Toscana 2010, Pacina

Non sono mai stato nella azienda agricola Pacina, ma le immagini e le descrizioni che si vedono sul sito e si trovano in rete rimandano a quella meravigliosa Toscana classica da cartolina, quella che ha fatto innamorare di sé tanti facoltosi stranieri che difatti non hanno resistito a prendere qui una dimora. Precisamente siamo a Castelnuovo Berardenga, nel cuore del Chianti: ulivi, vite, piccoli boschi, casali incastonati tra le colline dolcissime e i piccoli boschi… una roba che mette pace solo a pensarci.

Pacina è una azienda piuttosto nota nel circuito dei “vino-naturalisti”, e produce un Toscana IGT (che di fatto è un Chianti senza esserlo: sono usciti dal Consorzio del Chianti) ottenuto da Sangiovese con piccolo saldo di Canaiolo, fermentato grazie a lieviti indigeni. L’affinamento avviene in legno grande e l’imbottigliamento senza filtrazione.

pacinaDenominazione: IGT Toscana
Vino: Pacina
Azienda: Pacina
Anno: 2010
Prezzo: 20 euro

La bottiglia in questione è di un millesimo ormai (fin troppo) mitizzato, il 2010, e il vino mantiene una sua intima coerenza tra vista e olfatto: è un rubino cupo e denso che inizia a virare sul granato, con un naso non troppo espressivo, che accenna già ricordi animali frammezzandoli alla classica frutta matura (prugna).

L’ingresso porta subito in primo piano la acidità, davvero notevole, e poi un tannino non asciutto o mordace ma di certo serrato. Il corpo medio accompagna ad un finale di discreta lunghezza, un po’ sporcato dall’amarognolo persistente.

Vino da pasto sincero, che con il suo alcol e il suo tannino ben si accoppia a preparazioni robuste come uno stracotto con un bel sugo, ma che forse si trova in una fase interlocutoria della sua vita: non ha i tratti felici e spensierati della gioventù, e non ha ancora raggiunto una maturità completa. Certo, la austerità un po’ statica (e stanca) non mi lascia presagire lunghi e luminosi percorsi futuri. Francamente mi aspettavo di più.

Il bello: sincero, austero

Il meno bello: poco espressivo

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Rancia 1997, Fattoria di Felsina

Uno degli argomenti più affascinanti del vino è che non esiste una bottiglia uguale all’altra e che con ciascuna si può giocare come con una piccola macchina del tempo: stavolta mi è capitato un vino vintage e non ho perso l’occasione per un teletrasporto in epoca diversa, quando la parola d’ordine non era “naturale” ma semmai supertuscan, quando il credo dominante non era la bevibilità ma la concentrazione. quando i consuenti enologi non erano il demonio ma una risorsa.
Certo, molti vini di quel tempo sono invecchiati male, si parla sempre di marmellatone costrette in una coltre di rovere, ma secondo me si esagera, come si suol dire “buttando il bambino con l’acqua sporca”: lo dimostra la bottiglia di cui sto parlando, disarmante nella sua perfetta semplicità, per la quale gli anni non sono passati invano, levigando con precisione un vino che si dichiara classicamente toscano fin dalle prime occhiate, con un rubino non troppo concentrato che tende all’aranciato.

ranciaDenominazione: Chianti Classico DOCG
Vino: Rancia
Azienda: Fattoria di Felsina
Anno: 1997
Prezzo: 23 euro

Gli aromi non fanno i fuochi di artificio ma piacciono: domina il frutto maturo molto dolce, ma arriva anche il tabacco impreziosito da qualche accenno erbaceo e di sottobosco.
E’ l’assaggio il pezzo forte, di grande succosità e bella freschezza, con alcol poco avvertibile e tannino straordinariamente assorbito e amalgamato nella struttura, tanto da risultare appena percettibile.

Per dirla in due parole, una bottiglia di enorme bevibilità e straordinaria capacità di abbinamento a tavola (guarda caso, sono proprio le categorie di riferimento che vanno adesso per la maggiore tra gli appassionati…), insomma un gran vino gastronomico, che, pur essendo prontissimo, dopo quasi venti anni di attesa tradisce ancora gran voglia di invecchiamento!

Il bello: ottima piacevolezza di bevuta

Il meno bello: un accenno di vegetale al naso non elegantissimo

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Chiesino, Podere di Rosa

Il Podere di Rosa è una azienda agricola con annesso agriturismo in provincia di Lucca; ora, io non ho messo piede nell’agriturismo (e questo poco importa) ma soprattutto conosco poco e nulla i vini dei questa zona della Toscana, per questo ho colto la palla al balzo quando mi è stato proposto l’acquisto del Chiesino, un IGT Toscana bianco, prodotto da prevalenza di Vermentino e saldo di Trebbiano, con la ormai tipica tecnica dei cosiddetti “vini naturali”: fermentazione spontanea con lieviti indigeni, nessun controllo della temperatura, nessuna filtrazione e chiarifica.

Mi accingo quindi all’assaggio scevro da pregiudizi, la condizione migliore.

al-podere-di-rosa-chiesino-igt-toscano-biancoDenominazione: IGT Toscana
Vino: Chiesino Bianco
Azienda: Podere di Rosa
Anno: 2014
Prezzo: 12 euro

Giallo, di un dorato che già si capisce dove andremo a parare, e il naso conferma i presupposti: la leggera volatile che arricchisce e veicola i profumi di erbe di campo e di camomilla racconta di una leggera ma decisa macerazione.
Per fortuna la volatile è dosata col calibro (anche se per qualche purista sarà certamente al limite dell’accettabile,  di certo non trapana il naso) e serve solo come coadiuvante degli altri aromi; a me, ogni tanto, un vino con queste caratteristiche non spiace: basta sapere prima a cosa si va incontro e passa la paura.

in bocca ricorda la frutta leggermente acerba ma è garbato, con corpo semplice (non esile), discrete freschezza e sapidità e alcol poco avvertibile. Anche in questa fase, si capisce che ha macerato, ma è altrettanto chiaro che il produttore ha usato la mano leggera: non c’è tannino e, vivaddio, neppure quella pesantezza di bevuta che talvolta marca troppo nettamente i vini che fanno uso di questa tecnica.

Bottiglia semplice ma non banale e dal sorso facile, che consente un buon abbinamento con cibi saporiti: con me ha funzionato bene accompagnando ravioli di gorgonzola e pera.

Attenzione, perché immagino a causa dell’uso limitato di solforosa o chissà per quale altro motivo, il giorno successivo la bottiglia cambia nettamente carattere, alzando i toni e sviluppando in fretta sentori ossidativi non sgradevoli ma piuttosto evidenti.

Il bello: bevuta coinvolgente e saporita

Il meno bello: volatile un po’ al limite

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