Champagne Brut Reserve, Béreche et fils

Quando stappo una bolla e vedo un bel tappo a fungo, largo, svasato e chiaro, capisco che sarà una bella serata, perché ormai sono certo del dogma: il tappo un po’ rachitico, stretto e scuro è foriero di una bottiglia non difettata, ma incapace di esprimersi ai massimi livelli.

E allora il tappo parla, e ci dice che questa sarà una ottima serata.

La famiglia Béreche produce dal 1847 e dispone di quasi 10 ettari coltivati senza trattamenti sistemici ed erbicidi in varie parcelle situate in Montagne de Reims e Vallée de la Marne; la fermentazione non fa uso di lieviti selezionati, non si effettua la malolattica, vinificazione e affinamento avvengono per la gran parte in legno grande di rovere e i vini riposano sui lieviti da due a sei anni.

champagne-brut-reserve-bereche-et-filsDenominazione: Champagne AOC
Vino: Brut Reserve
Azienda: Béreche et fils
Anno: –
Prezzo: 35 euro

Nello specifico, questo Brut Reserve è una cuvee classica: un terzo ciascuno dei tre vitigni tipici della champagne e 7 g/l di dosaggio (ma non si sentono affatto, anzi lo avrei battezzato come extra brut).

All’inizio i profumi quasi stordiscono con il corale di agrume, minerale (sasso, gesso) e floreale: esplosivi ma non volgari. Poi inizi ad assaggiare e scopri una bolla delicata, avvolgente e un vino che, pur in un quadro di equilibrio generale perfettamente riuscito, si muove deciso nello spazio della freschezza, della verticalità.
Soprattutto, la facilità di bevuta non si accompagna alla semplicità del sorso: l’assaggio, sottile ma per nulla anemico, arricchisce quanto rivelato al naso con una bella intensità e un accenno di frutta secca (nocciola, mallo di noce).

Quindi un vino fresco, bevibile, ricco al naso e in bocca, equilibrato, di discreta lunghezza e per giunta anche capace di mascherare benissimo il grado alcolico (la bottiglia finisce in un amen).

Lo direi versatile, da aperitivo ma anche come ottimo accompagnamento di antipasti e primi piatti fino a media complessità e intensità.
Sboccatura fortunatamente indicata in retroetichetta: settembre 2014.

Miglior champagne bevuto da un sacco di tempo: se questa non è la classica bottiglia fortunata e irripetibile ne voglio una cassa, grazie.

Il bello: verticale ma equilibrato, ricco e bevibilissimo

Il meno bello:  a voler cercare proprio un difetto, la lunghezza è buona ma non fenomenale

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Non è l’agriturismo dell’enologo

La DistesaIl cartello che indica la deviazione per la La Distesa (“comunità rurale e vini di pregio”) è girato nella direzione sbagliata: Corrado Dottori, il vignaiolo e titolare dell’omonimo agriturismo a Cupramontana, dice che a volte i furgoni lo spostano urtandolo. Resterò quattro notti a dormire nella sua ospitalità e al momento di andare via il cartello sarà ancora direzionato in maniera erronea.

Spiace voler trarre conclusioni generali da eventi particolari, ma i rimanenti giorni di permanenza confermeranno lo (scarso) livello di attenzione che Dottori riserva ai suoi clienti. Quel che più rammarica è la sorpresa: pur non avendo mai avuto modo di interagire con Corrado, la sua presenza in rete, il suo libro e, certo, i suoi vini, prospettavano un personaggio interessante e con molto da raccontare, e la scelta di sistemarmi nel suo agriturismo durante la mia prima visita nelle Marche era dovuta principalmente alla voglia di approfondire la sua conoscenza.

Così non è stato: Dottori si è rivelato sbrigativo fin dal primo scambio di mail, e così ha proseguito in “real life”, e se a dirlo sono io, ligure ben avvezzo a certi atteggiamenti ostili…
Più fastidioso ancora il fatto che all’atto della prenotazione, avvenuta circa un mese prima, la richiesta della possibilità di una visita in cantina fosse stata accordata, anche senza evidente entusiasmo, ma poi, giorni dopo il mio arrivo, avendo sollecitato timidamente la visita, scopro che ci sono problemi, il bambino ha una recita ma soprattutto (ubi maior minor cessat) la “comunità rurale” ha un altro ospite più importante del sottoscritto che assorbe tutta l’attenzione: è arrivato Jonathan Nossiter e visto che io non ho girato un film con Dottori tra i protagonisti, per me in due giorni non si riesce a recuperare un’ora.

