Zibaldone minimo dei lemmi enogastronomici, parte seconda: il mito della mineralità

Non credo sia un caso che il lemma “mineralità” non sia presente né sul dizionario Gabrielli, né in quello Treccani…
Certo, esiste il più concreto Minerale agg. [dal lat. mediev. mineralis; v. miniera] ed è proprio questo l’oggetto del mio contendere odierno.

Per tagliare corto: se avessi potuto intascare un euro per ogni volta in cui ho ascoltato qualche enofanatico condire le sue valutazioni con questo termine (io stesso non sono del tutto innocente), potrei finalmente mettere in cantina qualche magnium di Krug: la mineralità declinata in tutto il suo rosario di pietra focaia, gesso, idrocarburo, polvere da sparo e chi più ne ha più ne metta, è chiaramente il mantra del momento, e se poi viene associata all’altrettanto à la page “biodinamico” ecco che lo winelover può finalmente raggiungere vette orgasmiche.
Certo sarebbe curioso verificare quanti di questi appassionati si siano sottoposti a sedute intensive di olfazione di selci, fiammiferi e taniche di cherosene, in modo da poi poterne confrontare i sentori con quelli emessi da un calice di Barolo, ma sorvoliamo…

La storia della mineralità nel vino è la chiara dimostrazione di come la gran parte di critici e appassionati del settore enologico siano dei conformisti aggrappati alla moda del momento, capaci di bersi acriticamente qualsiasi panzana e poi di ripeterla a pappagallo con la massima convinzione. Ad esempio la favoletta (immaginifica, certo) che un suolo ricco di composti particolari (classicamente vulcanico, o ricco di gesso o quarzo) sia in grado di trasporre queste caratteristiche al vitigno e da questo al mosto e infine al vino.

Ma andiamo per ordine, partendo però da un punto fermo: le eventuali molecole minerali presenti nel vino sono inodori in quanto non volatili. Questo è quanto dice la scienza, e potremmo fermarci qui.
Ma, non bastasse, possiamo ricostruire l’assurdità della tesi secondo la quale una vite piantata in un terreno ricco di un particolare minerale sarebbe in grado di assorbire molecole di questo elemento, trasferirle nell’acino e quindi lasciarle intonse nel vino, dopo tutte le trasformazioni apportate dalla fermentazione.
Anche fosse vero, e trascurando quanto scritto in precedenza riguardo il fatto che si tratta di sostanze non odorose, la concentrazione di minerali nell’uva (ad esempio potassio, zinco, rame, calcio, magnesio) è così irrisoria (si parla di decine di parti per milione o anche molto meno) da essere ben lontana dalla soglia di percettibilità umana.
E’ curioso poi che i divulgatori di questa “cinghia di trasmissione” si concentrino solo sulla mineralità e non teorizzino il passaggio anche di altri sentori, pure essi presenti in sabbia, limo o argilla.

Ancora più interessante è rilevare la confusione relativa a cosa i degustatori intendano per “mineralità”, in realtà una sorta di bidone-raccoglitore di sensazioni olfattive e gustative estremamente soggettive, tutte quante non riconducibili ai più classici e concreti “floreale”, “fruttato”, “speziato”, legate comunque alla componente culturale individuale, quindi con significati diversi per persone diverse: si passa dai sentori di idrocarburo e alla salinità per arrivare fino alla pietra focaia, alla gomma bruciata e allo zolfo, mettendo assieme descrizioni che oggettivamente hanno poco in comune l’una con l’altra; infatti molti ricercatori ipotizzano che chi parla di mineralità stia in realtà sentendo qualcosa che non sa descrivere.

L’obiezione ovvia è che la nostra esperienza sembra dimostrare che certi minerali abbiano un odore: pensiamo ad esempio di annusare un sasso estratto da un ruscello di montagna; in realtà quello che percepiamo scaturisce da trasformazioni attivate dall’acqua, che causano il rilascio di composti organici presenti sulla superficie della pietra, quindi è quantomeno discutibile ricondurre queste sensazioni al “minerale” ed è certamente errato abbinarle ad un legame diretto con la composizione del terreno.
I descrittori che comunemente si associano al “minerale”, sono comunemente avvertiti, come spiega il professor Attilio Scienza, in vini capaci di notevole invecchiamento, con alta acidità e provenienti da zone fredde e molto luminose con fotoperiodo ampio e luce dalla particolare gamma energetica, tutte condizioni che stimolano la formazione di particolari tioli (composti organici).

Questo bel articolo, ricco di fonti accademiche documentate, ripercorre la storia dell’uso del termine: si scopre che fino a qualche anno fa ben poche regioni vitivinicole venivano associate alla mineralità, men che mai quelle più calde (proprio il contrario di quel che accade oggi), tanto è vero che il termine era assente sia nel libro di Peynaud “Il gusto del vino” sia nella Ruota Sensoriale di Ann Noble, rispettivamente del 1983 e 1984.
Si legge anche di un notevole cambiamento di approccio riguardo il Sauvignon bianco del distretto di Marlborough, Australia: negli studi sulle vendemmie del 2003-4 non si trovava menzione del termine “minerale” o dei suoi descrittori, le analisi del 2007 giudicavano i vini con un alto livello di percezione minerale come poco rispondenti alla tipicità e al varietale, mentre nel 2011 una elevata mineralità era associata ad una alta tipicità; in meno di un decennio la percezione comune è totalmente cambiata: non male per un argomento, come il vino, che vanta tradizioni e ritualità millenarie!
Lo stesso studio suggerisce inoltre che, in questo specifico caso australiano, il montare di percezioni minerali potrebbe essere dovuto alla massiccia adozione di chiusure a vite che avrebbero incrementato sensibilmente le note riduttive, decodificate dai degustatori come sentori appunto “affumicati” o “minerali”, e che comunque la sensazione minerale sia associata ad una maggiore acidità percepita.

