Dolcetto Superiore 2009, Roddolo

Comperate durante la visita, ho ancora sepolte in cantina alcune bottiglie dell’ormai mitologico (a causa degli scritti di “prezzemolino” Scanzi) Dolcetto di Flavio Roddolo, e con le prime piogge credo sia venuto il momento di metterci mano…


Roddolo_DolcettoSupDenominazione
: Dolcetto Superiore
Vino: Dolcetto
Azienda: Flavio Roddolo
Anno: 2009
Prezzo: 12 euro

Aromi non esuberanti ma che nelle prime ore dopo l’apertura si sciolgono in delicatezze insospettabili: a parte la frutta matura, ecco alcune sfumature di viola e leggere speziature. Il giorno seguente il tutto sarà più smorzato, ed emergerà maggiormente il frutto.

L’ingresso è caldo, deciso, con un tannino dal bel grip robusto. L’acidità è notevole, la lunghezza buona e la chiusura lascia una lieve mandorla, non fastidiosa.

E’ un vino magari semplice (ma non troppo), ed uno dei pochi casi in cui mi va di spendere il termine territoriale. Vino che richiama agnolotti, sughi, coniglio, cibo con una certa untuosità. Gastronomico insomma, e stagionale: sarà la suggestione, ma bevendolo non possono venire in mente le colline langhette durante l’autunno.

Io ne ho fatto accompagnamento brutale e semplice, un giorno con caldarroste e l’altro con pane e salame: molto bene in entrambi i casi, perfino con le castagne.

Il bello: vino quotidiano alla ennesima potenza
Il meno bello: nulla da segnalare

Articoli correlati:

Flavio Roddolo, ritratto di vignaiolo in Langa

E’ ora di distruggere quel briciolo di reputazione che mi resta e diventare definitivamente un eno-paria; confesso i miei peccati facendo coming out e dichiarandolo pubblicamente: a me, spesso, la mitizzata “visita in cantina” provoca una noia degna della visione coatta di un paio di puntate di Porta a Porta.

Ti emoziona vedere l’ennesima linea di imbottigliamento? Ti interessa davvero la lista dei materiali eco-compatibili con cui è stata costruita la cantina all’avanguardia di turno?
No, perché diciamolo: sovente la routine è: occhiata alla vigna (che avevi visto altrettanto bene prima di suonare il campanello), giro in cantina, banco di assaggio, acquisto. Fine, per fortuna.
Il tutto condito da qualche massima che già conoscevi, avendo letto tutto del produttore su varie guide e siti, e da molti sbadigli.

Vado oltre, e confesso anche di non avere il mito della campagna e dei bei vecchi tempi andati, dei quali sembrano nutrirsi molti appassionati di vino, magari mentre vanno in pellegrinaggio in Borgogna con l’aereo o con il SUV.
Mi spiego: nulla in contrario alla tradizione e ai suoi riti, ma non posso dimenticare che lo stato di natura dell’uomo è vivere (temo in modo non particolarmente piacevole) prima nelle grotte e poi sulle palafitte, dove non mi risulta fossero disponibili salotti con cantinetta termo-condizionata e umidificata per conservare bottiglie di Monfortino.
Insomma, la tanto bistrattata modernità direi che qualche progresso ce lo ha fatto fare: mio nonno, uomo mite e nato contadino, quando sentiva recitare il classico luogo comune “come si stava bene una volta in campagna, quando non avevamo niente”, si incazzava e rispondeva che la vecchia cascina era disponibile e potevano andarci quando volevano sul monte, senza corrente elettrica e senza acqua in casa, a soffrire il freddo e a sfamarsi con la polenta tutti i giorni.

Roddolo vigne 2Tutto questo lungo preambolo, che spero perdonerete, per dire che nei giorni scorsi sono stato da Flavio Roddolo, produttore di nicchia assai raccontato e mitizzato in certi ambienti (Scanzi in primis), e che quando mi avvicinavo da Monforte verso la Frazione Sant’Anna, Bricco Appiani, stavo cercando di far chiarezza nelle mie aspettative.
Avrei trovato l’ennesima declinazione del Contadino All’Antica con la tv satellitare? O del Vignaiolo Etico che ti racconta di come ama api e insetti nei filari?

Poco tempo per riflettere, appena metto piede fuori dall’auto sbuca fuori casa un omone barbuto, insospettito dal rumore di automobile; una stretta di mano frettolosa e mi chiede se voglio vedere la cantina (che poi sarebbero due: una, quella vecchia, un piccolo antro con ammassate alcune barrique e un paio di scaffali di bottiglie vecchie, e l’altra più grande e nuova, tanto umida da avere il pavimento praticamente zuppo e pericolosamente viscido).

