vino base da servire in tutta tranquillità e piacevolezza con aperitivi e primi piatti di mare.

Il bello: il prezzo, la semplice piacevolezza
Il meno bello: lunghezza e complessità limitate

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Ferrari Riserva Lunelli 2002

Una avvertenza agli eventuali pauperisti bio-tutto in ascolto: oggi non parlo del vino biodinamico dell’agricoltore eroico, poeticamente sfigato, che possiede mezzo ettaro abbarbicato su un crinale con pendenza al 50%, e neppure del risultato di una minuscola particella di terroir vinificata senza solforosa e senza controllo della temperatura… piuttosto racconto l’assaggio di uno dei prodotti industriali di una cantina che da tempo immemorabile sforna milioni di bottiglie l’anno.

Ma andiamo per ordine: parliamo di Ferrari, un nome talmente simbolico per la spumantistica italiana che si potrebbe azzardare equivalente a Trento Doc; in realtà il parallelo sarebbe addirittura riduttivo nei confronti della storica “maison”, che per numeri e popolarità surclassa il resto della denominazione.
Sono stato un anno e mezzo fa in cantina (se vogliamo chiamare così uno stabilimento enorme, che accosta molta grandeur a qualche angolo un pochino datato), e la visita è stata come la immaginavo: professionalmente asettica e dimenticabile.

Ferrari è tutta una gamma di metodo classico, dal “Brut” da supermercato, tipicamente e tragicamente consumato in abbinamento al dolce durante le feste, fino al sontuoso (nel gusto e nel prezzo) “Giulio Ferrari”, passando persino per un inusuale Demi-Sec; un gradino sotto al prestigioso “Giulio” è posizionato il “Riserva Lunelli” di cui scrivo oggi.

Riserva Lunelli

Denominazione: Trento DOC
Vino: Riserva Lunelli
Azienda: Cantine Ferrari
Anno: 2002
Prezzo: 35 euro

Il solito sguardo veloce sui dati tecnici: raccolta manuale di Chardonnay del millesimo 2002 dal vigneto di proprietà Villa Margon, fermentazione in legno e sette anni di affinamento sui lieviti. La bottiglia in mio possesso aveva sboccatura datata 2009.

Tornando alla introduzione: è un vino costruito? Sì, certo, eccome,  ecchissenegrega!
E’ dorato, lucente, con un olfattivo intenso e ricco di panificazione, frutta matura, nocciole tostate. Si sente il legno, sicuramente, ma è un legno che esalta il vino, non lo sotterra, forse perché ha avuto tutto il tempo necessario ad amalgamarsi.
Avendo pazienza di attendere esce uno chardonnay che mi ricorda persino qualcosa di borgognone.

In bocca la bolla quasi non esiste per quanto è fine e cremosa; l’equilibrio è invidiabile e le durezze notevoli (in particolare una sapidità che avvolge) sono ben bilanciate dalla dolcezza del legno e da un corpo sicuramente presente.
Il sorso è pulitissimo e mai stancante, entra sontuoso, continua pieno e finisce lungo, senza alcun residuo appiccicoso o stucchevole e senza alcuna chiusura amara, anzi, al retro-olfattivo traspare perfino un tocco balsamico.

Quando ho comperato la bottiglia avevo qualche timore a causa della sboccatura datata, in realtà non ho trovato nessun segno di stanchezza, anzi avrei voglia di prenderne un paio ancora da lasciare in cantina per vedere dove possono arrivare nel giro di qualche anno.

E’ un vino sontuoso, forse anche troppo: una fusione di burro, nocciole e alcol che però riesce a mantenere adeguata la tensione; se bevuto da solo capisco che alla lunga possa stancare, e forse non è adatto a preparazioni delicatissime, ma pasteggiando credo abbia pochi rivali.

Il bello: L’equilibrio, la lunghezza, la complessità
Il meno bello: Una certa opulenza che non lo rende adatto ad ogni occasione

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Balter Brut Riserva 2006

Secondo assaggio per Balter, dopo la prova del Brut “base”.

Alla commercializzazione delle circa 35.000 bottiglie l’anno di Brut, dal 1995 è stata aggiunta una limitata quantità di Riserva (circa 3000 bottiglie); si tratta di una produzione con ambizioni rilevanti, visto per creare questa miscela di 80% chardonnay e 20% Pinot nero, l’uva viene vendemmiata manualmente, fatta fermentare parte in acciaio e parte in rovere piccolo, e poi lasciata maturare sui lieviti per ben 72 mesi.

