L’EVENTO DELL’ACIDO: alla spina ci saranno solo BIRRE ACIDE: per la precisione 120 diverse a rotazione su 60 spine.
Winesurf
La festa, oramai a cadenza annuale, è divisa in varie parti:
1. Enocup
ingrandisci festaenocupanchenelsollevante.jpg2. Le grandi sale di degustazione
3. I Duelli Agrari
4. Le sale degli amici di Winesurf
5. Gli artigiani del gusto
6. L’anteprima di “L’Atlante dei vini italiani
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Festival Franciacorta Genova 2014
All’ingresso ti danno il libricino, che oltre a tutti i dati sul Franciacorta, dagli uvaggi, al metodo di produzione, passando per tipologie e modi di consumo, riserva una pagina per ciascuno dei 32 produttori, divisa equamente a metà per ognuno dei due vini in degustazione, con nome, millesimo e uvaggio e lo spazio per annotare le impressioni.
Ecco, quello che più colpisce del Festival Franciacorta (alla sua prima edizione a Genova) è la cura nei dettagli: quella sopra raccontata è una comodità impagabile nelle sessioni di degustazione delle varie manifestazioni, occasioni in cui hai il bicchiere in una mano, la giacca nell’altra, qualche depliant sotto l’ascella, la penna dietro l’orecchio eccetera, e per prendere un appunto devi fare i contorsionismi da fachiro indiano alcolizzato.
Le altre carinerie nei confronti dei visitatori vanno dalla brochure in formato sia cartaceo che elettronico (su chiavetta usb), al gadget portachiavi, dalla location spaziosa e luminosa (i Magazzini del Cotone presso il Porto Antico, dove si svolge solitamente anche Terroir Vino) al catering semplice ma appetitoso, dalla ricca fornitura di acqua in bottigliette ai banchi di assaggio ciascuno con la presenza del produttore e di un sommelier qualificato con tanto di termometro per verificare la temperatura di servizio.
Difficile chiedere di meglio per 15 euro di ingresso (10 per i soci AIS, Fisar, ONAV ecc.)! Il confronto con la mia visita a Vinum di pochi giorni prima è davvero impietoso…
Per un appassionato di bollicine come il sottoscritto è stato un pomeriggio di festa più che di analisi degustative, inoltre, giocando in casa, ho avuto modo di incontrare tanti volti noti, sia tra il pubblico che tra i colleghi sommelier al servizio; mi limito a qualche nota veloce e sparsa sulle cose più interessanti.
Non posso non iniziare da Bersi Serlini: la signora Chiara mi ha accolto come sempre in maniera splendida e mi ha fatto assaggiare un nuovo prodotto che ho gradito molto per freschezza, vivacità o originalità: il Brut Anteprima, dalla vivacità spiccata declinata in una mela verde croccantissima. Un bidone intero per l’estate, please.
Sarebbe facile parlare bene dell’Annamaria Clementi Riserva 2005 di Cà del Bosco, così come del Pas Operè 2007 di Bellavista, ma anche inutile, vista la fama.
Preferisco quindi spendere due righe per qualche outsider (perlomeno per me) come Chiara Ziliani, che sia nel Brut che nel Saten mostrava due vini con piacevoli ed intensi accenti di lievito, il Rosé di Cortebianca, strutturato e selvatico, la delicatezza floreale del Saten 2010 de Il Mosnel, la personalità e la buona persistenza del Demetra Brut di Mirabella, la unicità dei sentori di pesca bianca del Saten di Montenisa, la verticalità carica e decisa del Brut 2009 di Vezzoli.
Piccole delusioni: Uberti, con qualche sentore scomposto sia nel Brut Francesco I che nel Comari del Salem, e Monterossa, che mi è sembrato un po’ grossolano in entrambi i vini. Spero di cambiare le mie impressioni con un prossimo assaggio.
Impressioni finali: buona qualità media, un po’ troppi vini certamente ben fatti ma senza una personalità spiccata, ma c’erano 62 prodotti in degustazione e di certo un non esperto come il sottoscritto a metà batteria inizia a perdere le capacità palatali e un po’ di concentrazione.
Che dire, se non i complimenti per la superba organizzazione e la speranza di rivedere il Festival Franciacorta dalle mie parti anche il prossimo anno (o anche prima: non mettiamo limiti alla provvidenza). Se la manifestazione fa tappa dalle vostre parti, non fatevi sfuggire l’occasione.
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Vinum Alba: occasione quasi mancata?
Spiace non poter dire tutto il bene possibile di una manifestazione di Langa, territorio benedetto per i vini, per di più ospitato in una cittadina deliziosa come Alba, ma qualcosa non funziona.
Andiamo per ordine: sabato sono stato per la prima volta a Vinum, giunta nel frattempo alla trentottesima(!) edizione; il sottotitolo della manifestazione dice tutto: “Fiera Nazionale dei vini di Langhe e Roero”, e dovrebbe essere ben più che abbastanza, visto che sono poche le zone al mondo che possono vantare una concentrazione qualitativa e quantitativa così importante come quella presente in questi territori piemontesi.
Che dire poi di Alba? In quale altro paese scendi dall’auto e vieni avvolto dal profumo di cioccolata e nocciole a metterti di buon umore? E quale altra cittadina sarebbe in grado di non essere messa in ginocchio dalla presenza contemporanea di Vinum, del mercato settimanale e di una beatificazione nella piazza del Duomo? Alba è invasa di persone, ma riesce comunque in qualche modo a restare vivibile, a farti trovare parcheggio e a farti camminare senza essere travolto. Complimenti.
Detto questo, Vinum mi ha lasciato parecchio perplesso. Vediamo perché.
All’ingresso della (bella e comoda) struttura dell’Ente Fiera del Tartufo, dopo aver raccolto una brochure molto ben fatta, si può acquistare un “Carnet Degustazioni del valore di 15 Euro che darà diritto a: calice in vetro e taschina porta bicchiere, 10 degustazioni tra cui: 7 per i grandi Rossi di Langhe e Roero, 2 per i bianchi del territorio, 1 per l’Asti Spumante o Moscato d’Asti DOCG”.
Sembra bello? Insomma…
Normalmente in questo genere di manifestazioni si paga all’ingresso e si degusta quello che si vuole, qui ai banchi di Barolo, Barbaresco (e mi pare anche Roero) vengono “bucate” due degustazioni per ogni assaggio. Significa che con 15 euro si ha diritto a soli tre assaggi di questi vini, e ne resta uno per i “minori” nebbiolo, barbera, freisa ecc.
E’ facile capire che, facendo un percorso di assaggio di buon impegno, visto che normalmente non ci si muove da casa per 3 o 4 degustazioni, si spende un capitale….
Ancora: i vini in degustazione sono molti, ma pochi i grandi nomi, e la cosa stupisce, visto che ci si trova nel cuore delle Langhe…
Pazienza, pensavo di consolarmi facendo una perlustrazione dei vitigni meno battuti, anche in questo caso ho avuto poco successo: ai banchi trovo solo tre Freisa e un (UNO!) Pelaverga!
Proseguiamo: esibendo la tessera AIS il carnet di degustazione viene via a 12 euro (invece che a 15). Peccato che l’acquisto contemporaneo del carnet + workshop del pomeriggio (“Menzioni Geografiche aggiuntive del Barbaresco”, relatore Giancarlo Montaldo), non è invece scontabile…
Concludo: il famigerato carnet di degustazione consente anche lo sconto per un aperitivo con “Alta Langa Metodo Classico” in alcuni bar convenzionati del centro storico. Bene: credo che il Consorzio dovrebbe assicurarsi che, come è accaduto nel mio caso, non venga servito un vino anonimo, chiaramente aperto non in gran forma (eufemismo…), con un triste contorno di cibarie di scarsa qualità.
Un appunto sullo workshop del pomeriggio: bella sala, luminosa, spaziosa, ottima visibilità e acustica. Ottima e chiara introduzione al Barbaresco e alla storia delle Menzioni Geografiche Aggiuntive; peccato che di dette Menzioni non sia chiara l’utilità, visto che come spiegato chiaramente dal relatore non hanno attinenza con la qualità e non identificano neppure una caratteristica specifica, visto che all’interno della stessa Menzione, talvolta molto estesa, appartengono vigneti diversi, persino con esposizioni e terreni differenti…
Insomma, una manifestazione con luci ed ombre, a mio modesto parere riservata più ad un pubblico “casuale” che ad appassionati e professionisti del settore.
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L’esame da Degustatore AIS
Dunque l’ho fatto: per affrontare l’esame da Degustatore AIS ho speso una cifra tanto improbabile che ho vergogna a scriverne.
E sono stato persino promosso.
Poiché i miei vecchi post riguardanti l‘esame di terzo livello sono stabilmente nella classifica dei più letti, immagino di fare cosa utile lasciando qualche indicazione su come funziona e cosa comporta questa certificazione.
Anzitutto occorre iscriversi all’apposito seminario, bravo: indicazione utilissima direte voi… E invece non è così scontato, sia per il prezzo non propriamente popolare, sia per i vincoli (occorre aver superato l’esame da Sommelier AIS da almeno un anno ed essere in regola con la quota associativa), sia per il numero limitato di posti disponibili (nel mio caso erano solo 45).
Il consiglio, oltre a tenere d’occhio il sito AIS della vostra delegazione e quello nazionale, è di stressare il delegato di zona in modo da essere informati appena viene emanato il bando. Per iscriversi occorre inviare una mail allegando il bollettino del versamento.
Naturalmente è possibile affrontare l’esame anche in altre sedi, ma ovviamente in quel caso si aggiungono i costi di trasferta e soggiorno.
Cosa vi propone mamma AIS in cambio della agghiacciante quota di iscrizione?
Una intera giornata di lezione (il sabato, incentrato ovviamente sulla tematica della degustazione) e appunto l’esame stesso, che si svolge il giorno seguente.
Naturalmente il tutto si svolge come da tradizione AIS nella massima formalità, quindi obbligo di divisa, location lussuosa, grande puntualità, eccetera.
Andando al sodo: il programma d’esame è apparentemente limitato (e quindi più semplice rispetto al classico esame di terzo livello): i contenuti sono quelli del libro “Il mondo del Sommelier” fino al capitolo dei passiti incluso, e tutto il libro “La degustazione”.
In realtà le cose non sono così facili come sembrano, anzitutto perché occorre conoscere A MENADITO entrambi i testi e aver CAPITO PERFETTAMENTE la relazione tra ogni dettaglio e la sua influenza sulla degustazione, ma soprattutto perché l’esame è particolarmente insidioso.
La valutazione si svolge in due fasi, una scritta e una orale.
Lo scritto è articolato in 90 domande, di cui 30 a risposta aperta e 60 a risposta chiusa multipla vero/falso, da svolgere in un’ora.
Si, avete letto bene: dovete rispondere a 90 domande in 60 minuti (e sono 60 minuti veri, cronometrati)! In pratica dovete conoscere il programma veramente bene, in modo da poter rispondere di getto, senza riflettere neppure un istante.
Il consiglio è sempre lo stesso dell’esame di terzo livello: buttatevi subito sulle domande a risposta aperta, quelle che “fanno più punteggio” ma richiedono ovviamente più tempo, tenendo un orologio davanti al naso.
Il mio obiettivo era aver risposto a 15 domande in meno di 25 minuti, in questo modo avrei potuto terminare le domande aperte in circa 50 minuti e avere ancora 5 minuti per quelle a risposta chiusa e ulteriori 5 per qualche correzione e affinamento. Direi che lo schema ha funzionato.
Da quanto sopra dovrebbe essere evidente che è inutile portarsi libri, foglietti, appunti e furberie varie: non c’è letteralmente il tempo per consultare nulla; piuttosto, allenatevi a casa: se, come spero, non studiate da soli, chiedete al vostro compagno di preparare 30 domande non banali e provate a rispondere in modo scritto e con il vincolo dei 50 minuti…
L’orale è meno frenetico, ma può essere altrettanto stressante per chi come me è un hobbista e non ha pratica di degustazioni pubbliche.
Non ci sono storie, dovete conoscere a perfezione la famigerata scheda e recitarla nell’ordine corretto con sicurezza; non mostratevi titubanti e ricordate il linguaggio del corpo, oltre che quello verbale, memorizzando la gestualità richiesta.
Mi raccomando: limitatevi strettamente al vocabolario AIS, non aggiungete alcuna descrizione poetica o volo di fantasia: vi si chiede una degustazione TECNICA, perfettamente aderente allo standard AIS.
Ancora una volta allenatevi a casa con il vostro compagno di studi: lo so che può sembrare ridicolo, ma senza per forza avere il bicchiere pieno potete simulare numerose degustazioni immaginando ad esempio un bianco giovane o un rosso evoluto e svolgere una cerimonia con tutti i crismi, l’importante è acquisire destrezza con vocabolario e gestualità.
Un punto spinoso è quello del punteggio: fate molta attenzione alle degustazioni proposte durante la giornata di lezione e taratevi su quello standard; personalmente mi sono accorto di essere costantemente sbilanciato di 4-6 punti verso il basso rispetto alle valutazioni dei relatori, e ne ho tenuto conto in fase di esame.
Poco altro da dire: la giornata di lezione è impegnativa (otto ore reali) ma interessante e soprattutto utile per cogliere qualche concetto meno battuto che sicuramente verrà riproposto il giorno seguente in fase di esame. Faccio un esempio personale: a me ha permesso di essere veloce nell’elencare le differenze tra metodo classico e Charmat (attenzione: non banalmente le diverse metodologie produttive, ma le differenze sul piano degustativo).
Quando studiate, ricordate che l’esame è appunto per Degustatori: non ammazzatevi a memorizzare i milligrammi di acido citrico per litro, ma cercate di capire bene l’influenza di qualsiasi concetto sui piani visivo, olfattivo e gusto-olfattivo, ricordate che sul bando si specifica testualmente che le domande sono “relative a viticoltura/enologia in funzione, in particolare, della tecnica, dei principi e della terminologia della degustazione”.
Nel mio caso ad esempio è stato battutissimo l’argomento della qualità data dall’ambiente pedoclimatico e sono stato piuttosto sorpreso (e messo in difficoltà) dalla richiesta di fornire esempi di uve e vini per specificare certi argomenti; ripensandoci, gli esempi ci sono eccome sul libro “La degustazione”, ma pensavo (sbagliando) che non fossero così importanti e li avevo tirati un po’ via, così ho dovuto perdere qualche istante prezioso per riordinare le idee.
Peccato che la lezione sia così serrata: se si trattasse di due giornate da quattro ore, da vivere senza l’assillo dell’esame il giorno seguente, ci si godrebbe meglio spiegazioni e degustazioni, ma mi rendo conto che la faccenda diventerebbe logisticamente improponibile per chi viene da fuori.
Soprattutto peccato per il costo, ma questa è l’AIS e lo sappiamo…
In conclusione, consiglio l’esame a tutti i diplomati sommelier: a me è servito, costringendomi a chiarire meglio molti argomenti che pensavo di padroneggiare (e così non era) e ad approfondirne notevolmente altri. Credo sia abbastanza importante non far passare troppo tempo dall’esame di terzo livello: se decidete di affrontare la prova, fatelo appena possibile, quando avete ancora buona memoria di quanto studiato.
