Pils Pride è l’appuntamento nato per celebrare lo stile birrario più famoso al mondo e oggi purtroppo anche più dimenticato.
Pils Birra del Bracco
In questi tempi di grande fermento per quanto riguarda il fenomeno della cosiddetta “birra artigianale” italiana (metto le virgolette, visto che la definizione, a mio modo di vedere ha davvero poco senso), la Liguria non si è distinta per vitalità.
A parte una pletora di piccoli nomi che non è chiaro se siano effettivamente in attività (e che quando producono hanno spesso una qualità discutibile), sopravvivono gli storici Busalla, Scarampola e del Golfo, che non sono mai riusciti a (o non hanno mai avuto voglia di) fare il salto verso una produzione quantitativamente superiore e con una distribuzione più capillare. Oltre a questi, troviamo l’abbastanza recente Superba, il “tedesco” Leo e quel Maltus Faber, che per la combinata di visibilità , qualità, costanza e reperibilità, ritengo il portabandiera regionale.
Da circa un anno e mezzo, molto in sordina, è spuntato un nuovo birrificio, davvero micro: Birra del Bracco. Il nome deriva evidentemente dalla ubicazione geografica della piccola azienda: il Passo del Bracco è un montagnoso tratto di via Aurelia ricco di tornanti che collega la provincia di Genova e quella di La Spezia, noto per essere da sempre meta di appassionati motociclisti.
Conosco poco o nulla del birrificio, mai avvistato nella varie manifestazioni a tema e per nulla chiacchierato nel giro degli appassionati. Vedo sul sito che è legato ad una azienda agricola condotta part-time, che ha un impianto che sembra davvero poco più di una postazione da homebrewer e che produce tre tipologie di ispirazione tedesca (dagli autoesplicativi e poco fantasiosi nomi Pils, Bock e Weiss); la particolarità che viene dichiarata è la coltivazione autonoma di orzo e di luppolo, anche se non è chiaro in quale quantità e comunque suppongo non tanto da rendere il birrificio autosufficiente.
Date le premesse mi sono sorpreso e incuriosito quando nel pub sotto casa ho trovato disponibilità della loro Pils, che ovviamente non mi sono fatto sfuggire.
Bottiglia ed etichetta rusticamente molto homebrewer, ma non è un problema, così come l’aspetto, giallo decisamente opalescente. Schiuma discreta, sia come quantità che come compattezza e durata.
Le riserve arrivano invece al naso: da una pils, per la quale oltretutto si dichiara il dry hopping, mi aspetto un bell’aroma luppolato, invece non c’è molto da annusare, sia quantitativamente (intensità davvero debole), sia qualitativamente (poco da segnalare, se non appunto un lieve erbaceo).
In bocca il corpo è leggerino e l’amaro è poco pervenuto; in aggiunta, appena accennato, un sentore di miele ben poco deciso e persistente. Poi, nulla di altro.
Certo, la tipologia è difficile: una buona pils non bastona con gli effetti speciali pirotecnici che vanno di moda oggi (amaro estremo, tostature micidiali o acidità taglienti), ma deve saper ricamare un equilibrio lieve ed elegante di mielato ed erbaceo, e questa Pils, pur lodevolmente pulita negli aromi (e non è poco), manca purtroppo di personalità, scivolando via senza infamia e senza lode.
In definitiva la birra sembra spenta, poco vivace (in senso metaforico, non certo per mancanza di carbonica): in questi casi si parla genericamente di “bottiglia sfortunata”…
Non incoraggia neppure la parte economica: non ho idea del costo nel beershop (anche perché non so se sia in vendita al dettaglio), ma al pub la bottiglia da 0,5 è stata pagata 7 euro.
Sarebbe interessante una visita al birrificio per poter testare la produzione “fresca” e capire la filosofia dei titolari, purtroppo l’ubicazione non facilita. Chissà, magari in primavera…