Roddolo Cantina 3Le parole arrivano con parsimonia e sincerità; sono quelle con cui l’omone risponde alle domande: le barrique le ha sempre usate perché ha poca uva e a volte le botti grandi sono, appunto, troppo grandi ed è un problema, e le vecchie bottiglie le conserva in piedi perché le avevano messe via così, non pensando di conservarle per venti, trenta o quaranta anni, e insomma perché spostarle?
Una breve sosta all’aperto, dove mi mostra fin dove arrivano i suoi vigneti e poi, lamentandosi della temperatura che non gli consente di imbottigliare il dolcetto, entriamo in casa per assaggiare qualcosa.

Roddolo Cantina 1Così sorseggi, scaldandoti dal freddo di una giornata che appartiene più all’inverno che al mese di Aprile, davanti ad un signore dall’aria severa, che ti fa accomodare, ti serve bicchierate pantagrueliche del suo vino (senza raccontartelo: grazie a Dio non spende una parola su mineralità, acidità, terroir e lieviti), dimentica di porgerti il cestino con i grissini, e magicamente (ma tutto sommato non del tutto inaspettatamente) si mette a parlare di mille argomenti, come se infondo gli facesse quasi piacere averti in visita, e infatti ti tiene oltre due ore nelle quali ti getta dei frammenti di verità, raccontando di come, ai tempi di suo padre, al mosto si aggiungesse talvolta zucchero e/o sale, del rifiuto di andare alle varie manifestazioni (“sono stato tre o quattro volte al Vinitaly, me lo avevano chiesto degli amici, ma dopo qualche ora me ne sono andato. Adesso non vado più, ho troppo da fare.”), della passione per la caccia (trascurata), della difficoltà burocratiche e legislativa di poter assumere aiutanti e soprattutto, con un pizzico di commozione, delle tre bottiglie di dolcetto del ’67 che ha ritrovato recentemente (forse il suo primo vino; una dice di averla stappata da poco e di essersi stupefatto trovandolo ancora perfetto).

Ancora, si apre senza problemi raccontando del perché delle vigne di cabernet (“negli anni ’90 lo volevano tutti”), della assurdità della moda con cui si insiste sulla solforosa, mentre magari si assaggiano in batteria 100 vini, e invece il vino è fatto per essere bevuto poco e durante i pasti, altrimenti fa male, e delle repentine conversioni al biologico di tanti colleghi, avvenute in cinque minuti, mentre lui per eliminare gli insetticidi ci ha messo anni.

Prima di congedarti, ti offre un bicchiere di bianco da uva Favorita che ha fatto per lui,  dice che lo ha lasciato in damigiana per 10 anni(!) (“continuava a fermentare, lo ho lasciato andare e poi l’ho dimenticato”) e lo ha imbottigliato da poco, dopo averlo portato ad analizzare per curiosità.
Ovviamente è meraviglioso: oro, aromatico, caldo, fresco, pieno, mi ricorda alcuni importanti friulani, e solo in questo momento, per un attimo, pensi che forse ti stia prendendo in giro, che non è possibile, e che forse ti ha ingannato con una recita ben architettata; poi lo vedi con quella faccia, dura ma gentile e tranquilla, e passa subito.

Comperi le tue due cassette di vino, paghi e te ne vai a pranzare, che è quasi l’una. Tornerai tra 10 minuti perché hai dimenticato la macchina fotografica: dovrai suonare a lungo e verrà ad aprirti in tuta da lavoro: “Come, non mangia?”. Risposta: “Eh, c’è da fare”.

Roddolo vigne 1Ah, I vini?
Fate voi, non ho certo tirato fuori il libricino per prendere appunti, mi sarei sentito oltremodo ridicolo e imbarazzato; ad ogni modo, sarà stata la suggestione della Langa e del personaggio, ma mi sono sembrati tutti speciali, dal Dolcetto superiore (senza dubbio il dolcetto più piacevole e particolare mai assaggiato, pur restando invidiabilmente austero), passando per la ricca freschezza della Barbera e per uno stupefacente Nebbiolo, sicuramente ben superiore a tanti Baroli rinomati e di ben altro prezzo, per finire con il Barolo (che, pur implorandoti di esser messo via per altri dieci anni, è già godibile fin d’ora) e con il Cabernet (di grande spessore e complessità, dal quale emerge un varietale netto ma non stucchevole).

La prima conclusione è che Roddolo non è un sofisticato gentiluomo di campagna o un vignaiolo furbamente affabulatore, semplicemente è un contadino che sembra davvero amante della sua campagna e che ci tiene a fare un buon vino, e l’unico metodo che considera adatto per produrre le sue ventimila bottiglie l’anno è quello che ha visto usare da suo padre.

La seconda conclusione è che confesso un leggero moto di imbarazzo nello scrivere queste righe: cosa c’è di più distante della moderna vanità di un blog personale dalla imperturbabile semplicità di un vignaiolo che ancora possiede un vecchio telefono, di quelli della SIP, grigi e con la rotella per selezionare i numeri?

Articoli correlati: