La degustazione secondo la didattica AIS, parte terza: l’esame gusto-olfattivo

Finalmente si beve! Fino ad ora ci siamo attardati in preliminari, osservando e annusando quello che c’è in quel benedetto bicchiere, adesso è ora di assaggiare, cercando di capire se le ipotesi che abbiamo avanzato nelle fasi visive e olfattive sono fondate o meno.

tastevin-sommelierSi parte avvinando la bocca, con un piccolo sorso che serve solo per ripulire da eventuali sapori precedenti, e poi si prende un secondo sorso di quantità tale da non essere troppo diluito dalla saliva.
Trattenendo il liquido nella parte anteriore della bocca, si inspira attraverso i denti: l’aria si mescola al vino, che viene scagliato contro le papille gustative (entrambi i fattori determinano una maggiore rilevanza delle sensazioni); la lingua provvederà poi a muoverlo in tutto il cavo orale.
Dopo la deglutizione, tenendo la bocca chiusa, si espira dal naso e si mastica “a vuoto” contando i secondi di durata di tutte le sensazioni gustative.

Questa storia della inspirazione tra i denti, del palleggiamento del liquido e della masticazione è una roba da prendere con le dovute precauzioni: non è necessario emettere rumori degni di un aspirapolvere guasto per completare l’esame…. ricordiamoci anche che la degustazione ha un suo contesto, che non è quello conviviale della bevuta in compagnia: chi si mette a fare questo show durante una cena merita tutto lo scherno immaginabile e anche di più.

L’ assaggio evidenzia due tipi di sensazioni, quelle gustative e quelle tattili.
Quelle gustative non vengono percepite contemporaneamente, ad esempio la dolcezza è nettamente la prima ad essere avvertita, e sono:
– dolcezza: causata dagli zuccheri residui (non fermentati) presenti nel vino
– acidità: causa leggera contrazione gengivale e salivazione, per questo è rinfrescante
– sapidità: causa salivazione filante
– amarezza: determinata dai tannini e da altri polifenoli. E’ gradevole se leggera.
– umami

Le sensazioni tattili sono:
– pseudocalore: sensazione di causticità sulla mucosa orale, causata dall’alcol etilico
– morbidezza: sensazione di morbidezza dovuta ai polialcoli, in particolare alla glicerina
– astringenza: sensazione di secchezza e astringenza dovuta ai tannini
– effetto termico: la percezione di pseudocalore e morbidezza è accentuata a temperature superiori, al contrario le basse temperature esaltano sapidità e tannicità, mentre la percezione della acidità resta invariata
– pungenza: causata dalla eventuale anidride carbonica
– consistenza: causata dalla ricchezza di estratto

vinoNella pratica, l’esame gusto-olfattivo analizza una lunga serie di fattori del vino: le cosiddette morbidezze  (zuccheri, alcoli, polialcoli), le durezze (acidità, tannicità, sapidità), la struttura, l’equilibrio, l’intensità, la persistenza, la qualità, lo stato evolutivo, l’armonia.

Analizziamo per prime morbidezze, durezze, struttura ed equilibrio.
Le morbidezze sono:

– Zuccheri: gli zuccheri residui, quelli che restano dopo la fermentazione, determinano la dolcezza del vino. Vini con il medesimo residuo zuccherino possono dare diversa sensazione di dolcezza, a seconda dell’equilibrio con le durezze

– Alcoli: dopo l’acqua, sono i componenti più abbondanti. Il più importante è quello etilico, che è responsabile della sensazione di pseudocalore, dovuta all’effetto disidratante e a quello vasodilatatore. Vini con la stessa quantità di alcol possono creare diversa sensazione pseudocalorica, in base alla diversa struttura

– Polialcoli: è una sensazione gradevole che arrotonda il gusto. Ne sono responsabili gli alcoli, gli zuccheri ma in particolare i polialcoli, soprattutto la glicerina.
La quantità di polialcoli è determinata dalla durata e dalla temperatura della fermentazione e dall’eventuale uso di uve botritizzate.

Le durezze sono:

– Acidità: nel vino sono presenti vari tipi di acidi, che determinano in parte il sapore ma soprattutto sono responsabili della freschezza, inducendo salivazione.
Alcuni acidi derivano direttamente dalle uve (tartarico, malico, citrico), altri so formano durante la fermentazione (lattico, succinico, acetico)..

