Questa non è una recensione, semmai un appunto veloce.
Ho comperato una bottiglia di Fiordighiaccio: avevo voglia di qualcosa che non mi capita mai di bere e ho chiesto un vino semplice e poco costoso; mi è stata proposta questa bottiglia della cantina sociale Produttori Erbaluce di Caluso alla folle cifra di 5 euro e mezzo, come facevo a rifiutare?
Come era?
Un vino a cui trovare difetti era sinceramente impossibile, profumatissimo, leggero ma con una presenza degna e una discreta verticalità.
Il problema (se di problema si può trattare) è che si vede lontano un miglio che si tratta di un prodotto estremamente tecnico, lo capisci dal colore esilissimo, dagli aromi quasi esagerati, dalla pulizia estrema del sorso…
Difatti a posteriori ho scoperto ad esempio che in cantina viene eseguita la criomacerazione.
Dunque? C’è qualcosa di male nel “costruire” un vino in questo modo, cioè usando la tecnologia, e ovviamente senza ricorrere ad adulterazioni non previste dalla legge?
No, io credo (anzi sono sicuro) che non ci sia nessun problema nell’utilizzare queste pratiche di cantina, in particolare se si riesce poi a realizzare un prodotto di questo buon livello a questo ottimo prezzo; il problema, semmai, è che un vino così (che ho usato come piacevolissimo accompagnamento ad un antipasto) non trasmette nessuna sensazione di particolarità, di unicità, di scoperta, e non voglio neppure stare a scomodare la secondo me abusatissima territorialità.
Ma cerchiamo di capirci, queste riflessioni sono del tutto personali, senza alcuna valenza oggettiva, e nulla tolgono al valore della bottiglia; soprattutto, forse sono emblematiche del rapporto non del tutto “sano” che abbiamo noi appassionati con il vino: ci facciamo forse tutte queste domande quando mangiamo una bistecca o un pomodoro? Non ci basta sentirli gustosi, succosi, in una parola “buoni”?
Perché ad un vino chiediamo anche qualcosa di altro? Non è che abbiamo voglia di suggestione e ogni tanto esageriamo?