Ricapitolando, è sicuramente vero che il terreno (così come il clima, il vitigno e l’opera dell’uomo) influenza gli aromi del vino, e che in certi vini troviamo ricordi di zolfo o idrocarburo, ma di certo l’uso del termine “mineralità” nell’esame olfattivo è abusato e anzi, molto spesso, del tutto errato. Soprattutto è scientificamente errata la correlazione tra i sentori minerali presenti nel bicchiere e la composizione del terreno sul quale sono state coltivate le uve, associazione che, per inciso, è un tasto molto battuto anche dai produttori, in quanto volano di esaltazione di un’altro dei dogmi attuali, quello del “terroir”, su cui ci sarebbe molto da discutere… Magari in un prossimo articolo.

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La relatività dei giudizi

Solo un accenno, poiché ho intenzione di parlare dell’argomento in maniera più estesa e razionale in qualche altro post: in questi mesi estivi ho avuto ulteriore conferma della mia teoria sulla bassissima affidabilità relativa a qualsiasi giudizio sui vini basato sulla semplice bevuta di una bottiglia.

lenza_doquetIn sostanza, ho assaggiato due bottiglie e poi le ho ri-bevute nel giro di tre settimane o un mese circa. Stessi lotti di produzione, stessi rivenditori (quindi eguali condizioni di conservazione).

Il risultato è sorprendente: in entrambi i casi al primo giro ho trovato vini notevolissimi, eleganti, pieni, complessi, di buona lunghezza, mentre al secondo test ho invece rilevato alcune disarmonie e finali amari.

Che dovrei fare? Acquistare un terzo campione? Francamente per chi, come me, non assaggia per professione, i due passaggi (perdipiù trattandosi di prodotti non proprio economici) sono abbondantemente sufficienti.
Certo, mi piacerebbe capire se sono stato fortunato nel primo caso o sfortunato nel secondo.

Per la cronaca, i vini erano:

Denominazione: Champagne
Vino: Premier Cru Blanc de Blancs
Azienda: Pascal Doquet
Anno: –
Prezzo: 38 euro
Denominazione: Franciacorta
Vino: Cremant
Azienda: Lenza
Anno: –
Prezzo: 25 euro

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Tecnica di abbinamento cibo – vino: il Metodo Mercadini

Era un tassello che mancava dalla serie degli appunti di preparazione all’esame: in realtà avevo i miei pizzini in disordinata forma di magma scoordinato e non ho mai trovato la voglia di metterci mano per plasmarli  in maniera umanamente presentabile.
Però, visto che le pagine relative all’esame sono costantemente le più visitate, ho capito che era il momento di farsi sotto.

Per quanto abbia dubbi sulla presunta scientificità del metodo Mercadini sull’abbinamento cibo-vino, se si vuole superare l’esame AIS di terzo livello non ci sono discussioni: occorre studiare questa tecnica che è un po’ la summa di tutto quanto appreso nel corso.
Proprio perché il metodo Mercadini è il punto di arrivo di tutto il piano di studi, è perfettamente inutile approcciarlo senza avere ben digerita la tecnica di degustazione del vino (e mandate a memoria le relative scalette…): senza questo prerequisito non se ne viene a capo.

Dunque iniziamo, ma non senza aver ribadito le avvertenze del caso:
“il materiale è tratto dai testi AIS e integrato da qualche mia ricerca. Pur avendo cercato di applicare la massima cura, non mi assumo responsabilità in caso di errori.

Si tratta appunto di riassunti con integrazioni ed elaborazioni, ma sono ovviamente pronto ad eliminare il materiale se coloro che hanno redatto i testi si sentissero in qualche modo usurpati dei loro diritti di copyright.

Se trovate imprecisioni sarei felice della segnalazione, in modo da poter correggere.”

Ulteriore avvertenza: i miei riassunti precedenti coprivano tutto il contenuto dei testi AIS, integrato da altre fonti.
In questo caso non ho trovato fonti di livello adeguato se non il classico testo AIS “Il cibo e il vino”.
Di questo libro ho totalmente omesso la seconda parte del libro, quella che tratta in dettaglio esclusivamente le caratteristiche degli alimenti; il motivo è semplice: le informazioni sono moltissime ed espresse in modo sintetico e spesso caotico, e un riassunto non potrebbe che peggiorarne la comprensibilità.


Il primo passo è quello di ricapitolare alcuni concetti di base riguardanti l’assaggio del vino.

Ricordiamo l’effetto della temperatura sulla percezione dei vini:

  • l’aumento della temperatura intensifica la dolcezza e la morbidezza, e diminuisce l’amaro e il salato. L’anidiride carbonica diventa più fastidiosa.
  • l’abbassamento della temperatura diminuisce la percezione dei profumi e intensifica amaro, sapidità e tannicità (e quindi l’astringenza), diminuisce la dolcezza e la morbidezza (e la sensazione di alcolicità). La sensazione di acidità resta invariata, ma diventa più gradevole.

Quindi è il momento di tornare sull’effetto della anidiride carbonica, che esalta i profumi, determina la pungenza, rafforza acidità e astringenza, e attenua dolcezza e morbidezza.

