Pinot Nero Riserva Hausmanhof 2010, Haderburg

Questa era una bottiglia comperata dal produttore e messa via in attesa di valutarne la maturazione, ma alla fine quanto vuoi aspettare non potendo godere né di una cantina adatta a lunghi invecchiamenti e neppure di una riserva di etichette infinite cui attingere? (Senza parlare poi della carenza della proverbiale pazienza di Giobbe…).

Quindi, via allo stappo, tanto le informazioni di rito sul produttore le ho già buttate giù in occasione della visita.

Denominazione: Alto Adige DOC
Vino: Pinot Nero Riserva Hasumanhof
Azienda: Haderburg
Anno: 2010
Prezzo: 25 euro

Colore scarico, come giusto per il vitigno, più vivace a centro bicchiere ma già lievemente aranciato sull’unghia.
Naso non troppo complesso ma con un bel fruttato di lampone in evidenza, senza esagerazione e con un minimo accenno balsamico.

In bocca si conferma molto lineare, l’acidità è buona ed è ben bilanciata da un leggero calore alcolico, decisamente non fastidioso. Torna il frutto, mentre il tannino è appena accennato e il vino chiude con una discreta lunghezza.

Vino piacevole e per il quale è difficile un giudizio esaustivo: da un lato la base è ottima e lascia pensare che l’evoluzione futura possa portare a vette superiori, dall’altra è vero che già sette anni sono passati e si intravede qualche invecchiamento al colore che lascia temere la necessità di consumare in tempi brevi.
Ne ho ancora una bottiglia: vedremo

Il bello: bevuta gradevolissima

Il meno bello: manca un po’ di complessità

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Kerner Praepositus 2012, Novacella

Viviamo in un tempo in cui spesso un vino è valutato sulla base di una presunta “purezza”: di vitigno, di lievito. Giorni nei quali si valuta positivamente, a prescindere, la sottrazione di manipolazione in nome di una ipotetica e mitologica naturalità, e quindi ad esempio il controllo della temperatura in fermentazione per alcuni pasdaran è quasi sinonimo di blasfemia.

Temo sia dovuta a questo contesto una certa svalutazione del Kerner, uva “tecnologica” perché ottenuta tramite l’incrocio di Schiava e Riesling, ma a me di queste generalizzazioni banali importa poco o punto e quindi per questo ho davanti un classicone del vino altoatesino, il Kerner della Abbazia di Novacella.

Due parole sulla cantina occorre spenderli: è una vera Abbazia (i monaci sono Agostiniani), situata ad oltre 600 metri di altitudine nel proverbiale paesaggio da incanto delle valli di questo spicchio estremo d’Italia che definire vocato alla produzione vitivinicola (i bianchi in particolare) è un eufemismo.

La bottiglia è millesimo forse un po’ remoto per un vino che dovrebbe giocarsela principalmente sul terreno della freschezza e della finezza degli aromi, quindi sulla carta è a rischio, ma ho memoria di un passaggio in un libro di Cernilli in cui si cita una buona predisposizione all’invecchiamento, dunque vado avanti con il bancomat.

p-_kernerDenominazione: DOC Alto Adige
Vino: Kerner Praepositus
Azienda: Abbazia di Novacella
Anno: 2012
Prezzo: 17 euro

Il  tappo risponde bene, visivamente è tutto a posto con un bel giallo paglierino ancora vivace, come fosse stato appena imbottigliato.
Buone impressioni anche al naso, ricco di frutta fresca: pompelmo rosa, mela verde e qualcosa di tropicale (mango?).

Ottima la acidità, che assieme alla fragranza di gusto nasconde bene l’alcol.
Il corpo non è esile e in generale la bevibilità è assassina finché il caldo non prende il sopravvento su una temperatura di servizio accettabile. A mezzo sorso un originale accenno minerale-fumè che immagino derivi dall’invecchiamento arricchisce la bevuta, che termina con un finale piuttosto lungo e la conferma della capacità di ulteriore affinamento.