La DistesaLa visita si riduce quindi a Corrado che mi precede con la sua auto fino alla cantina, scende, mi indica i vigneti e dopo meno di 10 minuti di orologio scappa lasciandomi in compagnia del (gentilissimo e disponibilissimo) aiutante, un giovane enologo milanese.
Prima di vederlo fuggire, gli estorco un accenno di discussione nel quale si mostra vittima di una sorta di sindrome da accerchiamento: sostiene che la critica sia prevenuta nei confronti dei cosiddetti vini naturali, mentre a me pare evidente che semmai la guerra la abbiano stravinta i vignaioli come lui, visto che di fatto qualsiasi azienda cool ha “bio” e “terroir” come parole d’ordine.La Distesa

Che dire ancora, se non che la logistica dell’ospitalità risulterà alla fine consona alla personalità del titolare: un pizzico di malcelata presunzione appesantita da trascuratezza: la sala, ornata di alcuni cimeli a sfondo vinicolo (le guide enoiche aperte alla pagina de La Distesa e i vasi trasparenti con campioni del terreno) ormai abbondantemente impolverati, l’angolo cottura della camera con le pentole sporche e il bagno che esala cattivo odore dagli scarichi, nel cortile il cane che corre a rotolarsi sul tuo letto ogni singola volta che apri la porta della camera (e, se come nel mio caso fuori piove, la faccenda è fastidiosa)…
Le condizioni della cantina non fanno testo, ché mi è stata detta essere in ristrutturazione.

Certo Dottori ha tutto il diritto di non aver tempo per i visitatori, di essere scocciato dalle visite in cantina, di lisciare la sua vanità presenziando alle proiezioni dei film di Nossiter, di affittare camere in una struttura non perfettamente lustra. Però tutto ciò stona con l’immagine di chi ho letto sostenere che le degustazioni alla cieca sono una cretinata, perché non è vero che interessa solo quello che c’è nel bicchiere. Se è veramente così, se lui ha ragione, se non basta la piacevolezza del vino e ci vuole qualcosa dietro, beh, qualcosa non quadra.

Delle vigne (molto belle) e degli assaggi ho poca voglia di parlare, se non per dire che il Terre Silvate 2014 è buono ma un po’ troppo rustico, forse troppo giovane, ha un filo di puzzetta, che i campioni da botte che mi sono stati porti erano molto promettenti e che mi ha incuriosito in particolare la Vernaccia rossa.
Il prezzo dell’agriturismo risulta abbastanza corretto in rapporto all’offerta.

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Come sarà il Barolo 2011? Venite a scoprirlo in anteprima sabato 30 maggio nella splendida cornice del Castello di Roddi che, per il terzo anno consecutivo ospiterà “Io, Barolo – la nuit”,  l’attesissimo evento organizzato dalla Strada del Barolo per celebrare la nuova annata del Barolo insieme a tutti i produttori che, con il loro lavoro, continuano a rendere grande questo vino.

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Grande degustazione di vini rosati il 23 e 24 maggio. Dalle 10:30 alle 19:00, presso le storiche cantine Coppo, si potranno degustare i rosé, nella versione ferma e spumante, di importanti produttori internazionali come Arunda, Billecart-Salmon, Ca’Maiol, Chateau Vannières, Pojer e Sandri, Proprietà Sperino e Ronco del Gelso. Non mancheranno inoltre le eccellenze gastronomiche di Prosciuttificio Ghirardi (Emilia), I Formaggi del Boschetto (Liguria), Fattorie Fiandino (Piemonte), Frantoio Sant’Agata (Liguria) e Cioccolato Bodrato (Piemonte), che saranno abbinate ai vini di Casa Coppo

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Slow Fish, Big Cash

Cinque Euro per un calice di Berlucchi, non ho altro da aggiungere Vostro Onore!

