Perlé Bianco 2006, Ferrari

Arrivo ultimo dopo i grandi: i siti “importanti” questo Perlé Bianco lo hanno già recensito, forti dell’invito di casa Ferrari, che con varie degustazioni ha proposto in assaggio il vino a quelli che contano.

Nel mio piccolo, io la bottiglia la ho comperata e ne sono anche felice, visto che ritengo Ferrari la migliore casa spumantistica italiana by far, sia per la costanza qualitativa che per l’ottimo livello medio di tutta la gamma, sia per l’eccellenza dei vini di punta.

Detto questo, resta la curiosità irrefrenabile di assaggiare un vino nuovo, 100% Chardonnay, coltivato a 400-700 metri di quota e con affinamento di oltre 100 mesi sui lieviti.

Denominazione: Trento Doc Riserva
Vino: Perlé Bianco
Azienda: Ferrari
Anno: 2006
Prezzo: 35 euro

Alla vista è perfetto, con il suo paglierino vivo e luminoso, reso splendente dalle catenelle di un perlage da manuale, tanto è sottile e fitto.
Gli aromi sono intensi ma suadenti: spicca l’agrume (cedro) su un sottofondo di fiori bianchi, un accenno di talco, un ricordo iodato e uno zic di biscotti al burro (una sosta in legno? Pare di no).

In bocca arriva subito quello che apprezzo negli spumanti di Ferrari: l’equilibrio perfetto, che in questo caso si accompagna ad una complessità notevole, soprattutto senza cenno alcuno di fatica per il lungo affinamento.
Questo è un vino giovane, in cui freschezza e sapidità sono pronunciate (per fortuna) ma armonicamente bilanciate da un dosaggio tanto leggero (4,5 g/l) quanto decisivo.

Le bollicine non pungono, anzi sono una crema che regala un lieve massaggio al cavo orale, mentre il calore alcolico pressoché inavvertibile invita a nuovi sorsi; il finale è lungo, disteso e, come dubitarne, esente da qualsiasi scia amara.

Gran vino, e alla faccia di tutti coloro che dicono che certi paragoni non hanno senso e non si possono fare, io lo dico: questa bottiglia è a livello di ottimi champagne blanc de blancs di prezzo superiore.

Abbinamento? Quelli tipici da Metodo Classico: antipasti (Parmigiano, salumi), primi di pesce (risotto con gli scampi), magari anche qualche carne bianca.

Il bello: L’armonia complessiva

Il meno bello: Nulla da segnalare

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Perlé 2008, Ferrari

E allora diciamolo, che noi enofili da computer siamo degli snob mica da poco. Scrivo queste righe dopo aver provato a dare una occhiata a cosa dice “la rete” su un prodotto magari non di massa ma certo molto noto come il Ferrari Perlé (2008, nell’occasione).
Bene, un mezzo deserto: praticamente nessuno di noi bloggaroli e maniaci che si degni di perdere due minuti a vergare un parere, quando invece è facile leggere opinioni praticamente su tutto, dal vino macerato della Georgia ai Retzina dalla Grecia.

Ed è un peccato, perché per il mio modestissimo parere questa bottiglia, a questo prezzo, regge tranquillamente il confronto con molti metodo classico blasonati, d’oltralpe e non; semmai sconta il delitto di essere marchiata dallo stesso produttore che inonda la GDO con altri spumanti  (dignitosissimi, peraltro).

perleDenominazione: Trento DOC
Vino: Perlé
Azienda: Ferrari
Anno: 2008
Prezzo: 25 euro

Quindi come lo descriviamo questo vino?
E’ metodo classico importante, giallo paglierino carico, ricco di sfumature tostate in primis, ma anche di agrume e di panificazione.
La bolla è giustamente nervosa e decisa, e l’assaggio è ricchissimo ma ben bilanciato: fresco, sapido, gustoso, persistente.
Unico difetto: le note tostate tornano anche al palato e sono un poco eccessive se non si pasteggia, rendendo il sorso non del tutto compulsivo, ma basta saperlo e destinare il vino al suo uso d’elezione, la tavola imbandita, per ovviare ad ogni problema.