– Tannicità: i polifenoli si trovano sulle bucce, nei vinaccioli e nel raspo, ma possono anche essere ceduti da un passaggio in legno (botte). La loro quantità e qualità è in relazione al vitigno, alla maturazione, all’ambiente pedoclimatico. Causano una sensazione di secchezza, rugosità e astringenza, contribuiscono a determinare il corpo. A volte provocano anche un finale lievemente amarognolo.
I tannini estratti dalle bucce sono inizialmente duri e astringenti, ma col tempo polimerizzano e si ammorbidiscono, quelli ceduti dal legno sono più morbidi.

– Sostanze minerali: tra gli elementi che contribuiscono a determinare il corpo del vino, alcune determinano la sapidità (anioni, fosfati, solfati, potassio, ferro, rame). Variano in relazione all’ambiente pedoclimatico, alle pratiche enologiche, a conservazione e affinamento.
Spesso nei vini giovani la sapidità è mascherata dalla acidità.

– Struttura: è determinata dall’estratto secco, che è quanto resta dopo aver fatto evaporare dal vino l’acqua, l’alcol e tutte le componenti volatili. Restano zuccheri, acidi fissi, polifenoli, sali minerali, glicerina, gomme, pectine e altri componenti minori.
Nei vini rossi si aggira sui 20-30 g/l, nei bianchi 16-22 g/l.

– Equilibrio: idealmente l’equilibrio gusto-olfattivo si percepisce quando morbidezze e durezze sono in adeguata contrapposizione, ma occorre tenere presente la tipologia del vino in esame. Vini giovani, vivaci e frizzanti ammettono una leggera predominanza delle durezze, mentre in un vino maturo si accetta un certo prevalere delle morbidezze.
L’equilibrio è legato all’evoluzione: il prevalere delle durezze prospetta un vino che col tempo potrà evolvere e raggiungere l’equilibrio, al contrario un vino sbilanciato verso le morbidezze ha già raggiunto o superato il suo equilibrio.

– Intensità: è in pratica la quantità delle sensazioni saporifere, tattili e gusto-olfattive percepite in bocca. E’ legata a tutto ciò di cui è costituito il vino: struttura, alcol, sostanze aromatiche

– Persistenza: l’insieme delle sensazioni tattili, saporifere e gusto-olfattive che restano in bocca dopo deglutizione ed espirazione. Si valuta in secondi.

– Qualità gusto-olfattiva: si valuta sulla base di intensità, persistenza, piacevolezza, eleganza, finezza e tipicità.

– Stato evolutivo: rappresenta la qualità in funzione della evoluzione. L’equilibrio si sposta dalla predominanza delle durezze a quella delle morbidezze

– Armonia: è la sintesi di tutti i giudizi precedenti.  I due requisiti per avere un vino armonico sono la coerenza delle caratteristiche gustative e l’elevato livello qualitativo.

Zuccheri Alcoli Polialcoli
Secco
Abboccato
Amabile
Dolce
Stucchevole
Leggero
Poco caldo
Abbastanza caldo
Caldo
Alcolico
Spigoloso
Poco morbido
Abbastanza morbido
Morbido
Pastoso
Acidi Tannini Sostanze minerali
Piatto
Poco fresco
Abbastanza fresco
Fresco
Acidulo
Molle
Poco tannico
Abbastanza tannico
Tannico
Astringente
Scipito
Poco sapido
Abbastanza sapido
Sapido
Salato
Struttura
Magro
Debole
Di corpo
Robusto
Pesante
Equilibrio
Poco equilibrato
Abbastanza equilibrato
Equilibrato
Intensità Persistenza Qualità
Carente
Poco intenso
Abbastanza intenso
Intenso
Molto intenso
Corto
Poco persistente
Abbastanza persistente
Persistente
Molto persistente
Comune
Poco fine
Abbastanza fine
Fine
Eccellente
Stato evolutivo
Immaturo
Giovane
Pronto
Maturo
Vecchio
Armonia
Poco armonico
Abbastanza armonico
Armonico

Articoli correlati:

La degustazione secondo la didattica AIS, parte seconda: l’esame olfattivo

L’esame olfattivo è forse (purtroppo) quello più noto al grande pubblico, quello dei non hardcore fans del vino, che restano spesso giustamente basiti di fronte alle sequele di riconoscimenti mitragliati dall’espertone di turno, che declama di afori di ginestre, anice stellato e selle di cavallo…

In realtà l’esame olfattivo è uno dei momenti più interessanti e piacevoli della pratica di degustazione: iniziamo a verificare la coerenza delle impressioni che abbiamo ricevuto con la fase visiva, otteniamo indicazioni ulteriori sul vitigno e sulle lavorazioni e soprattutto iniziamo a formulare un primo giudizio.

TastevinL’esame si articola in una prima inspirazione, che serve a determinare l’intensità dei profumi (cioè non si valuta quanti o quali siano i profumi, ma quanto forte sia il loro impatto complessivo), e da successive roteazioni del bicchiere, seguite da rapide olfazioni, alternando la narice, in modo da evitare effetti di assuefazione.
La roteazione serve ad areare il liquido ed agevolare il trasporto delle sostanze aromatiche verso il naso.

I profumi del vino sono di tre tipi:
– primari (sono quelli tipici e propri dell’uva. I più facilmente riconoscibili sono quelli delle uve aromatiche: brachetto, malvasie, moscati, gewurztraminer)
– secondari (che si sviluppano nelle fasi prefermentative, fermentative e postfermentative. Tipicamente si tratta di sensazioni floreali, fruttate e vegetali)
– terziari (che si sviluppano durante la maturazione e l’affinamento, grazie a fenomeni ossidoriduttivi e a reazioni di acetalizzazione, esterificazione ed eterificazione)

Oltre a valutare intensità e complessità dei profumi e ad aver trovato qualche famiglia di descrittori in grado di raccontare per immagini quello che si è sentito, l’esame olfattivo prevede un giudizio qualitativo. Per la prima volta il degustatore si trova ad esprimere un giudizio e non semplicemente a cercare di descrivere quanto più  oggettivamente possibile.
Il giudizio sulla qualità olfattiva è la sintesi di intensità, complessità, piacevolezza, tipicità ed eleganza.

Intensità Complessità Qualità Descrizione
Carente
Poco intenso
Abbastanza intenso
Intenso
Molto intenso
Carente
Poco complesso
Abbastanza complesso
Complesso
Ampio
Comune
Poco fine
Abbastanza fine
Fine
Eccellente
Floreale
Fruttato
Erbaceo
Speziato
Tostato
Aromatico
Fragrante
Minerale
Vinoso
Etereo

Articoli correlati:

La degustazione secondo la didattica AIS: l’esame visivo

La scheda di degustazione AIS è un mostro mitologico, da un lato è un piccolo scoglio per tanti corsisti che non appena si rendono conto che devono imparare a memoria una carriola di termini e una precisa sequenza di esposizione vengono travolti dalla depressione, dall’altro basta poco per rendersi conto che l’utilità di tanta fatica è quantomeno dubbia: in casa ho decine di schede fatte durante e dopo il corso che falliscono proprio in quello che dovrebbe essere l’obiettivo principale: la descrizione del vino… bottiglie anche molto diverse finiscono inevitabilmente per essere inglobate nel truppone degli “abbastanza fresco… abbastanza sapido… abbastanza persistente eccetera).

Si potrebbe poi discutere a lungo sulla pretesa di oggettività e sulla liceità dello spezzettare l’esperienza della bevuta in fasi distinte l’una dall’altra, eccetera….
Eppure la scheda (intesa come metodologia, non certo come pezzo di carta da compilare), ha una sua dignità: intanto è un utile promemoria per coloro che si accingono ad assaggiare, indirizzando nella valutazione di tutti i punti salienti del prodotto secondo una precisa scaletta, e poi soprattutto riesce ad evidenziare le caratteristiche del vino che saranno elementi fondamentali nella tecnica di abbinamento col cibo.
Diciamo che è un elemento propedeutico alla teoria dell’abbinamento, ecco.

TastevinPartendo dall’inizio: la scheda di degustazione non ha dunque lo scopo di valutare qualitativamente il vino (per quello ci sarà la scheda punteggio), ma di darne una descrizione il più oggettiva possibile, misurando semmai quantitativamente le varie componenti (in realtà in alcune fasi ci sono eccome accenti qualitativi).
La scheda si compone di tre fasi: visiva, olfattiva e gusto-olfattiva.
Per quanto possa sembrare strano, l’aspetto di un vino è in grado di raccontare, o perlomeno di suggerire,  molte cose all’assaggiatore esperto (tipo di affinamento, stato evolutivo, vitigno, zona di provenienza…): si tratta quindi di un aspetto da non trascurare.

L’esame visivo è declinato in limpidezza, colore, consistenza e, nel caso in cui si valutino vini spumanti, effervescenza.
Si inizia portando il bicchiere all’altezza degli occhi, controluce, per constatare la limpidezza (ovvero l’assenza di particelle in sospensione) e poi lo si abbassa, inclinandolo su una superficie bianca: nella zona di maggiore spessore si valutano il colore e l’intensità, mentre i bordi daranno indicazioni sulle sfumature utili per la previsione dello stato evolutivo.
Qualche lenta roteazione del bicchiere è utile per dare l’idea del “peso” del liquido e per formare lacrime e archietti, in modo da capire la consistenza (la discesa veloce delle lacrime e l’ampiezza degli archetti sono indice di poca consistenza). Nel caso di vini “mossi” (spumanti charmat o metodo classico, frizzanti rifermentati in bottiglia eccetera), si omette la analisi della consistenza in favore di quella del perlage.

La valutazione più importante è forse quella del colore: permette di verificare la corrispondenza del vino con la sua tipologia, la relazione con l’ambiente pedoclimatico e il potenziale evolutivo.
Si osservano:
– l’intensità (che dipende dalla quantità di pigmenti del vitigno, dall’ambiente pedoclimatico di coltivazione e dalle pratiche enologiche utilizzate)
– la tonalità (che dipende dal tipo di pigmenti del vitigno, dalla acidità del vino e dalla evoluzione)
– la vivacità (che dipende dalla acidità, dalle pratiche enologiche e dalla evoluzione).

La consistenza è la conseguenza della quantità di alcoli, polialcoli, polifenoli, zuccheri e altre sostanze contenute nel vino.

Limpidezza Colore Consistenza Effervescenza
Velato
Abbastanza limpido
Limpido
Cristallino
Brillante
Giallo verdolino
Giallo paglierino
Giallo dorato
Giallo AmbratoRosa tenue
Rosa cerasuolo
Rosa chiarettoRosso porpora
Rosso rubino
Rosso granato
Rosso aranciato
Fluido
Poco consistente
Abbastanza consistente
Consistente
Viscoso
– Grana delle bollicine:
Grossolane
Abbastanza fini
Fini
– Numero delle bollicine:
Scarse
Abbastanza numerose
Numerose
– Persistenza delle bollicine:
Evanescenti
Abbastanza persistenti
Persistenti

Articoli correlati:

Oude Kriek, Hanssens

Proseguendo a casaccio nel nostro viaggio tra le rifermentazioni in bottiglia, stavolta arriviamo da Hanssens, in Belgio, attorno a Bruxelles: la patria di quello strano ibrido che è il Lambic.

Tralascio ogni spiegazione sullo stile, qualsiasi cosa io possa articolare sarebbe comunque più imprecisa e meno dettagliata di quanto riportato in questo vecchio scritto, vergato dal Principe del Pajottenland in persona: Lorenzo Dabove, AKA Kuaska.

Hanssens  kriek

Denominazione: Birra Kriek
Vino:  Oude Kriek
Azienda: Hanssens
Anno: –
Prezzo: 11 euro

Hanssens è uno storico blender di lambic: i blender tradizionalmente selezionano il lambic dai produttori per poi affinarlo e creare la miscela da imbottigliare e mettere sul mercato, una sorta di cuvèe, per capirci.
La birra di cui si parla oggi è una Kriek, cioè macerata con le amarene.

Colore rosso torbido, opalescente, poco penetrabile; la schiuma si forma appena accennata ed è evanescente, così come pure la carbonica, lievissima.

Olfattivo classico per la tipologia: la mitologica sella di cavallo qui si sente davvero(!), come il legno umido, l’armadio chiuso e, come dice Kuaska in uno dei suoi aneddoti ormai famosi, le carte da gioco vecchie. La ciliegia si avverte ben poco.

L’acidità in bocca è ovviamente immaginabile, fuori scala: è quella del lambic sommata a quella della frutta; sorprende anche la sapidità, impressionante.

Dopo il sorso è come se fosse passata una smerigliatrice su tutto il palato: sgrassa, brasiva, asciuga… e la lunghezza non è da meno.

Forse un po’ rustica, non troppo sfaccettata, sicuramente brutale, ma vivaddio è veritiera, senza compromessi, un prodotto realmente tradizionale.
Capisco possa non piacere, e di sicuro non è il prodotto adatto per avvicinarsi alla tipologia, ma è una esperienza gustativa notevole.

Il bello: la vera tradizionalità del gusto, senza compromessi
Il meno bello: acidità e sapidità fuori scala. non per tutti

Articoli correlati:

Roncaie sui lieviti 2012, Menti

Preso dalla scimmia dei rifermentati in bottiglia (vini che nei casi fortunati trovo essere goduriosi e gustosamente semplici quanto economicamente abbordabili e persino, nelle migliori occasioni, un po’ eccentricamente originali), mi sono accostato a questa Garganega sui lieviti di Giovanni Menti con un discreto carico di aspettative.
Non è andata benissimo.

Roncaie sui lievitiDenominazione: Vino Frizzante
Vino: Roncaie sui lieviti
Azienda: Menti
Anno: 2012
Prezzo: 8 euro

I dati tecnici in pillole: Garganega 100% da vigneti in pianura con conduzione biodinamica, lieviti non selezionati, controllo della temperatura e nessuna aggiunta di solfiti all’imbottigliamento. La rifermentazione in bottiglia viene attivata aggiungendo mosto di Garganega passita.

Colore giallo paglierino opalescente con riflessi dorati, non spiacevole alla vista (come invece accade ad altri rifermentati). La bolla è per forza di cose poco netta, ma almeno continua e microscocopica.
Olfattivamente è molto lieve, appena un accenno di prugna gialla acerba, di fiori freschi su uno sfondo di un minerale poco definito (gesso?).

Entra in bocca ben secco, sapido, leggero quasi esile, e il finale è aggrumato, lievemente amarognolo e corto.
C’è una buona freschezza, c’è drittezza, ma è davvero molto semplice, sia all’olfattivo, che risulta appena accennato, che all’assaggio, molto fluido.

Ovvio che non è da disprezzare, e a dirla tutta presenta anche una certa gradevolezza, ma anche tenendo presente prezzo e uso di rifermento (rinfrescante fuoripasto, accompagnamento a semplici stuzzichini e similari) scivola via un po’ anonimo.
Giudizio: rivedibile.

Il bello: freschezza, prezzo
Il meno bello: semplicità eccessiva, persistenza limitatissima

Articoli correlati:

Prosecco Vecchie Viti 2011, Ruggeri

Parlare di Prosecco oggi significa scoperchiare un calderone di difficile decifrabilità: si tratta di un vino di enorme successo, in Italia come (e specialmente) all’estero, che di conseguenza necessita di numeri imponenti: ecco quindi un disciplinare di manica piuttosto larga, che ammette ad esempio uve prodotte nelle province di Belluno, Gorizia, Padova, Pordenone, Treviso e rese massime di 18 tonnellate per ettaro.

Proprio a causa della sua popolarità e della enormità dell’offerta (in media qualitativamente assai discutibile, penso ai classici abomini che vengono serviti in millanta bar alla richiesta di un “prosecchino”), il Prosecco non gode di gran stima presso il pubblico degli eno-appassionati hardcore, se non per qualche nome e tipologia di nicchia (penso al recente piccolo fenomeno del Colfondo).

La scorsa settimana ho avuto modo di assaggiare l’intera gamma di vini prodotta da Ruggeri, e, pur non essendo un particolare estimatore della tipologia, ammetto di avere apprezzato e anche di aver avuto alcune sorprese.
Certo, non parliamo dei gioielli sconosciuti di qualche vigneron biodinamico che “tira” poche migliaia di bottiglie: qui ci troviamo di fronte ad una azienda storica che sforna oltre un milione di pezzi l’anno, e che per mantenere uno standard qualitativo elevato in abbinamento a prezzi contenuti, usa metodologie moderne e ben definite (autoclave, temperature controllate, lieviti selezionati eccetera).

I due DOCG più canonici (il brut Quartese e il Dry Santo Sfefano) mi sono sembrati prodotti corretti, ben fatti, ma non particolarmente interessanti.
Le cose cambiano già nettamente con il Giustino Bisol, forse il prodotto più famoso dell’azienda: un extra dry che unisce la morbidezza (non eccessiva e per nulla stucchevole) ad un floreale ricco, fresco e non sfacciato, e con il Cartizze: un dry che ha dalla sua un olfattivo che è una vera esplosione aromatica.

Ma sono i vini più atipici rispetto alla idea canonica di Prosecco quelli che mi hanno stuzzicato maggiormente: l’Extra Brut, che per la sua secchezza (fuori disciplinare, tanto da non poter essere classificato “Prosecco”), per la finezza della bolla e per una certa austerità, ricorda da vicino un metodo classico, e soprattutto il Vecchie Viti, un brut per il quale voglio spendere qualche riga in più.

ruggeri vecchie vitiDenominazione: Valdobbiadene Prosecco Superiore DOCG
Vino: Vecchie Viti
Azienda: Ruggeri
Anno: 2011
Prezzo: 12 euro

L’uva è ottenuta da una selezione assai limitata di vecchie viti di età compresa tra 80 e 100 anni (al 90% circa Glera, con saldo di Verdiso, Bianchetta e Perera), per un totale di circa 5000 bottiglie.

Visivamente giallo paglierino, estremamente tenue, con riflessi brillanti e bolla finissima, non troppo copiosa.
L’olfattivo ha buona intensità, anche se non è esplosivo o sfacciato; sicuramente estremamente fine ed espressivo, dominano un floreale e fruttato composti ed eleganti.

La bocca prevede poco calore, mentre freschezza e sapidità sono di discreto livello; gustativamente si ritrova quanto avvertito al naso, con buona intensità e anche una certa materia e lunghezza, considerata la tipologia.
E’ una espressione particolare di Prosecco, una sorta di avvicinamento ad un metodo classico (forse ad un Franciacorta Satèn) del quale mancano i sentori di lievito, le acidità spiccate e la croccantezza e la numerosità della bolla.
Qui si gioca più sulla freschezza e sulla immediatezza, e anche le sole 4,5 atmosfere di sovrapressione magari contribuiscono a questa sensazione di leggerezza, senza per questo scadere nella piacioneria facilona.
Una bella bottiglia per un aperitivo non scontato.

Il bello: freschezza, aromaticità, prezzo
Il meno bello: un po’ sfuggevole in bocca e in chiusura

Articoli correlati:

Tutto in una notte: sette Nebbioli a confronto

Nebbioli
Foto di Giovanni Tassara

Infondo se ci piace scrivere, ragionare e persino studiare a proposito di vini, è per serate come questa che lo facciamo: per sederci attorno a un tavolo e mentre mangiamo darci sotto con lo stappare, col parlare e magari ridere e cazzeggiare in libertà.

L’idea era tanto semplice quanto di sicuro appeal, 7 partecipanti, ciascuno porta una boccia a tema, e il leit-motiv della serata era indubbiamente intrigante: vini a base nebbiolo di annata 2001, millesimo che gode di ottima considerazione.

Ovviamente bottiglie coperte, così da non subire il malefico effetto placebo dell’etichetta e del prezzo importanti.
Ospitalità e cucina, entrambe di ottimo livello, sono state assicurate dal ristorante U Giancu.

Quello che ho capito, da questa e da altre situazioni simili, è che inevitabilmente occorre fare una scelta: o si privilegia il lato conviviale (e mi sembra doveroso), o ci si distacca per analizzare al meglio il vino. Come ovvio, io sono per la prima opzione, visto che il liquido nel bicchiere è fatto per essere bevuto e non vivisezionato…
Altra cosa che ho imparato: io sono un parvenu in questo folle mondo di eno-appassionati, e per quelli come me è facile lasciarsi influenzare da chi ha più esperienza e competenza, non c’è nulla di male, però a me piace decidere e sbagliare con la mia testa.
Il compromesso che ho messo in piedi per ovviare a questi due inconvenienti è quello di isolarmi mentalmente per i primi due o tre minuti in cui assaggio un nuovo bicchiere, concentrandomi e cercando di non ascoltare chi ho attorno e sforzandomi di scrivere alcune note al volo, sintetiche e sincere.
Poi, libertà di discussione a ruota libera e cambi di opinione se il caso, però le righe iniziali restano a far fede di quella che era la mia opinione originale, non corrotta dal confronto verbale.

A fine cena abbiamo tolto la stagnola alle bottiglie e abbiamo avuto non poche sorprese: a seguire, l’elenco di quanto bevuto nell’ordine di servizio originale (casuale), le mie note prese a bocce coperte e qualche considerazione successiva alla rivelazione delle etichette:

Gattinara Osso San Grato 2001, Antoniolo (circa 45 Euro):
Bel colore tipico da Nebbiolo, ancora molto vivo. Olfattivo ricco ed elegante, viola e scorza di arancio. Tannino presente ma dolce, gradevole. Sensazione di morbidezza e di lunghezza. Idea di vino maturo, di ottima evoluzione.
Bottiglia che paradossalmente ha convinto tutti, pur dividendo; mi spiego: a tutti è sembrato una ottima bevuta (per me uno dei due migliori della serata), ma qualcuno ha ritenuto fosse giunto al culmine e ha penalizzato il fatto che un vino a base Nebbiolo del 2001 dovrebbe avere ancora lunga vita davanti. Sicuramente in questo momento è perfetto, e il mio personalissimo parere è, che deriva da colore e freschezza, è che non sia affatto a fine corsa.

Barbaresco Rabaja Riserva 2001, Giuseppe Cortese (circa 55 Euro):
Colore decisamente più concentrato rispetto al primo campione, ma anche meno vivace. Parte molto chiuso, poi si apre leggermente ma spunta una nota etilica, di smalto, un po’ fuori scala.
In bocca è più potente e ha un tannino confuso, forte ma senza grip deciso.
Non mi entusiasma, e credo abbia già scavallato i tempi migliori.

Barbaresco Asili 2001, Produttori del Barbaresco (circa 35 Euro):
Colore concentrato ma ben vivo, olfattivo ricchissimo, floreale, spezie… arioso ed elegante.  L’assaggio è fresco, intenso, lungo e con un ottimo tannino, robusto e deciso. Bevibilità stellare.
Assieme ad Antoniolo, per me e per quasi tutti, vino della serata. Un bonus ulteriore in considerazione del prezzo favorevolissimo.

Sassella Rocce Rosse 2001, Ar.Pe.Pe (circa 28 euro):
Colore meno vivace dei precedenti, qualcosa non funziona a livello olfattivo: presenti un leggero yogurt, qualche ricordo di plastica… Anche l’assaggio non è compiuto. Vino scomposto, forse il più deludente della batteria assieme ad Oddero.

Barolo Vigna Rionda 2001, Massolino (circa 90 Euro):
Ottimo il colore, bello vivo. Olfattivo ricco e intenso, con sprazzi eterei e frutta matura.
Assaggio di bella intensità, tannino morbido e gradevole. Non troppo lunga la chiusura.

Barolo Bussia Soprana Vigna Mondoca 2001, Oddero (circa 55 Euro):
Colore molto carico, grande consistenza alla roteazione. Olfattivo strano: c’è del vegetale cotto, oliva… non pienamente gradevole.
In bocca c’è intensità e tannicità ben fatta, ma resta qualcosa di non a posto.

Barolo Bussia “Colonnello” 2001, Poderi Aldo Conterno (circa 70 Euro):
Alla vista è scuro, quasi impenetrabile, l’unghia è un po’ spenta.
Naso estremamente evoluto di cioccolato, spezie e cuoio.
Caldo, morbido, intenso, non freschissimo… lunghezza nella media. Bevibilità pesantuccia.
A me sembra giunto nettamente oltre il suo stadio ottimale, a qualcuno è piaciuto molto.

Conclusioni rapide e ovvie: serata divertentissima, in cui (giocando) si è imparato tantissimo.  Da ripetere quanto prima con una diversa tipologia di vini.

Articoli correlati:

Sauvignon 2012, Camillo Donati

Quasi entusiasta per la bottiglia di Malvasia di Camillo Donati comperata a Fornovo, non vedo l’ora di provare quello che da molti è considerato il suo cavallo di battaglia.
Così, anche se forse è troppo presto (il millesimo è il giovanissimo 2012), mi armo di stappabottiglie e metto mano al Sauvignon.

sauvignon donatiDenominazione: Emilia IGT
Vino: Sauvignon frizzante
Azienda: Camillo Donati
Anno: 2012
Prezzo: 9 euro

La prima impressione è più felice rispetto a quella avuta dalla Malvasia: è dorato, con qualche particella ma non torbido, con un colore bello vivo, che sembra decisamente più evoluto rispetto a quanto dichiara l’etichetta.