Ai fini della tecnica di abbinamento, le sensazioni saporifere del vino che prenderemo in considerazione sono una parte di quelle studiate durante le lezioni sulla degustazione del vino, e vengono espresse con una scala di punteggio da 0 a 10:

  • Dolcezza: da 0 a 2 (Secco), da 2 a 4 (Abboccato), da 4 a 6 (Amabile), da 6 a 8 (Dolce), da 8 a 10 (Stucchevole)
  • Alcolicità: da 0 a 2 (Leggero),  da 2 a 4 (Poco caldo), da 4 a 6 (Abbastanza caldo), da 6 a 8 (Caldo), da 8 a 10 (Alcolico)
  • Morbidezza: da 0 a 2 (Spigoloso),  da 2 a 4 (Poco morbido), da 4 a 6 (Abbastanza morbido), da 6 a 8 (Morbido), da 8 a 10 (Pastoso)
  • Acidità: da 0 a 2 (Piatto),  da 2 a 4 (Poco fresco), da 4 a 6 (Abbastanza fresco), da 6 a 8 (Fresco), da 8 a 10 (Acidulo)
  • Tannicità: da 0 a 2 (Molle),  da 2 a 4 (Poco tannico), da 4 a 6 (Abbastanza tannico), da 6 a 8 (Tannico), da 8 a 10 (Astringente)
  • Sapidità: da 0 a 2 (Scipito),  da 2 a 4 (Poco sapido), da 4 a 6 (Abbastanza sapido), da 6 a 8 (Sapido), da 8 a 10 (Salato)
  • Effervescenza:
  • Intensità
  • PAI
  • Corpo: la scala di valutazione non considera i giudizi Magro e Pesante, e assegna alle i punteggi da 1 a 4 (Debole), da 4 a 7 (Di corpo) e da 7 a 10 (Robusto)

Iniziamo ora ad affrontare alcuni concetti nuovi, parlando finalmente di cibo.

Occorre precisare che l’effetto sensoriale della degustazione di un cibo non può essere definito a priori, ma cambia in funzione della preparazione: bisogna assaggiare!

Ricapitoliamo i ben noti sapori fondamentali, che sono percepiti da tutte le papille gustative (la famigerata “mappa dei sapori” è stata abbondantemente smentita, semplicemente alcune zone della lingua e della bocca hanno lievi differenze nella soglia di percezione): dolce, salato, acido, amaro.

Analogamente a quanto accade con il vino, analizzeremo il cibo in tre fasi: esame visivo, olfattivo, gusto-olfattivo.

  • Esame visivo

    La valutazione avviene su di una scala da 1 a 10, dove il punteggio da 1 a 4 corrisponde al giudizio Insufficiente, quello da 4 a 7 al giudizio Accettabile, e quello da 7 a 10 al giudizio Invitante.
    Gli elementi presi in considerazione dall’esame sono:

    • Aspetto
    • Presentazione

 

Aspetto FASCE DI VALUTAZIONE Livelli di percezione
Insufficiente 1-2-3-4
Presentazione Accettabile 4-5-6-7
Invitante 7-8-9-10

 

  • Esame olfattivo

    La scala di valutazione è la medesima dell’esame visivo.
    Gli elementi presi in considerazione dall’esame sono:

    • Franchezza
    • Armonia
    • Intensità
    • Qualità

 

Franchezza FASCE DI VALUTAZIONE Livelli di percezione
Armonia Insufficiente 1-2-3-4
Intensità Accettabile 4-5-6-7
Qualità Invitante 7-8-9-10

 

  • Esame gusto-olfattivo

    Individua le sensazioni saporifere, tattili e gusto-olfattive. La scala di valutazione prevede un punteggio da 0 a 10, dove i valori da 0 a 2 corrispondono al giudizio Impercettibile, da 2 a 4 a Poco percettibile, da 4 a 6 Abbastanza percettibile, da 6 a 8 a Percettibile, da 8 a 10 a Molto percettibile.
    Gli elementi presi in considerazione sono suddivisi in sensazioni morbide e sensazioni dure.

    • Sensazioni morbide:

      • Dolcezza: intesa come aggiunta di zucchero alla preparazione. E’ tipica dei dessert
      • Tendenza dolce: da non confondere con la dolcezza. Assomiglia alla dolcezza ma è più vicina all’insipido. E’ tipica di alimenti con amidi e carboidrati, ad esempio pane, carne, patate, pasta, latte, carote, zucchine, gamberi, legumi, polenta
      • Grassezza: è una sensazione tattile e si riferisce a grassi solidi. Porta a pastosità in bocca e ad una patina sulla lingua. I grassi solidi si stemperano in bocca diventando soffici e cremosi. Ad esempio l’uovo sodo, formaggi, zampone e cotechino, burro, lardo, cioccolato. Il burro prima della fusione lascia sensazione di grassezza, ma dopo la fusione ha netta sensazione di untuosità.
      • Untuosità: è una sensazione tattile percepita come scivolosità in tutta la bocca (lungua, palato, mucosa) che avvolge e rende la lingua velata. Si riferisce ad oli o grassi fusi.
      • Succulenza: è una sensazione tattile percepita in tutta la bocca, e si riferisce alla presenza di liquidi. Può essere:
        • Intrinseca: quindi provocata da liquidi presenti nell’alimento, ad esempio filetto o mozzarella
        • Indotta: cibi poveri di acqua o succhi causano salivazione durante la masticazione o dopo la deglutizione, ad esempio grissini, formaggi stagionati
        • Causata da addizione di liquidi: come zuppe, brasati
    • Sensazioni dure

      • Sapidità: è la sensazione di sale aggiunto prima o dopo la cottura o durante la stagionatura, e aumenta con il glutammato. Esempi: formaggi e salumi, baccalà.
      • Tendenza amarognola: può essere causata da alimenti che la possiedono intrinsecamente, come il radicchio, i carciofi o il fegato, oppure essere indotta dalla metodologia di preparazione, ad esempio la cottura alla griglia o alla brace. Può esistere anche in alcuni dolci al caffè o al cioccolato fondente. Può essere causata anche dalla abbondante speziatura.
      • Tendenza acida: è causata dalla presenza di sostanze acide, come la aggiunta di aceto, limone, marinature, salsa di pomodoro. E’ presente nei derivati del latte.

 

SENSAZIONE FASCE DI VALUTAZIONE Livelli di percezione
Sapidità Impercettibile 0-1-2
Tendenza amarognola
Tendenza acide Poco percettibile 2-3-4
Dolcezza
Tendenza dolce Abbastanza percettibile 4-5-6
Grassezza
Untuosità Percettibile 6-7-8
Succulenza
Speziatura Molto percettibile 8-9-10
Aromaticità

 

  • Speziatura: è una sensazione gusto-olfattiva pungente o dolce causata dalla aggiunta di spezie ed erbe aromatiche. Può anche causare tendenza amarognola o piccantezza. Esempi: speck, mortadella, riso allo zafferano, panforte, strudel con cannella, salumi.
  • Aromaticità: è una sensazione gusto-olfattiva che caratterizza il profilo sensoriale di un cibo.  Tutti i cibi hanno un sapore particolare, più o meno intenso, indipendente dai quattro sapori fondamentali. Può essere naturale o influenzata dall’olio o da erbe aromatiche
  • Persistenza: alcuni cibi, dopo la deglutizione, lasciano a lungo una serie di sensazioni saporifere, tattili, gusto-olfattive. Esempi di cibi con lunga persistenza sono il gorgonzola e la carne di cervo, esempi con breve persistenza il salmone al forno e la torta paradiso.
  •  Struttura: riassume la complessità delle sensazioni, più un alimento e una preparazione sono ricchi di sensazioni intense, più il piatto è strutturato.
    Può essere propria di singoli alimenti (ad esempio un salume speziato e/o affumicato ha una struttura notevole) o di preparazioni. Un esempio di cibo poco strutturato [ il riso in bianco.
  • Equilibrio gusto-olfattivo: le sensazioni indotte dal cibo devono creare un amalgama piacevole, senza che nessuna di esse sia eccessiva o scarsa, ad esempio un piatto troppo salato o insipido.
  • Armonia: sintesi finale su quanto valutato con gli esami visivo, olfattivo, gusto-olfattivo. Può essere propria di piatti semplici o complessi

 

Fasce di valutazione Livelli di percezione
Struttura Poco strutturato 1-2-3-4
Abbastanza strutturato 4-5-6-7
Strutturato 7-8-9-10
Equilibrio Poco equilibrato 1-2-3-4
Abbastanza equilibrato 4-5-6-7
Equilibrato 7-8-9-10
Armonia Poco Armonico 1-2-3-4
Abbastanza armonico 4-5-6-7
Armonico 7-8-9-10

E’ arrivato il momento di mettere assieme le percezioni che abbiamo ricevuto dall’assaggio del vino e dal cibo per valutare un abbinamento.
Il concetto fondamentale del metodo Mercadini è che, per avere armonia di abbinamento, ogni caratteristica del vino deve contrapporsi o concordare con una specifica caratteristica del cibo con una intensità confrontabile.

La maggior parte delle sensazioni percepite in un cibo richiedono nel vino la sensazione opposta; solo in alcuni casi (limitati alla dolcezza, struttura, intensità e persistenza gusto-olfattiva del vino), l’abbinamento si basa sul principio della concordanza.

  • Abbinamento per contrapposizione:
    • sapidità, tendenza amarognola, tendenza acida del cibo causano in bocca una certa aggressività, da smorzare con la morbidezza del vino. La morbidezza del vino attenua anche la piccantezza del cibo
    • tendenza dolce, grassezza, untuosità e succulenza del cibo devono essere bilanciate dalle durezze del vino.
      La tendenza dolce deve essere ravvivata dalla freschezza di un vino dotato di buona acidità.
      La grassezza si percepisce come patinosità in bocca e viene contrastata da sapidità del vino.
      (In una certa misura acidità, sapidità ed effervescenza sono intercambiabili)
      L’untuosità causa scivolosità in bocca ed è contrastata dalla ruvidità del tannino.
      La succulenza (legata a liquidi o succhi in bocca) è contrastata dalla alcolicità del vino, che disidrata.
      (In una certa misura, alcolicità e tannicità sono intercambiabili)
  • Abbinamento per concordanza:
    • la dolcezza del cibo richiede dolcezza del vino, altrimenti prevalgono note sapide e amarognole in modo sgraziato
    • la struttura di cibo (varietà, complessità e intensità) richiede vini di buon corpo
    • cibi di grande aromaticità e/o speziatura creano un forte impatto gustativo e il vino per non essere schiacciato deve possedere adeguata intensità gusto-olfattiva
    • cibi con persistenza che sfuma molto lentamente richiedono vini con PAI altrettanto importante

 

Descriviamo la scheda di abbinamento:

  • mercadiniè formata da 10 circonferenze concentriche, corrispondenti ai diversi livelli di percezione. Il centro corrisponde ad impercettibiltà (0) e la circonferenza più esterna al massimo di percettibilità (10)
  • dal centro partono delle rette
  • I termini del vino sono MAIUSCOLI e le rette corrispondenti sono parallele
  • I termini del cibo sono minuscoli,  le rette sono divergenti e riportano i numeri corrispondenti alla percettibilità
  • in alto sul lato sinistro e destro troviamo le morbidezze del cibo (Tendenza dolce e Grassezza a sinistra, Succulenza e Untuosità a destra)
  • In basso, sul lato sinistro e destro le sensazioni contrapposte del vino, quindi le sue durezze (ALCOLICITA’ e TANNICITA’ a sinistra, ACIDITA’, EFFERVESCENZA e SAPIDITA’ a destra)
  • In basso a sinistra troviamo le durezze del cibo (Sapidità, Tendenza amarognola, Tendenza acida)
  • In alto a sinistra la sensazione contrapposta del vino (Morbidezza)
  • Sempre in basso a sinistra troviamo la dolcezza del cibo (Dolcezza)
  • In alto a sinistra la sensazione concordante del vino (Dolcezza)
  • In basso a destra troviamo Persistenza, Speziatura, Aromaticità del cibo
  • In alto a destra, per concordanza, PAI e intensità del vino
  • A margine, sotto: Struttura del cibo e Corpo del vino e Armonia dell’abbinamento
  • Le sensazioni poste a sinistra e a destra godono di una certa intercambiabilità:
    • Acidità, Sapidità ed Effervescenza del vino nei confronti di Tendenza dolce
    • Grassezza del cibo, Alcolicità e Tannicità del vino nei confronti di Succulenza e Untuosità del cibo.
  • Le sensazioni verticali hanno corrispondenza assoluta:
    • le durezze del cibo (Sapidità, Tendenza amarognola, Tendenza acida) si contrappongono solo alla Morbidezza del vino
    • la Dolcezza del cibo si abbina solo alla Dolcezza del vino
    • Aromaticità e Speziatura del cibo si abbinano solo alla Intensità del vino
    • la Persistenza del cibo si abbina solo alla PAI del vino

 

La compilazione della scheda

Il primo passo è il riconoscimento delle sensazioni percepite nel cibo e nel vino, poi la valutazione dell’intevallo di percettibilità di ogni sensazione. Se sono percettibili più sensazioni poste in corrispondenza di una stessa retta, si deve indicare la sensazione prevalente.
I valori vanno riportati sulle rispettive rette nei punti di intersezione con la circonferenza corrispondente al livello di percettibilità.
I segmenti che uniscono portano alla costruzione di due poligoni, uno per il vino e uno per il cibo, corrispondenti ai rispettivi profili sensoriali.

Per poter ottenere una figura significativa è importante valutare almeno tre sensazioni del vino e tre del cibo
Successivamente si indicano i livelli di percezione della struttura di cibo e corpo del vino.
Compilata la scheda si esprime un giudizio sulla armonia dell’abbinamento.

L’osservazione del grafico parte dalla valutazione della ampiezza dei poligoni: se quello del cibo ha superficie ridotta e pochi vertici (o perlomeno non troppo pronunciati) si tratta di un cibo poco strutturato; se al contrario ha superficie ampia, con molti vertici pronunciati, il cibo è strutturato.
Se i poligoni sono abbastanza simili tra loro l’abbinamento è armonico

 

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Le stelle sono tante…

Non portando Onassis come cognome (e neppure Sacco, se per questo) non è purtroppo mio costume quotidiano mettere le gambe sotto al tavolo di ristoranti stellati; d’altro canto mi sono reso conto (soprattutto il mio allarmato portafogli lo ha fatto) di non riuscire più a tollerare le cene in pizzerie che propongono a poco meno di 10 euro dischi di pasta mal lievitata e condita da improponibili surrogati di mozzarella, o trattorie “che mi ha detto un amico che con 25 euro è tutto genuino e ti danno certi piattoni…”.

Ecco, senza voler per forza essere snob, ho detto basta.
Da qualche tempo ho deciso che se baratto euro per roba edibile lo faccio solo per entrare in locali che mi promettono una certa qualità e soprattutto per vivere un esperienza non replicabile neppure sommariamente tra i fornelli di casa mia. Magari ne posso restare deluso ma perlomeno ho avuto una aspettativa di qualcosa di “alto” e di diverso.

Dunque dicevo: non discendendo da stirpe di armatori o petrolieri e non avendo antenati parlamentari, questa mia perversione gastronomica devo centellinarla, ma i casi della vita mi hanno portato in questi ultimi sei mesi circa a varcare l’ingresso, tra gli altri, di un tristellato, un bistellato e due monostellati, ricevendone impressioni radicalmente differenti.

Non voglio fare recensioni, non ne sarei in grado causa desuetudine a deschi così importanti e deficienza di un lessico appropriato alla descrizione di sapori e impiattamenti; soprattutto, per mio convinto imbarazzo, non ho provveduto alla ormai obbligatoria documentazione fotografica professionale delle portate. Mi limito quindi a qualche schizzo di impressione, a cercare di capire cosa mi è rimasto dopo queste visite.

Piazza Duomo
Ristorante Piazza Duomo: foto dal sito

Prima tappa per un menu che mai mi sarei potuto permettere se non non grazie ad un regalo: Piazza Duomo ad Alba.
Che avesse ragione il buon (ex-)Cavaliere? Ma quale crisi: prenotare in un ristorante che propone degustazioni da circa 200 euro a cranio, vini esclusi, richiede circa un mese di preavviso, e la prima cosa si nota dopo l’ingresso è che molta della clientela è palesemente composta da abituè…
Curioso che in una cittadina così distinta e caratteristica, un locale di questo livello, posizionato proprio nel centro del centro storico, abbia accesso da un portoncino anonimo in un vicoletto, e che la sala sia certo elegante ma tutto sommato neppure troppo.
Nei piatti ho trovato una cucina che definirei postmoderna per come decisamente abbandona i crismi della tradizione cui siamo assuefatti: il minimalismo impera, e ad esempio l’uso costante delle verdure di stagione, proposte in mille maniere e mille famiglie a me sconosciute, denota certo una ricerca quasi maniacale, esasperante, ma talvolta anche la mancanza di goduriosità al palato. E’ una cucina concettuale, che richiede concentrazione per registrare sapori minuti, sfumature, tocchi leggerissimi.
Perfetta la gestione dei tempi, giustamente formale ma non eccessivamente ingessato il servizio: non ci si sente a disagio.
Non la definirei una cena, piuttosto una esperienza interessante ma non appagante nel senso più sensuale del termine: temo sarebbe forse necessario ripeterla più volte per ambientarsi nel mondo sensoriale ideato da Enrico Crippa, peccato non poterlo fare.