Il bello: la ricchezza gustativa

Il meno bello: piccolo eccesso di note tostate

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Giulio Ferrari Riserva del Fondatore 2001, Cantine Ferrari

Riepilogando: sono un appassionato di vini bianchi, in particolare di Metodo Classico, e non ho pregiudizi rispetto a quanto metto nel bicchiere (perlomeno cerco di non averne); detto questo, o forse proprio per questo, trovo abbastanza stucchevole la cantilena secondo la quale non sarebbe possibile confrontare Champagne e Franciacorta, Tranto DOC e Oltrepò Pavese…

Certo, terreno e latitudine non hanno nulla in comune, per non parlare dei numeri e dell’esperienza di coloro che il vino lo fanno, ma io sono un consumatore, non un enologo o uno storico, e valuto quello che tracanno.
Mi pare abbastanza ovvio che il “modello di riferimento” di tutti (quasi) coloro che producono Metodo Classico sia lo Champagne, e che la prova di assaggio evidenzi enormi somiglianze tra vini creati con questa metodologia (e vorrei vedere… la tecnica e i vitigni impiegati sono i medesimi, e in questo caso la tecnica conta eccome: gli spumanti sono vini estremamente “costruiti”).

Quanto sopra per giustificare il fatto che, nonostante la vulgata corrente lo ritenga una bestemmia, quando assaggio un Metodo Classico italiano mi abbandono per un attimo ad una piccola astrazione mentale, cercando di riportare quello che ho nel bicchiere alla terra di Francia, zona Reims, cedendo alla tentazione del paragone con Champagne di prezzo analogo.

Nel mio personale (modestissimo) cartellino, gli italiani si difendono bene sino ad una certa fascia di prezzo (diciamo spannometricamente fino ai 30 / 40 euro?), aiutati dall’handicap dei costi di importazione francesi. Oltre quella soglia, temo che molto spesso i cugini dalla erre moscia abbiano la meglio.

Certo, ci sono casi e casi,  e quello di oggi è uno di quelli in cui un Metodo Classico italiano di prezzo importante riesce a ottimamente figurare accanto a bottiglie transalpine comparabili.

La mia esperienza con “il Giulio” ha anche un aneddoto curioso: agli albori della mia frequentazione col mondo del vino mi ritrovai ad una degustazione, presenti molti nomi importanti; mi fiondai subito sulle bolle (ovvio), e il primo o il secondo vino della giornata fu proprio la Riserva del Fondatore. Tutti gli altri spumanti in degustazione impallidirono al confronto e la cosa mi impressionò decisamente.
Mi è poi capitato di assaggiarlo altre volte, e di farne fuori un paio di bottiglie di diverse annate, e mai sono stato deluso… certo, il prezzo…

Giulio-Ferrari-Riserva-del-Fondatore-2001Denominazione: Trento DOC
Vino: Riserva del Fondatore
Azienda: Cantine Ferrari
Anno: 2001
Prezzo: 60 euro

Poche note tecniche: chardonnay al 100% dal vigneto Maso Pianizza, 500 metri sul livello del mare esposti a sud-sud/ovest, circondato da boschi; raccolta manuale, fermentazione in acciaio e ben dieci anni di affinamento. Tecnicamente possiamo parlare di un extra-brut (il dosaggio lo porta a meno di 6 grammi/litro di residuo).

Poco da dire su un prodotto del genere: è una crema dorata,  di un brillante perfetto, con bollicine ideali per sottigliezza e lucentezza. Lo spettro olfattivo non è esplosivo, ma non è questo quello che cerchiamo in un Metodo Classico: importa che la finezza e la complessità siano encomiabili: fiori, agrumi, panetteria, accompagnati da una sottesa nota di vaniglia e di affumicato.