Olfattivamente si ripropone qualche sentore di frutta cotta, mela e pera. Poi fieno, camomilla… Per nulla stanco, non troppo ricco ma aspettando il giusto lo spettro si infittisce di richiami.

All’assaggio la frizzantezza non è per nulla invasiva, anzi molto morbida.
Il vino è consistente, caldo, ma di nuovo, come per la Malvasia, non si avverte affatto la gradazione (14 gradi). E’ sapido, abbastanza fresco e con chisura leggermente amarognola. Buona lunghezza, superiore a quella della Malvasia.
Molto interessanti e particolari le sensazioni di assaggio che oscillano costantemente fra dolce e amaro, regalando una ottima bevibilità: la bottiglia finisce a velocità pazzesca.
Non saprei se definirlo un pregio o un difetto, ma ho difficoltà a riconoscere il varietale del sauvignon.

Al primo impatto colpisce forse meno della Malvasia (che ha dalla sua una aromaticità più intensa), ma questo Sauvignon dà l’idea di avere più stoffa, di poter durare più a lungo e di poter ambire a titoli anche più prestigiosi rispetto a quello (peraltro per me assai importante) di Grande Vino Quotidiano.

Concludo: entrambi i vini (Malvasia e Sauvignon) mi hanno suscitato le stesse sensazioni di richiamo al mondo della birra, e se si dice che il lambic è l’anello di congiunzione tra la birra e il vino, trovo che questi rifermentati in bottiglia siano all’inverso il ponte tra il vino e la bevanda di Cerere.
Roba piacevolissima: a me una cassa mista, please!

Il bello: prezzo, bevibilità, struttura
Il meno bello: alcolicità elevata

Articoli correlati:

Malvasia Secca 2011, Camillo Donati

Camillo Donati è uno degli outsider della viticultura naturale italiana: produce in zona decisamente più nota per altri generi alimentari (Barbiano, in provincia di Parma, vicino a Felino, zona allegramente famosa per i salumi) ma è riuscito comunque a ritagliarsi una piccola notorietà con vini sinceri, che non hanno pretese di ostentata nobiltà ma piuttosto la felice voglia di accompagnare la tavola quotidiana.

I 12 ettari condotti secondo principi biologici e biodinamici sono coltivati a Malvasia, Sauvignon, Croatina, Lambrusco, Trebbiano, Barbera e Fortana; la vinificazione avviene sempre in rosso, anche per i bianchi, e non viene applicato nessun controllo della temperatura durante la fermentazione. Ovviamente si rifiutano anche i lieviti selezionati, le chiarifiche e in generale qualsiasi intervento chimico… l’unica aggiunta è una leggera solfitazione. I vini ottengono la loro caratteristica frizzantezza tramite spontanea rifermentazione in bottiglia.

malvasia donatiDenominazione: Emilia IGT
Vino: Malvasia secca frizzante
Azienda: Camillo Donati
Anno: 2011
Prezzo: 9 euro

Il tappo è da birra, e quando versi proprio birra sembra: la schiuma è abbondante, pannosa e imponente, naturalmente poi si dissolve subito, lasciando nel bicchiere un vino bruttino alla vista, dorato ma quasi impenetrabile per torbidezza.

L’olfattivo è di frutta cotta, camomilla, fieno… In bocca la frizzantezza è appena percettibile e l’alcol pericolosamente mascherato, quasi inavvertibile (e invece sono 13 gradi).
Ben fresco, con un accenno di sapidità e chiusura lievemente amarognola, per un finale non particolarmente lungo.

Mi ha fatto venire in mente un vino da merende, più che da pasti, e anche se capisco possa accompagnare bene svariate tipologie di cibo, lo vedo come un vino giocoso, da aperitivo, da servire all’aperto in primavera con ricchi taglieri di salumi e di formaggi non troppo stagionati.
Bel vino senza impegni (ma per nulla insulso o facilone), godibile anche nel prezzo.

Il bello: prezzo, piacevolezza
Il meno bello: olfattivo un po’ rustico

Articoli correlati:

Mercato dei vini dei vignaioli indipendenti

Più di 200 vignaioli da tutta Italia, oltre 1.000 etichette, due giorni di incontri, degustazioni, dibattiti, per la 3ª edizione del più grande mercato di vini artigianali italiani

Articoli correlati:

  • Nessun articolo correlato