Bella bevuta, piuttosto semplice ma assai gradevole, da provare ancora magari accanto ad un millesimo più recente per valutarne le differenze, sempre in accompagnamento felice a piatti estivi: paste fredde, torte di verdura, pesce.

Il bello: Fresco, gradevole senza banalità

Il meno bello: nulla da segnalare

 

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Bolle dal paradiso: Haderburg

HaderburgD’accordo, non conta nulla e importa a pochi, ma se potessi assegnare il premio per l’azienda agricola (intesa come vigneti, posizione, panorama e tutto quel che ne consegue) più bella e coreografica mai visitata, il titolo verrebbe assegnato alla Azienda Agricola Haderburg. No contest, vittoria per ko tecnico.

Certo, immagino che la vittoria sia stata favorita dall’aver raggiunto le alture circostanti Salorno (più precisamente: Località Pochi) in questo mese di Aprile cui la primavera un po’ strampalata regala montagne con neve in gran quantità fino ancora a 1300 metri, bianchissimi meli in fiore in tutta la Piana Rotaliana, erba dal verde abbacinante e 26 gradi di temperatura, ma effettivamente la location (come dicono quelli moderni) ha pochi rivali.

HaderburgPochi concorrenti ha anche l’accoglienza della famiglia Ochsenreiter: con il Vinitaly in pieno svolgimento abbiamo comunque tentato il colpaccio chiamando il mattino per prenotare una visita di lì a pochi minuti. Pensavo ad una pernacchia, invece ci è stato risposto che qualcuno (nella fattispecie il gentile figlio del titolare Alois) è sempre presente in azienda e ci avrebbe accolto volentieri.

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Haderburg Detto fatto, in pochi minuti si sale in auto da Salorno fino alla collina che ospita il podere Haderburg, abbarbicato a circa 400 metri di altitudine sul confine meridionale dell’Alto Adige, a dominare l’immensa distesa di vigneti e alberi da frutta che circonda il corso dell’Adige, con le Alpi in secondo piano che incorniciano il tutto.
In una tersa e fiorita giornata primaverile come quella in cui sono incappato il panorama è difficilmente eguagliabile.

L’azienda, i cui prodotti più noti sono indubbiamente i metodo classico, vinifica dal 1977 e ormai da molti anni si è convertita a regime biodinamico; i cinque ettari e mezzo di vigneti a pergola modificata del maso Hausmannhoff, piantati su terreno fangoso e argilloso rivolto a Sud-Ovest, sono quelli da più tempo di proprietà della famiglia e servono a produrre le bottiglie più prestigiose; ci sono poi altri tre ettari in Valle Isarco, dedicati a Müller-Thurgau, Pinot grigio, Riesling, Sylvaner, Gewürztraminer e Kerner.

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La gamma dei vini spumanti mi era già ben nota (ne ho parlato ad esempio qui e qui), ma un ripasso non fa mai male: il Brut base (85% chardonnay, 15% pinot nero, 24 mesi di affinamento sui lieviti, no malolattica) è un prodotto sincero, che non tradisce mai e dal prezzo sicuramente corretto; il Pas Dosé (85% chardonnay, 15% pinot nero, 36 mesi sui lieviti, no malolattica) secchissimo e nervoso, aggiunge sapidità e pienezza; il Rosè (60% pinot nero, 40% chardonnay, 24 mesi sui lieviti) gode di uno straordinario colore e presenta piacevoli e intensi richiami ai piccoli frutti di bosco.

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Il top di gamma è l’Hausmannhof 2004 (100% chardonnay, affinamento di un anno in piccole botti di legno, non svolge la malolattica e poi 8 anni sui lieviti; in precedenza erano 10, se non vado errato), per il quale vale la pena spendere qualche parola in più: bel giallo dorato, luminoso, con bollicine sottili (forse non numerosissime) che in bocca si rivelano sorprendentemente morbide, per nulla graffianti e persino troppo addomesticate.
Olfattivo di buona intensità, ricco di pasticceria e fiori maturi.
Il primo sorso è leggero e poi cresce di intensità nella parte centrale e finale dell’assaggio.
Estremamente scorrevole: l’acidità c’è ma è ben mascherata e in generale è difficile discernere la varie componenti: tutto concorre ad una sicura rotondità, mai piaciona o noisamente morbida, ma sempre elegante e composta.
Bella chiusura, senza amarezze e con discreta lunghezza: resta un piacevole ricordo sapido.
Ottimo vino, dal prezzo comunque importante, al quale (se mi è consentito muovere un appunto), chiederei un po’ di spunto brioso in più.