Ristorante San Marco: foto da TripAdvisor

Seconda tappa poco distante: ristorante San Marco.
Solo trenta chilometri separano Alba da Canelli, ma sembra di aver attraversato continenti nello spazio e qualche era nel tempo: qui la sala con i quadri, il caminetto, gli infissi in legno e gli scaffali delle bottiglie racconta un approccio ben diverso alla tradizione, e lo stesso accade con un rassicurante menu dai piedi saldamente poggiati nella ritualità piemontese.
Che dire: la cantina è ben fornita a ricarichi umani, la signora Mariuccia (persino il nome della chef racconta un Italia semplice e concreta) passa in sala con grande amichevolezza a proporre un bis di quel che si è preferito e i prezzi sono abbordabili. In sostanza si mangiano bene piatti appunto della tradizione (ad esempio degli straordinari tajarin 40 tuorli) ingentiliti ed elegantizzati quel tanto che basta per rendere onore alla stella.
Un appunto: la mia seconda visita è casualmente coincisa con la festività cittadina dell’assedio di Canelli, e l’ovvio affollamento nel locale ha causato qualche sbavatura nei piatti che non avevo riscontrato la prima volta. Tenetene conto.

Ristorante L’Imbuto: foto da Luccamuseum.com

Per la terza tappa scendiamo lungo lo stivale fino a Lucca, destinazione l’Imbuto di Cristiano Tomei, chef noto per varie apparizioni televisive dalle quali trasudano innata simpatia e verve comunicativa.
Se a Canelli avevamo fatto ritorno nella tradizione, qui viriamo decisamente nella modernità spinta a cominciare dalla formula: il ristorante è ospite nelle sale di un museo di Arte Contemporanea e non ha neppure un insegna all’esterno; si mangia dunque nelle salette del museo, con una mise en place e un servizio piacevolmente informali.
Ma soprattutto il ristorante non ha un menu: ci sono quattro proposte “al buio” con un diverso numero di portate che lasciano carta bianca alla fantasia totale dell’autodidatta Tomei.
Ne risulta una sarabanda di portate in cui si sovverte ogni schema classico, che alterna picchi altissimi (la bistecca primitiva e uno strampalato creme caramel di fegatini di pollo e salsa di soia) e discese rovinose (uno spaghetto con salsa di albicocca) e che assomiglia ad un cuoco un po’ cazzaro che gioca, sporcandosi le mani modificando, pasticciando, inventando, distruggendo, che talvolta esagera persino prendendoci un po’ in giro ma talvolta (forse suo malgrado) ci regala sensazioni sorprendentemente intensissime e parimenti piacevoli. Di sicuro non ci si annoia, anzi ci si diverte, aiutati anche da un prezzo non improponibile; certo, resta la curiosità di capire cosa potrebbe accadere se Tomei rallentasse per cercare di mettere a punto un menu consolidato e (più o meno) “stabile”.
Carta dei vini a prezzi corretti ma un po’ risicata.

Ristorante Uliassi: foto da TripAdvisor

Ultima fermata a Senigallia, dove, come credo tutti, sono attanagliato dall’imbarazzo della scelta: Uliassi o Cedroni?
Decido non con la monetina ma con la pancia: leggo i menu, ricordo le apparizioni tv, clicco i blog e i siti di settore ma resto sempre in bilico. Il colpo di grazia me lo regala una serie di video sponsorizzati su YouTube nei quali Cedroni presenta qualche ricetta e si piega a raccomandare un certo gas come ingrediente fondamentale a chilometro zero: credo ci sia un limite alle panzane che posso digerire e la decisione è presa.
Seriamente: se potrò, sarò felice di provare una cena alla Madonnina del Pescatore, ma mai sono stato più contento di un scelta: l’esperienza da Uliassi è stata connotata da una sequenza spettacolare di portate, un meccanismo perfetto che ha alternato alla naturale preponderanza dei piatti di mare un paio di incursioni nella carne (e mi resta l’acquolina in bocca, pensando a cosa debba essere il menu di cacciagione).
Soprattutto, Uliassi è riuscito a porgermi il sacro Graal che avevo mancato da Crippa: il bilanciamento tra innovazione e ricerca e  l’immediata e massima comprensibilità e piacevolezza del piatto.
Ricordo distintamente i fusilloni ai ricci di mare o la ricciola alla puttanesca o ancora delle cannocchie stellari, ma tutta la cena è stata un unico zenith, di certo la migliore della mia vita, una esperienza resa ancora più piacevole dalla ambientazione in una struttura in riva al mare semplice ma elegante e da un servizio cordialissimo, orchestrato con bella leggerezza dalla sorella di Mauro, Katia.
Bella carta dei vini, con ricarichi per nulla eccessivi.

Esco da questa serie di cene con alcune certezze: la prima è che mangiare bene costa tanto. Troppo. E il dramma è che dopo essersi seduti in ristoranti di questo calibro diventa arduo godere in locali di pretese inferiori.
La seconda, è che in tutti i casi ho assistito ad organizzazioni di gran livello, con una regia che mai mi ha fatto attendere per ore un piatto o ha dimenticato una portata o ha lasciato spazio a disguidi.
La terza è che i vari menu degustazione sono ben calibrati e anzi, talvolta persino troppo abbondanti, e da queste mense mai si esce con la fame come paventato dalle recensioni di legioni di mangioni inveterati: cari amici di TripAdvisor, ma che ve magnate a casa???

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Ri-tentar non nuoce: torna un festival birrario a Genova

Francamente non avrei mai pensato che qualcuno avrebbe mai avuto il coraggio di ritentare: dopo il flop storico del IBF Genova (e il mezzo flop di Birre al Parco) torna un festival di birra in città.