Balter RiservaDenominazione: Trento DOC
Vino: Brut Riserva
Azienda: Balter
Anno: 2006
Prezzo: 25 euro

Colore giallo paglierino, quasi oro, con bolle fini ma (piccolo campanello d’allarme) non troppo numerose e persistenti.
Olfattivo estremamente tenue di pasticceria, con accenno tropicale e, curiosamente, una punta di tostato-affumicato: scoprirò poi che parte dell’affinamento si svolge in legno piccolo.

In bocca entra bello pieno, con bolle molto fini e per nulla aggressive, forse persino troppo delicate. La freschezza è discreta, cosi come la sapidità e la lunghezza; in realtà spicca un grande equilibrio, che peraltro avevo riscontrato anche nell’assaggio del Brut.

Qualche dubbio sulla presenza un po’ eccessiva del legno, sul finale lievemente amaro e, all’inizio della bevuta, anche sul dosaggio: in genere prediligo prodotti molto “dritti” e avvertivo di un eccesso di ruffianeria.
Con il passare dei sorsi mi sono ricreduto, non è certo un vino tagliente ma tutto sommato mi pare che anche in questo caso si sia ricercato, e trovato, l’equilibrio. Forse un filo di dolcezza viene dal legno?
A suo grande grande pregio, a fine assaggio la bocca resta ottimamente pulita, senza dolcezze appiccicose o acidità strizza gengive.

Tirando le fila, un vino magari non entusiasmante ma di buona armonia, dal quale però francamente mi aspettavo una complessità maggiore, in ragione dei 72 mesi sui lieviti: ne comprendo l’ottima base, temo leggermente penalizzata da un uso non ottimale del legno (o forse occorre ancora attenderlo in bottiglia, in modo da ottimizzare l’affinamento?).

Piccola nota di demerito: non c’è data di sboccatura, e non trovo indicazioni sul dosaggio.

Il bello: L’equilibrio e la “base” importante dei 72 mesi sui lieviti
Il meno bello: poca complessità

p.s. dopo un ora dall’apertura è uscito un lieve floreale e il vino ha acquistato maggiori eleganza e complessità.

p.p.s. Franco Ziliani ha un altro riscontro (ma è un diverso millesimo), sicuramente più affidabile del mio, in cui non ci sono accenni a tostature ma semmai ad ossidazione.

Queste due ultime note mi fanno venir voglia di provare una seconda bottiglia, in modo da verificare le sensazioni. Vedrò di procedere…

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Balter Brut: ottimo rapporto qualità prezzo

La denominazione Franciacorta goda di notorietà tanto superiore rispetto ad altre realtà spumantistiche italiane per vari motivi: i meri numeri (la quantità di bottiglie prodotte di fatto rende la DOCG lombarda “IL” metodo classico italiano), l’ottimo lavoro di comunicazione svolto dal Consorzio, la grande imprenditorialità delle aziende coinvolte e, certo, una qualità media di buon livello con punte di sicura eccellenza.

Resta il fatto che ci sono altre zone in Italia in cui si imbottiglia ottimo metodo classico, penso in particolare a Trento, che può vantare una ottima propensione territoriale per la produzione di questa tipologia e altrettanta tradizione (basti pensare alle storiche Cantine Ferrari).

Un produttore che non conoscevo e che è entrato recentemente nella mia enoteca di fiducia è Balter: 10 ettari su di una collina a 350 metri, accanto a Rovereto. L’azienda produce anche alcuni vini fermi bianchi e rossi ma è sicuramente più nota per gli spumanti, dei quali ho assaggiato il Brut “base” e la Riserva.
A seguire, le mie impressioni sul Brut, prodotto da sola uva Chardonnay raccolta manualmente e fermentata parte in acciaio e parte in piccole botti di rovere, con sboccatura dopo 36 mesi sui lieviti.

Denominazione: Trento DOC
Vino: Brut
Azienda: Balter
Anno: –
Prezzo: 15 euro

balterBello da vedere: giallo paglierino con accenni dorati, schiuma abbondante, bolla fitta, continua e molto fine.
Olfattivo lieve, non di grande complessità (agrume, fiori bianchi), ma sicuramente piacevole e fresco. Quando si scalda ho l’impressione di avvertire un leggero anice e anche una lontana eco del rovere.
In bocca la sensazione che risalta è l’equilibrio: il dosaggio si avverte ma non è fastidioso, la bolla è presente ma senza essere aggressiva. La freschezza è ottima, e il finale è di media lunghezza.

Direi che è un vino facile (“facile” nel senso buono del termine: può piacere sia all’appassionato più smaliziato che al bevitore occasionale), ma di qualità e dall’ottimo rapporto qualità/prezzo.

Indicato in retroetichetta l’anno di sboccatura (2012, in questo caso): bene, ma mi piacerebbe che fosse riportato anche il mese.

Il bello: grande equilibrio e ottimo prezzo
Il meno bello: poca complessità olfattiva

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