Non avevo mai assaggiato i vini fermi, e l’impressione generale è sicuramente di prodotti di buon livello, con una punta di eccellenza per il Pinot Nero Riserva Hausmannhof (affinamento per 12 mesi in barriques nuove e altrettanto tempo in legno già usato): la sera precedente al ristorante avevamo bevuto questo stesso vino nel millesimo 2004 restandone fortemente colpiti per rotondità e freschezza ma anche finezza del tannino e per la buona persistenza. Il 2010 (al momento molto giovane) promette altrettanto: ne ho prese un paio di bottiglie da lasciare in cantina qualche anno.
Convincente il Pinot Nero: più semplice e immediato rispetto alla Riserva, dimostra comunque grande freschezza e facilità di bevuta.9 Molto interessante il passito Perkeo (Gewürztraminer e Petit Manseng): acidità notevole, gradazione non eccessiva e corpo piacevolmente scorrevole lo rendono per nulla stucchevole nonostante la dolcezza e l’aromaticità spiccata.
Il vino che ho trovato meno convincente è il Riesling: poca personalità, corpo sfuggente, olfattivo un po’ banale.

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Haderburg Pas Dosé, 2009

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Ho già parlato di Haderburg, ma ho piacere a ribadire che si tratta di un nome sicuro per quanto riguarda la spumantistica italiana d’eccellenza; per saperne di più sulla azienda rimando alle mie note riguardanti il Brut base e al sito del produttore.

Stavolta mi approccio al Pas Dosé, una tipologia non facile, sicuramente di nicchia ma che da qualche tempo gode di buon favore nelle cerchie degli appassionati più hardcore (si può far riferimento a questo post per un veloce ripasso sui dosaggi e la relativa classificazione).
Personalmente, forse anche per questioni territoriali e climatiche, apprezzo decisamente la assenza di dosaggio in molti metodo classico italiani, più che francesi.

haderburgDenominazione: Alto Adige DOC
Vino: Pas Dosé
Azienda: Haderburg
Anno: 2009
Prezzo: 25 euro

Al sodo: si tratta di un millesimato, prodotto con 85 % chardonnay e 15 % pinot nero, affinamento in acciaio e rovere, 36 mesi sui lieviti, assenza di fermentazione malolattica e appena 2 grammi per litro di dosaggio zuccherino.

Colore paglierino brillante, bolla non troppo copiosa ma fine e ben continua. Olfattivo tenue, delicato di agrume, mela verde, erba e lievito.

Come facilmente intuibile parte secchissimo, citrino, con bella freschezza, ma pur essendo un pas dosé non è una lama acida, al contrario c’è equilibrio. Sicuramente lascia bocca pulitissima, senza stucchevolezza.
Buone struttura e corpo, il sorso è bello pieno.

Il bello: dritto, fresco, pulito. Prezzo accessibile
Il meno bello: naso non particolarmente intenso

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Vorberg 2010, Cantina Terlano

VorbergDenominazione: Alto Adige Terlano DOC
Vino: Vorberg
Azienda: Cantina Terlano
Anno: – 2009
Prezzo: 17 euro

Pochi accenni per un vino che teoricamente aveva tutte le carte in regola per entusiasmarmi (bianco del nord, ottiene sempre ottime recensioni e proviene da una cantina che lavora costantemente bene e mantiene prezzi civili), e che invece mi ha lasciato con qualche (piccolo) dubbio.