Non contando le varie manifestazioni organizzate (male) da distributori e locali, ormai da anni la scena birraria genovese ha subito varie fasi di trasformazioni; si partiva da basi pionieristiche magari piccole ma solide: la presenza in città di un comunicatore di eccezione come Kuaska, l’apporto fondamentale della Compagnia della Birra, che con Massimo Versaci (poi creatore di Maltus Faber) organizzava i primi viaggi in Belgio, i contributi di storici homebrewer (Max Faraggi, Mauro Queirolo), tre locali che in tempi non sospetti investivano in qualità (Irish pub, O’Connor, Pub del Duca)…

Ad un certo punto qualcosa si è arenato: Kuaska ha iniziato a gravitare sempre meno su Genova, i locali storici hanno cambiato in parte gestione e ad organizzare meno serate a tema, la birra “artigianale” (termine che non vuol dire nulla e che odio di cuore) è diventata mainstream e si è insinuata in qualche ristorante, bar ed enoteca insospettabile.
Insomma, da provinciale che non ha mai frequentato granché “il giro giusto” ho notato comunque un raffreddamento dello spirito “di frontiera” che aveva animato i primi tempi.

Da qualche tempo, una nuova fiammata: hanno aperto alcuni nuovi locali dedicati al mondo della birra, sta per iniziare un corso sulle birre acide e mi pare di capire che questi tizi di Papille Clandestine si siano appassionati al tema.

Stiamo a vedere che succede: intanto i nomi annunciati al Genova Beer Festival sono di buon livello e la formula del gettone ad un euro per 10cc è quella che preferisco (in realtà speravo anche in un carnet da 10 assaggi con un po’ di sconto ma non si può aver tutto…).

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Champagne Grand Cru Cuvée Marie Catherine Extra Brut, Francois Billion

Ancora uno champagne Grand Cru (qui e qui i precedenti), sempre pescato dalla cassa acquistata recentemente da L’Etiquette: è la volta di Francois Billion e anche in questo caso le aspettative sono quelle di un vino di grande interesse, visto che la piccola maison (circa due ettari, con vigneti di almeno 40 anni) opera a Le Mesnil s/Oger, mitico comune della Cote des Blancs, patria di alcune tra le più prestigiose bollicine transalpine.
L’azienda è così piccola da non avere un sito internet e da potersi permettere ancora sboccatura a la volèe ed etichettatura manuale.

billion-extra-brutDenominazione: Champagne
Vino: Grand Cru Cuvée Marie Catherine Extra Brut
Azienda: Francois Billion
Anno: –
Prezzo: 27 euro

Data la provenienza, parliamo come ovvio di un prodotto 100% chardonnay. Il vino non ha svolto malolattica, ha fatto affinamento in acciaio, ha riposato per 48 mesi sui lieviti e non ha dosaggio (da qualche parte leggo 0,5 grammi/litro). Viene prodotto in sole 5000 unità.

Il colore è tra paglierino e dorato, con bolle finissime, intensamente copiose e continue, da manuale. Il naso riporta evidenti note di lievito, declinate sul versante della pasticceria, poi agrume e gesso.
L’assaggio è sicuramente molto fresco e appagante, però un po’ semplice e corto: manca la profondità, la materia e la struttura del grande vino che mi sarei aspettato. Ne risulta una bottiglia piacevole, interessante per un buon aperitivo ma che non mantiene le premesse (altissime, forse troppo?).

Il bello: piacevole, fresco
Il meno bello: mancano struttura e soprattutto complessità

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Champagne Grand Cru Carte d’Or, Camille Saves

Ancora una bottiglia proveniente dalla cassa acquistata presso L’Etiquette, l’azienda è quella di Camille Saves.
Rubo anche questa volta le note relative al produttore dalla scheda sul sito dell’importatore: “il domaine si estende su circa dieci ettari, impiantati a Pinot Noir nei territori Grand Cru di Bouzy, Ambonnay e Tours-sur-Marne ed a Chardonnay nei territori Grand Cru di Bouzy e 1er Cru di Tauxieres. L’età media delle vigne è di 40 anni” … “la fermentazione si fa in vasche di acciaio termoregolato, non viene svolta la fermentazione malolattica per garantire la freschezza e la ricchezza aromatica dei vini di base, l’affinamento, che tradizionalmente si faceva solo in vasche di acciaio, negli ultimi anni, per le cuvée pregiate, si fa anche in botti di legno”

carte-orAncora una volta si tratta di un Grand Cru, ma stavolta non di uno Chardonnay al 100%, bensì di un blend 75% Pinot Noir e 25% Chardonnay, fermentato ed affinato in acciaio, con malolattica non svolta, 57 mesi sui lieviti e disaggio di 9 grammi/litro.

Denominazione: Champagne
Vino: Grand Cru Carte d’Or
Azienda: Camille Saves
Anno: –
Prezzo: 23 euro

Il bicchiere è paglierino, con bolle copiosissime e sottili e aromi freschi e semplici, fragranti, di crema pasticcera, con un bel contrappunto minerale

L’assaggio è aggrumato, minerale, gessoso, molto intenso, ricco, estremamente fresco nonostante il dosaggio (non certo risicato ma per nulla fastidioso).
In bocca è pieno, di ottimo equilibrio e con una lunghezza degna di nota.

