Come tutti coloro che hanno versato il dovuto obolo ad AIS, in questi giorni ho ricevuto la mattonosa guida dei vini redatta dalla blasonata associazione.
Novità: il tomo non si intitola più “Duemila Vini”, ma “Bibenda” (tralascio per carità di patria, tutto lo spiegone sugli antefatti di questa decisione: altri lo hanno fatto prima di me) e a questo giro nelle 2048(!) pagine ci sono anche la segnalazione di 1659(!!) ristoranti. Prezzo al pubblico: 44 Euro.
Ora, non so bene da dove iniziare e come dirlo, infondo io resto un iscritto, ho fatto il corso (che sicuramente mi ha insegnato tanto), ho preso il diplomino di rito e credo che, dietro lo spencer, alla base dell’AIS ci siano tante ottime persone (magari ai vertici non proprio tutti, ma insomma…), ma il punto è che questa guida è un grande, magniloquente, pomposo sforzo finito male.
E’ noto che AIS ha una attenzione quasi maniacale all’immagine (esempi: quando mi sono iscritto mi hanno fatto accettare il regolamento che impone come dovrei vestirmi nel caso svolgessi un servizio, e per ricevere il diploma c’era un dress-code così rigoroso che neppure ad una cerimonia di laurea di Oxford), poi però mette online un obbrobrio di sito in cui, per dirne una, non è possibile lasciare un commento ad un articolo; ha come mission quella di “valorizzare la cultura del vino” e poi, se da un lato elogia come come “miglior programma di comunicazione del vino” la Prova del Cuoco della Antonellina nazionale, dall’altro, per penna di un editoriale del presidente di Bidenda Franco Ricci, se la prende con quei pelandroni degli eno-blogger.
Possiamo dire che l’Associazione sembra dibattersi tra due anime, una paludata e una che vorrebbe agganciarsi al treno dei tempi; peccato spesso vinca la prima, che tende ad assomigliare ad un vecchio hotel di lusso tutto boiserie, ormai un poco fané.
Ovviamente la guida rispecchia quanto sopra: c’è la copertina rigida cartonata di colore sfarzoso e la carta di buona qualità, ci sono le schede a colori, la sezione introduttiva con un divulgativo ben fatto sul metodo di degustazione del vino e su quello Mercadini di abbinamento con il cibo, ci sono gli utili elenchi delle DOC, delle DOCG, dei prodotti DOP e IGP, ma in cambio ti becchi anche la imprescindibile, poetica introduzione del Ricci che non perde occasione per polemizzare con “certi tromboni che sull’altare del puro e pulito, inventano un vino migliore confondendo una bio vigna con la cantina ” e per dichiarare che il suo sogno “è la scomparsa delle denominazioni di origine”
Ricci a parte, il problema è il core-business della guida: francamente non ci si capacita di come si possa, ormai ad un passo dall’approssimarsi del catastrofico 21 Dicembre Maya, non appisolarsi alla lettura della decima scheda in cui si snocciolano i canonici descrittori psichedelici (un tipico esempio a pag. 281: “… fresche note di fiori di montagna, artemisia, achillea, genziana, poi fragoline ed eleganti note speziate”), accompagnati dalla usuale iconografia grappolesca; forse è per prevenire l’abbiocco che in chiusura di ogni vino recensito viene piazzato il colpo da maestro del perfetto sommelier: l’abbinamento consigliato sotto forma di perentorio ditkat (esempio, apro a caso: pag. 285, scopriamo che il Langhe rosso di Roddolo si abbina con “Lepre al civet”. Punto. Pag. 1038: il Nectar Dei di Nittardi deve sposare “petti di pollastra allo Chambertin”. Punto e a capo. Pag. 1289: un Lacrima di Morro Mancinelli chiede “polpettone farcito”, chissà farcito di che cosa… e via sentenziando).
Surreale la scheda dedicata a Gravner: “… a chiusura della guida 2013 ci siamo accorti che dalla azienda Gravner non ci sono arrivati i campioni dell’annata 2006 … siamo saliti fino ad Oslavia, camminato insieme a lui nelle sue vigne…”.
Oltretutto i vini di Gravner sono gli unici (almeno, credo: ho sfogliato il volume ma non voglio millantare di aver letto tutto) ad essere chissà perché svincolati dall’apodittico aforisma sull’abbinamento.
Gran finale con le “recensioni” dei ristoranti: 1659 verdetti da due-righe-due ciascuno, ovviamente tutti entusiasti, visto che i locali elencati variano in punteggio da 5 Baci (“Luoghi dell’eccellenza”) a un Bacio (“Ristorazione da provare per la finezza e l’attenzione alle tradizioni”)
Giudizio critico sintetico finale: che senso ha un librone del genere?