Poco da dire su Cantina Terlano, se non che è uno degli esempi virtuosi di cantina sociale: fondazione a fine 1800, numerosissimi soci che forniscono uva per oltre un milione di bottiglie di varia tipologie (tutte DOC, al 70% vini bianchi), e un ventaglio di proposte dalle più semplici fino alle rarità di proposte in occasione di annate particolari.

Questo Vorberg è vinificato al 100% con uve di pinot bianco provenienti dall’omonimo cru posizionato tra 350 e 900 metri di quota; fermentazione, malolattica e affinamento svolti in legno grande.
Si comincia: vino molto bello alla vista, giallo paglierino squillante. Olfattivo ricco, intenso e complesso, principalmente frutta (melone, agrume, ananas), poi i fiori di camomilla e un accenno di minerale.

In bocca è molto pieno, grasso, robusto; azzarderei persino burroso ed opulento, certamente non coerente con un naso decisamente più fresco ed elegante.
Caldo, molto più sapido che fresco; i 13,5 gradi dichiarati si sentono tutti. In sostanza: il varietale del vitigno c’è, ma ancora di più si avvertono potenza e lunghezza.

Ovviamente non posso dire che non mi piaccia, ma la bevuta non è irresistibile come avrei immaginato: è un vino fatto molto bene e che ambisce ad una certa importanza, ma gli trovo il limite (perlomeno in questo momento evolutivo) di essere parzialmente irrisoluto tra un anima fresca e una volontà di struttura.
Lo riproverei con qualche manciata di mesi in più di cantina, e non escludo di averlo “preso male” io, magari partendo da aspettative sbagliate, o anche di aver incontrato una bottiglia un poco carente in freschezza.

Per quanto sopra, consiglio di consumarlo in abbinamento a preparazioni un minimo elaborate: non è il classico pinot bianco profumato da aperitivo.

 

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Nosiola 2009, Cantina Rauten

[Disclaimer: bottiglia gentilmente omaggiata da Avionblu nell’ambito della iniziativa “15 recensioni in cerca di autore”. Il prezzo si aggira attorno ai 16 Euro]


Nosiola RautenIl Trentino Alto Adige è la terra di molti dei vini italiani che preferisco: vini del nord, quindi freschi, facilmente bevibili senza essere banali e, vivaddio, spesso acquistabili ad un prezzo umanamente sostenibile.

Il paesaggio spazia dalla Piana Rotaliana, immensa pianura coltivata a pergola trentina che si estende a perdita d’occhio fino alle alture che la proteggono, per arrivare a zone più impervie nelle quali la coltivazione dell’uva diventa un fatto eroico.
Le numerose vallate, il gran numero di corsi d’acqua e di laghi, la forte escursione termica giorno-notte, l’azione mitigatrice dei venti (l’“ora del Garda”) e in generale la ricchezza della natura, oltre e favorire la aromaticità del frutto, suggeriscono un preconcetto favorevole nei moderni amanti del vino, che cercano non solo un prodotto piacevole ma anche contatto con il territorio e rispetto dell’ambiente.

In questo scenario ideale, costellato da un numero considerevole di produttori di notevole diversità (da colossi come Ferrari alle cantine sociali, passando per numerosi piccoli produttori, quasi tutti accomunati da grande rigore nella ricerca della qualità), nella tradizionalmente vocata valle del Sarca cresce la Nosiola della azienda Rauten: un vino prodotto in pochissime bottiglie da agricoltura biologica.

Alla vista si presenta di colore paglierino caldo, mentre l’olfattivo è delicato di floreale e di fieno, con un tocco minerale.
Secco, fresco e lievemente sapido, ha struttura e complessità notevoli, immagino dovute alla macerazione di una settimana sulle bucce, alla lunga permanenza sui lieviti in botte di acacia e all’anno e mezzo di affinamento in bottiglia.
Estremamente bevibile nonostante i 13 grandi, chiude con un finale gentile di nocciola, coerentemente alla denominazione del vitigno.

Un vino elegante, di buona complessità e piacevolezza, che io ho accompagnato con successo ad una torta di verdura, ma che ritengo adatto anche a carni bianche, primi piatti leggeri, pesce.

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