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Monsupello Nature
Storica azienda situata in quel territorio un po’ misconosciuto e un po’ bistrattato che è l’Oltrepò Pavese, Monsupello è una delle più solide e storiche realtà spumantistiche (e non solo) italiane. Personalmente lo ritengo uno di quei marchi cui rivolgermi quando ho voglia di bolle di qualità certa ad un prezzo adeguato.
Enclave del pinot nero italiano, l’Oltrepò Pavese gode di poca fama rispetto alle potenzialità, forse a causa di un consorzio poco visibile o della incapacità di “fare sistema” in maniera adeguata delle aziende più importanti (penso ad esempio a quel che è stato realizzato da una ottima mentalità imprenditoriale in Franciacorta).
Sia quel che sia, Monsupello, con i suoi 50 ettari sforna ogni anno duecentomila bottiglie, buona parte delle quali destinate a sei tipologie di metodo classico, una delle quali è il Nature oggi in assaggio.
La metodologia di produzione è classica: pressatura soffice, fermentazione in acciaio a temperatura controllata, poi la composizione della cuvè (90% pinot nero, 10% chardonnay), il tiraggio e il riposo di almeno 30 mesi sui lieviti.
Denominazione: DOCG Oltrepò Pavese
Vino: Nature
Azienda: Monsupello
Anno: –
Prezzo: 19 euro
Giallo dorato con curiosa sfumatura ramata, bello e particolare; bolle fini, continue, numerosissime. L’olfattivo è di crosta di pane, frutta secca e qualche ricordo boschivo di matrice pinot nero. Non particolarmente complesso o intenso ma piacevole.
L’attacco è intenso, con il sorso deciso: il pinot nero riempie la bocca e scalpita. L’acidità e soprattutto la sapidità sono muscolose e senza compromessi ma non fastidiose. Ovviamente l’equilibrio è spostato verso le durezze in modo deciso: siamo in presenza di un metodo classico non dosato e si sente.
Il corpo è importante e il finale ha persistenza media, senza fastidiosi accenti amari. Sboccatura 2013.
Sicuramente un vino da pasto, da affiancare facilmente a salumi da sgrassare, magari provenienti dalle medesime zone di produzione, per un abbinamento certo scontato ma di sicura efficacia.
Il bello: olfattivo non troppo ricco
Il meno bello: selvatico, dritto, ispido ma gradevole
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Bolle dal paradiso: Haderburg
D’accordo, non conta nulla e importa a pochi, ma se potessi assegnare il premio per l’azienda agricola (intesa come vigneti, posizione, panorama e tutto quel che ne consegue) più bella e coreografica mai visitata, il titolo verrebbe assegnato alla Azienda Agricola Haderburg. No contest, vittoria per ko tecnico.
Certo, immagino che la vittoria sia stata favorita dall’aver raggiunto le alture circostanti Salorno (più precisamente: Località Pochi) in questo mese di Aprile cui la primavera un po’ strampalata regala montagne con neve in gran quantità fino ancora a 1300 metri, bianchissimi meli in fiore in tutta la Piana Rotaliana, erba dal verde abbacinante e 26 gradi di temperatura, ma effettivamente la location (come dicono quelli moderni) ha pochi rivali.
Pochi concorrenti ha anche l’accoglienza della famiglia Ochsenreiter: con il Vinitaly in pieno svolgimento abbiamo comunque tentato il colpaccio chiamando il mattino per prenotare una visita di lì a pochi minuti. Pensavo ad una pernacchia, invece ci è stato risposto che qualcuno (nella fattispecie il gentile figlio del titolare Alois) è sempre presente in azienda e ci avrebbe accolto volentieri.