Il sorso è pieno, ricco, succoso… soprattutto è magnifico l’equilibrio che nasconde l’alcol, che bilancia perfettamente sapidità e acidità e che rende la bevuta sontuosa ma allo stesso tempo agilissima.

Vino ideale a tutto pasto, ma anche come aperitivo o come bevuta solitaria, difficile trovargli un ambito non consono (giusto i dolci, dai!).

Il bello: lo bevi come vuoi e con cosa vuoi: non puoi sbagliare
Il meno bello: le prix, ça va sans dire

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Ferrari Riserva Lunelli 2002

Una avvertenza agli eventuali pauperisti bio-tutto in ascolto: oggi non parlo del vino biodinamico dell’agricoltore eroico, poeticamente sfigato, che possiede mezzo ettaro abbarbicato su un crinale con pendenza al 50%, e neppure del risultato di una minuscola particella di terroir vinificata senza solforosa e senza controllo della temperatura… piuttosto racconto l’assaggio di uno dei prodotti industriali di una cantina che da tempo immemorabile sforna milioni di bottiglie l’anno.

Ma andiamo per ordine: parliamo di Ferrari, un nome talmente simbolico per la spumantistica italiana che si potrebbe azzardare equivalente a Trento Doc; in realtà il parallelo sarebbe addirittura riduttivo nei confronti della storica “maison”, che per numeri e popolarità surclassa il resto della denominazione.
Sono stato un anno e mezzo fa in cantina (se vogliamo chiamare così uno stabilimento enorme, che accosta molta grandeur a qualche angolo un pochino datato), e la visita è stata come la immaginavo: professionalmente asettica e dimenticabile.

Ferrari è tutta una gamma di metodo classico, dal “Brut” da supermercato, tipicamente e tragicamente consumato in abbinamento al dolce durante le feste, fino al sontuoso (nel gusto e nel prezzo) “Giulio Ferrari”, passando persino per un inusuale Demi-Sec; un gradino sotto al prestigioso “Giulio” è posizionato il “Riserva Lunelli” di cui scrivo oggi.

Riserva Lunelli

Denominazione: Trento DOC
Vino: Riserva Lunelli
Azienda: Cantine Ferrari
Anno: 2002
Prezzo: 35 euro

Il solito sguardo veloce sui dati tecnici: raccolta manuale di Chardonnay del millesimo 2002 dal vigneto di proprietà Villa Margon, fermentazione in legno e sette anni di affinamento sui lieviti. La bottiglia in mio possesso aveva sboccatura datata 2009.

Tornando alla introduzione: è un vino costruito? Sì, certo, eccome,  ecchissenegrega!
E’ dorato, lucente, con un olfattivo intenso e ricco di panificazione, frutta matura, nocciole tostate. Si sente il legno, sicuramente, ma è un legno che esalta il vino, non lo sotterra, forse perché ha avuto tutto il tempo necessario ad amalgamarsi.
Avendo pazienza di attendere esce uno chardonnay che mi ricorda persino qualcosa di borgognone.

In bocca la bolla quasi non esiste per quanto è fine e cremosa; l’equilibrio è invidiabile e le durezze notevoli (in particolare una sapidità che avvolge) sono ben bilanciate dalla dolcezza del legno e da un corpo sicuramente presente.
Il sorso è pulitissimo e mai stancante, entra sontuoso, continua pieno e finisce lungo, senza alcun residuo appiccicoso o stucchevole e senza alcuna chiusura amara, anzi, al retro-olfattivo traspare perfino un tocco balsamico.

Quando ho comperato la bottiglia avevo qualche timore a causa della sboccatura datata, in realtà non ho trovato nessun segno di stanchezza, anzi avrei voglia di prenderne un paio ancora da lasciare in cantina per vedere dove possono arrivare nel giro di qualche anno.

E’ un vino sontuoso, forse anche troppo: una fusione di burro, nocciole e alcol che però riesce a mantenere adeguata la tensione; se bevuto da solo capisco che alla lunga possa stancare, e forse non è adatto a preparazioni delicatissime, ma pasteggiando credo abbia pochi rivali.

