Non so bene quando, ma ad un certo punto il ristorante Violetta si è regalato un nuovo sito (intrernet, intendo: la locazione fisica è sempre la stessa) al posto della paginetta precedente, che sembrava un residuato di inizio anni 90.
Lasciando perdere che il vuvuvù nuovo pare pure lui teletrasportato da un passato (appena un po’ meno) remoto, dato l’evento immaginavo e un po’ temevo fosse intervenuto un nuovo corso a stravolgere uno dei ritrovi storici della zona, ma così non è.
La Violetta di Calamandrana resta il ristorante che conoscevo: piedi saldi nella tradizione culinaria Piemontese e la volontà di essere qualcosa di più di una trattoria (anche nei prezzi), certificata dall’ambiente curato e dal servizio fin troppo affettato (ho smesso di contare i “grazie signore” dopo circa 10 minuti, quando il totalizzatore già era schizzato alle stelle).
Il risultato è ambiguo: il cibo è buono, nulla da dire: plin perfetti e leggeri, stracotto che si scioglie in bocca ed è impossibile resistere, devi fare scarpetta, faraona ripiena gustosa e finanche elegante. Eccetera. La carta dei vini è come te la aspetti: centratissima sui nomi del posto, con una sfilza di barbere da far girare la testa e ricarichi onesti.
Di contro il menù è sempre lo stesso, inchiodato, e pazienza, ma soprattutto (ed è una cosa che non sopporto) non ti lasciano la carta, che non esiste, ma ti elencano le portate a voce, quindi non sai cosa spenderai e devi decidere in un amen davanti a chi recita il rosario… Fastidiosissimo.
Ancora, come dicevo prima, il servizio è sicuramente troppo ossequioso e fa pendant con la sala curata ma un po’ demodé.
Conto quasi corretto: alla fine, a spanne, si spende sui 12 euro a portata (primi e secondi): qualche inchino e tovaglietta in meno potrebbero limare gli spiccioli e perfezionare quella che è una (ottima) trattoria, oppure si abbia il coraggio di fare il passo e traghettare la cucina verso qualcosa di più impegnativo e, certo, adeguare al rialzo i prezzi. Così siamo in mezzo al guado.