Detto fatto, in pochi minuti si sale in auto da Salorno fino alla collina che ospita il podere Haderburg, abbarbicato a circa 400 metri di altitudine sul confine meridionale dell’Alto Adige, a dominare l’immensa distesa di vigneti e alberi da frutta che circonda il corso dell’Adige, con le Alpi in secondo piano che incorniciano il tutto.
In una tersa e fiorita giornata primaverile come quella in cui sono incappato il panorama è difficilmente eguagliabile.
L’azienda, i cui prodotti più noti sono indubbiamente i metodo classico, vinifica dal 1977 e ormai da molti anni si è convertita a regime biodinamico; i cinque ettari e mezzo di vigneti a pergola modificata del maso Hausmannhoff, piantati su terreno fangoso e argilloso rivolto a Sud-Ovest, sono quelli da più tempo di proprietà della famiglia e servono a produrre le bottiglie più prestigiose; ci sono poi altri tre ettari in Valle Isarco, dedicati a Müller-Thurgau, Pinot grigio, Riesling, Sylvaner, Gewürztraminer e Kerner.
La gamma dei vini spumanti mi era già ben nota (ne ho parlato ad esempio qui e qui), ma un ripasso non fa mai male: il Brut base (85% chardonnay, 15% pinot nero, 24 mesi di affinamento sui lieviti, no malolattica) è un prodotto sincero, che non tradisce mai e dal prezzo sicuramente corretto; il Pas Dosé (85% chardonnay, 15% pinot nero, 36 mesi sui lieviti, no malolattica) secchissimo e nervoso, aggiunge sapidità e pienezza; il Rosè (60% pinot nero, 40% chardonnay, 24 mesi sui lieviti) gode di uno straordinario colore e presenta piacevoli e intensi richiami ai piccoli frutti di bosco.
Il top di gamma è l’Hausmannhof 2004 (100% chardonnay, affinamento di un anno in piccole botti di legno, non svolge la malolattica e poi 8 anni sui lieviti; in precedenza erano 10, se non vado errato), per il quale vale la pena spendere qualche parola in più: bel giallo dorato, luminoso, con bollicine sottili (forse non numerosissime) che in bocca si rivelano sorprendentemente morbide, per nulla graffianti e persino troppo addomesticate.
Olfattivo di buona intensità, ricco di pasticceria e fiori maturi.
Il primo sorso è leggero e poi cresce di intensità nella parte centrale e finale dell’assaggio.
Estremamente scorrevole: l’acidità c’è ma è ben mascherata e in generale è difficile discernere la varie componenti: tutto concorre ad una sicura rotondità, mai piaciona o noisamente morbida, ma sempre elegante e composta.
Bella chiusura, senza amarezze e con discreta lunghezza: resta un piacevole ricordo sapido.
Ottimo vino, dal prezzo comunque importante, al quale (se mi è consentito muovere un appunto), chiederei un po’ di spunto brioso in più.
Non avevo mai assaggiato i vini fermi, e l’impressione generale è sicuramente di prodotti di buon livello, con una punta di eccellenza per il Pinot Nero Riserva Hausmannhof (affinamento per 12 mesi in barriques nuove e altrettanto tempo in legno già usato): la sera precedente al ristorante avevamo bevuto questo stesso vino nel millesimo 2004 restandone fortemente colpiti per rotondità e freschezza ma anche finezza del tannino e per la buona persistenza. Il 2010 (al momento molto giovane) promette altrettanto: ne ho prese un paio di bottiglie da lasciare in cantina qualche anno.
Convincente il Pinot Nero: più semplice e immediato rispetto alla Riserva, dimostra comunque grande freschezza e facilità di bevuta. Molto interessante il passito Perkeo (Gewürztraminer e Petit Manseng): acidità notevole, gradazione non eccessiva e corpo piacevolmente scorrevole lo rendono per nulla stucchevole nonostante la dolcezza e l’aromaticità spiccata.
Il vino che ho trovato meno convincente è il Riesling: poca personalità, corpo sfuggente, olfattivo un po’ banale.