Il bello: L’equilibrio, la lunghezza, la complessità
Il meno bello: Una certa opulenza che non lo rende adatto ad ogni occasione

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Slow Wine Torino: gli assaggi

Torno brevemente a parlare di Slow Wine per lasciare qualche accenno sugli assaggi.

Come detto in precedenza, queste manifestazioni con centinaia di prodotti, molti tra i quali blasonatissimi e di gran nome, sono certamente interessanti ma ricadono in quella categoria che io chiamo “drink-porn”: assaggi una catasta di roba (ovvio, hai pagato e “puoi fare tutto”), ma non c’è sentimento: come fai ad immedesimarti in un vino, a decidere se sarà piacevolmente accompagnato da un cibo e da quale cibo, se si tratta di una bottiglia che gradiresti avere a tavola con gli amici o da solo in una serata speciale o quotidiana… insomma, come fai a capire tutte queste cose semplicemente con una sorsata e uno sputo?

Detto questo, il drink-porn ha il suo innegabile fascino: ti levi la voglia di provare vini che non potrai mai (o quasi) permetterti e poi curiosare bottiglie che non trovi dalle tue parti; quindi andiamo a incominciare, avvertendo che trascriverò solo le note dei prodotti che più mi hanno colpito, in positivo o negativo e che lascerò solo qualche accenno (niente descrittori psichedelici o fiumi di parole: se lo trovo spesso eccessivo nel caso di degustazioni ragionate, figurarsi in queste occasioni da una botta e via).

Appena arrivato, molti dei vini sono caldi (una roba da vergogna per una presentazione di questo tipo), quindi devo stravolgere il percorso che avevo previsto, vagando con poca logica per almeno i primi trenta minuti.

Grande Radikonlo Slatnik 2010 ha uno spettro olfattivo di ottima complessità ed eleganza, mentre la Ribolla Gialla 2004 è un vero monumento di sapidità, mineralità e speziatura. Grandissimo vino.

Di Trentino e Alto Adige scelgo Cantina Terlano: mi impressiona la potenza e la struttura dello Chardonnay 1999.
Resto perplesso invece con il Filii di Pojer & Sandri, che mi viene presentato come un tentativo italiano di avvicinarsi a certi riesling della Mosella (bassa gradazione, freschezza e profumi): non mi convince per la risicatezza del corpo e per la eccessiva semplicità

Ferrari: pazzesco il Trento Brut Giulio Ferrari Riserva del Fondatore. In carta era scritto 2002, ma mi pare di ricordare che in realtà fosse presente il 2005. Poco importa: uno spumante che non avevo mai assaggiato è che ha davvero cambiato il modo in cui guardo  questa cantina: bolla delicatissima e cremosa, complessità e finezza olfattiva (pasticceria, floreale), corpo ben presente ma per nulla pesante.

Il problema è proprio Ferrari: dopo il Giulio ho fatto il giro dei Franciacorta (i vari blasonatissimi Cavalleri, Cà del Bosco, Bellavista), che, pur nella loro piacevolezza, sono sembrati letteralmente sbiaditi nel confronto.

Chiudo i bianchi con un grande vino: il Trebbiano d’Abruzzo 2007 di Valentini: potente e complesso, con meravigliosi accenni di idrocarburo.

Per i rossi mi piace ricordare il Primitivo di Manduria Es 2010 di Gianfranco Fino, molto discusso in questi ultimi due anni e che non avevo mai assaggiato. Mi ha colpito come un vinone da 16,5 gradi (!), bellissimo da vedersi, possa restare fine, facilmente bevibile e continuare a rivelare ampiezza di sentori.

Passo in Sicilia, e ritrovo il miracolo di Arianna Occhipinti: il suo Frappato 2010 è il rosso dalla bevuta più coinvolgente che io conosca, e pensare che un vino così sfaccettato e delicato provenga dal caldo sud, lo rende ancora più intrigante.

 

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