Certo, come dice il sito “per partecipare a Slow Fish non occorre acquistare un biglietto, l’ingresso è gratuito!”, e ci mancherebbe: hai diritto di aggirarti gratuitamente fra i food-truck che friggono le acciughe e i tendoni che propongono birra (ovviamente entrambi a pagamento), hai facoltà di bighellonare tra stand che ad esempio offrono due-pezzetti-di-pane-due con sopra un pezzetto di palamita a soli due euro. Eccetera.

sf1Va bene, ci sono i dibbbbattiti e le lezioni e gli slogan roboanti su “Cambiamo rotta per salvare il mare e nutrire il pianeta”, ma se a questi accosti i 5 euro (più due sf2per il prestigioso micro-calice e relativa elegantissima tasca portabicchiere) per sorseggiare un Franciacorta in piedi, senza lo straccio di un grissino, permetti che mi sento un po’  preso per il culo?

Ma mica è finita: per degustare il sushi letterario dello chef ospite Moreno Cedroni venno via 120 Euro, quando  invece lo stesso (o perlomeno analogo) menu, nel suo ristorante di Portonovo lo paghi 85 carte (ah, certo, a Genova ci sono in accompagnamento i vini di Guido Berlucchi…).

Dirai che la qualità si paga, tanto più se te la portano sotto casa, ma si dà il caso che a me la sorte degli stand abbia riservato un arancino inspido, una linguna salatissima e una tiella ustionante fuori però ancora congelata dentro. Tutto a pagamento, s’intende, e tutto a seguito di doverosa coda chilometrica. D’altronde siamo “slow” o no?

Chiuderei parlando della partecipazione: una la folla debordante ed ignara dei buoni propositi relativi al risanamento degli oceani, che che si avventa per un granello di formaggio o una crosta di pane e olio in assaggio, per poi, rigorosamente dotata di portafoglio in mano, dilettarsi in attese e spintoni al fine di accaparrarsi il diritto ad uno spiedino da rosicchiare appoggiati ad un palo della luce, con i piedi pestati dai tizi in coda per la birra.

Agli amici di Slow Food vien da chiedere se forse una manifestazione con un (modesto) biglietto di ingresso per selezionare il pubblico realmente interessato, qualche espositore francamente inutile in meno e un minimo di controllo su prezzi e qualità dei prodotti in vendita, non potrebbe essere più rispettosa delle sbandierate intenzioni rispetto a questa sorta di sagra della salsiccia (o meglio, del gambero)…

Temo mi si possa rispondere che espositori e organizzatori sono, giustamente, felici così: Slow Fish, Big Cash.

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Fumin Vigne Rovettaz 2010, Grosjean

Vini della Valle d’Aosta devo averne bevuti quante le dita di una mano, e probabilmente ho sbagliato.
(Nota di servizio: per chi volesse approfondire l’argomento, non posso non citare l’ottimo Fabrizio “Enofaber” Gallino e il suo “Vino in valle“).

Grosjean è uno dei (pochi, almeno per me) nomi noti della regione: dispone di 10 ettari di terreno vicino ad Aosta, da tempo ormai remoto opera in regime sostanzialmente biologico e coltiva e vinifica principalmente vitigni autoctoni con qualche incursione “internazionale”.

valle_d_aosta_doc_fumin_vigne_rovettaz_2009_grosje00900Denominazione: Valle d’Aosta DOC
Vino: Fumin Vigne Rovettaz
Azienda: Grosjean
Anno: 2010
Prezzo: 25 euro

Questo  Fumin è rubino impenetrabile, carico; appena aperto sprigiona un lieve animale che in pochi minuti vira verso un più nobile e composto ematico, con richiami di frutta di bosco (mora, ribes, mirtillo e viola); soprattutto escono le spezie e il tabacco. Elegante, complesso e affascinante.

All’assaggio torna più netta qualche sfumatura di tabacco, coronata da grande freschezza; la bevibilità è straordinaria, dato il calore alcolico ben mascherato dal corpo non sottile e dal tannino leggero. Il finale ha lunghezza non troppo estesa e chiude molto morbido.

Lo ho messo a sedere con un formaggio a pasta semidura di media stagionatura, ma sono certo che farebbe benissimo con la selvaggina, come indica il sito del produttore.

 

Il bello: notevoli sfumature olfattive e gustative, ottima bevibilità

Il meno bello:  lunghezza un po’ limitata

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Vino… naturalmente… vino

Manifestazione annuale (aperta al pubblico) rivolta principalmente a tutti i piccoli produttori che lavorano con passione e dedizione, a quei vignaioli che sono presenti in prima persona nei filari ed in cantina, ai semplici amatori che cercano di dar vita ad un prodotto vero e naturale.

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