Il bello: ottimo prezzo in relazione alla qualità. Fresco e minerale
Il meno bello: poco reperibile

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Champagne Grand Cru Cuvée 555, Voirin-Jumel

Ho comperato una cassa di Champagne prodotti da piccoli recoltant manipulant dei quali so poco o nulla, giusto di qualcuno avevo letto la ragione sociale chissà dove. Per sceglierli mi sono fidato di qualche descrizione letta sul sito dell’importatore (L’Etiquette: lo consiglio perché è stato puntualissimo nella consegna ed estremamente cortese) e soprattutto dalla provenienza da qualche villaggio particolarmente vocato, magari battezzato Grand Cru o 1Er Cru.
So bene che si tratta di criteri aleatori, ma volendo assaggiare qualcosa di nuovo a prezzi umani è sempre meglio che tirare a caso, no?

Uno dei primi vini che ho tolto dalla cassa è prodotto dalla azienda  Voirin-Jumel, la cui scheda pubblicata sul sito de L’Etiquette parla di “vigneti che si estendono su dodici ettari, frazionati in ben 11 villaggi, tutti in aree Gran Cru o 1er Cru, della Cote des Blancs, tranne una parcella a Mareuil su Ay” … “La vinificazione è fatta in vasche di acciaio termoregolate ed anche l’affinamento, con eccezione di quanto riguarda la Cuvée 555 che viene affinata in 11 barriques di parecchi passaggi. La pressatura è fatta con una pressa orizzontale pneumatica a plateau inclinato. Gli champagne subiscono una filtrazione leggera”.

cuvee-555E’ proprio la Cuvée 555 che ho stappato: i dati tecnici parlano di Chardonnay da vigneti Grand Cru al 100%, con malolattica non svolta, affinamento in legno, 72 mesi sui lieviti e 8 grammi/litro di dosaggio.
Bottiglia elegante e caratteristiche interessanti mi predispongono ad aspettative altrettanto importanti: vediamo.

Denominazione: Champagne
Vino: Grand Cru Cuvée 555
Azienda: Voirin-Jumel
Anno: –
Prezzo: 26 euro

Nel bicchiere è giallo quasi dorato, con perlage finissimo alla vista ma soprattutto in bocca.
Gli servono dei minuti: il tappo non è bello e appena stappato è gnucco, muto e pesante. Temo il peggio. Con i giri di orologio si ingentilisce; il naso si arricchisce di note gessose minerali e aggrumate, espressive ed eleganti

L’assaggio è molto fresco, ampio, largo non nel senso della robustezza ma di una persistenza inusuale in tutta la capienza della bocca. Fresco per acidità ma anche oltre, grazie ad agilità e dinamicità.

Un finale leggermente amaro e una bevibilità non record lo azzoppano lggermente, ma devo dire che il tappo non era meraviglioso… vorrei provarne una seconda bottiglia in modo da avere un riscontro.

Il bello: dinamico, fresco, buon prezzo
Il meno bello: occorre tempo, finale leggermente amaro

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Bianc ‘d Bianc Alta Langa 2008, Cocchi

Dopo più di un anno torna l’assaggio di questo prodotto di Cocchi: rimando dunque al post precedente per qualche considerazione più generale.

Devo dire che se il millesimo 2007 lo ricordavo di ottimo livello, questo 2008 (sboccatura 2014), pur ben fatto, mi ha appagato meno.

Denominazione: Alta Langa DOCG
Vino: Bianc ‘d Bianc
Azienda: Cocchi
Anno: 2008
Prezzo: 24 euro

Visivamente paglierino, al palato rivela una bella bolla, finissima, mentre l’olfatto riporta una accenno vegetale un po’ fuori registro, condito da lieviti e da un lontano ricordo di tabacco e caramello.

Il vino è molto delicato, si beve con facilità ed è dotato di grande equilibrio; purtroppo non è particolarmente lungo, e sento un dosaggio in leggero eccesso. Nel complesso è una bevuta facile, piacevole, disimpegnata: nulla di male, anzi, ma da una bottiglia di lungo affinamento ci si aspetta qualcosa in più a livello di complessità.

Il bello: buon equilibrio, bevuta facile
Il meno bello: dosaggio avvertibile, complessità limitata

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Terre sospese

La minuscola cantina Terre Sospese di Andrea Pecunia a Riomaggore è uno dei segreti della straordinaria viticultura delle Cinque Terre, fatta di piccoli produttori che si impegnano a mantenere (e manutenere) un territorio che definire impervio è ovvio eufemismo. Per chi non avesse idea dell’ambiente meraviglioso e durissimo con cui i vignaioli si confrontano, credo sia sufficiente sbirciare le foto sul sito…
Siamo nell’ambito dei cosiddetti vini naturali, quindi niente di niente viene aggiunto: no a lieviti selezionati, solfiti, filtrazioni e chiarifiche; largo spazio invece alla macerazione sulle bucce, e fermentazione e affinamento sono svolti in anfore di terracotta.

terreSospeseDenominazione: Vino bianco
Vino: Terre Sospese
Azienda: Terre Sospese
Anno: 2013
Prezzo: 20 euro

Al sodo: il bicchiere (un blend di Vermentino, Bosco e Bianchetta) è paglierino lattiginoso, torbido, con una decisa puzzetta di zolfo e chiuso che comprime il fruttato di uva matura.
Il sorso è molto sapido e semplice, con poco corpo e poco calore (anche se l’alcol in etichetta c’è, eccome), accompagnato da una certa morbidezza che ricorda ancora il succo dell’uva da tavola. Mi ricorda chissà perché le bollicine di Solouva.
E’ una bevuta veloce, dissetante, tutto sommato piacevole nella sua imperfezione, da servire sicuramente sui 15 gradi.

Da riprovare una seconda bottiglia per confermare le caratteristiche errabonde e randomiche da “super naturale” oppure per essere smentiti (per capirci, me ne avevano parlato in termini molto più lusinghieri)…

Il bello: molto godibile, nonostante le imperfezioni

Il meno bello: puzzette e rusticità in eccesso, prezzo troppo alto

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