Mersault Les Durots 2011, Morey

Una delle zone mitologiche per l’appassionato di vino è la Borgogna, epica sia per la narrazione del famigerato terroir, sia per la fama di bottiglie inarrivabili per rarità e per valori di listino astronomici; per fortuna si trova anche qualcosa di relativamente più abbordabile, anche se è certamente difficile orientarsi in un panorama ricco di produttori e denominazioni.

Questo è uno di quei casi: ho scelto un prodotto della famiglia Morey, che lavora le vigne in questi lembi di Francia da oltre 200 anni e attualmente possiede circa 10 ettari distribuiti in vari comuni (Monthelie, Pommard, Puligny-Montrachet e Meursault), da cui ricava una vasta gamma di etichette. La coltivazione è stata convertita negli anni 90 prima in biologico e poi in biodinamico.

moreyIl vino in questione è un pinot nero in purezza che svolge la malolattica, viene affinato in pieces di rovere e non subisce filtrazione o chiarifiche; la denominazione è quella comunale di Mersault, uno dei cosiddetti “Village”, cioè il secondo gradino nella scala delle Appellation borgognone, che, lo ricordiamo, prevede una piramide con al vertice la appellation grand cru, per scendere via via verso il premier cru, poi la appellation communale e infine quella régionale.


Denominazione
: AOC Mersault
Vino: Les Durots
Azienda: Domaine Pierre Morey
Anno: 2011
Prezzo: 45 euro

Il lieu-dit “Les Durots” (esteso per meno di mezzo ettaro) significa “terra difficile, dura” e regala vini che il produttore identifica come colorati, tannici, potenti e di lungo invecchiamento. Vediamo se è vero.

Il vino è effettivamente di colore molto intenso, un bel rubino denso e serrato, e il buquet è paradigmatico, la quintessenza francese del pinot nero, con i piccoli frutti rossi di bosco maturi e tanta speziatura dolce, accompagnata da qualche inizio di terziario. Indubbiamente intenso, vellutato e ingannevole, perché l’assaggio, dal calore alcolico piuttosto ben mascherato, è invece molto deciso, con un tannino levigato ma serrato, una acidità rilevante e un corpo ben presente.

Il vino sicuramente non è stato stappato al suo meglio, ritengo che qualche anno in più non possa che giovare, ricomponendo e armonizzando le asperità: ad ogni modo si beve con una certa piacevolezza già da subito, magari in accompagnamento ad un petto d’anatra o a selvaggina.

Il bello: ci si perde col naso nel bicchiere
Il meno bello: vino ancora in divenire. Prezzo importante

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Genova Beer Festival: la prima edizione

Lo stupore che coglie anche chi, come me, vive tutto sommato nelle vicinanze è indicativo: prima di raggiungere villa Bombrini si taglia il centro di Genova con la Sopraelevata, e col buio è un po’ come trovarsi sul set di Blade Runner, visto che si vola a metà strada tra le luci del porto e quelle della città, per scendere poi a Sampierdarena e allungare verso Cornigliano, in un territorio che si è trasformato da immagine da cartolina in esempio di massimo degrado, con i palazzoni maltenuti, il muraglione del porto e il filo spinato, la sporcizia incipiente, auto e motorini abbandonati, la famiglia di rom che occupa abusivamente quello che un tempo forse era una autofficina e tutte le altre declinazioni del caso che possano venirvi in mente.
Ecco, a un passo da tutto questo scempio, imboccando una viuzzola, ti ritrovi in un ampio parcheggio che affianca un bellissimo villone settecentesco con relativo parco annesso: è villa Bombrini, la sede del primo Genova Beer Festival, e il primo pensiero non corre alle alte o basse fermentazioni, ma semmai a quanti eccellenti scorci come questo ci possano essere, dimenticati, in altre parti della città.

Che dire del Festival? Non me lo sono goduto, a causa di problemi in famiglia ho potuto presenziare solo un paio d’ore domenica sera prima della chiusura, ma la mia idea me la sono fatta.
Ok l’ingresso a sei euro, molto bene il bicchiere in vetro (anche se non proprio ideale la forma, ma son dettagli. A me non è stata consegnata la tasca portabicchiere, forse erano finite o magari è stato un disguido) ma per favore fate in modo che si possa riconsegnare il vetro all’uscita e avere indietro una cauzione, anche simbolica.

Molto bene il pieghevole all’ingresso, con il programma completo della manifestazione, un glossario minimo e l’elenco delle birre. Forse avrei diviso le birre non per stile ma per birrificio, ma ce ne fossero di depliant fatti così.

Benissimo gli spazi in relazione al numero degli espositori: i banchi sono ben distanziati e c’è molta “aria” che permette di non fare a spintoni con gli altri visitatori, e anche il giardino immagino sia stato una bella valvola di sfogo durante il giorno. Ho qualche riserva sulla disposizione dei banchi di assaggio su più piani: a quanto ho visto non ci sono sistemi di accessibilità per i disabili.

Gettone di degustazione a 1 euro per 10 cc di birra (in realtà ne veniva servita quasi sempre di più), e qui forse si poteva fare di meglio, prevedendo un carnet per chi vuole fare molti assaggi; in questi casi i 10cc (abbondanti) sono sempre troppi e il costo diventa importante: la mia formula ideale è il carnet da 10 assaggi da 5cc a 5 euro o qualcosa di simile.

L’appunto più negativo è quello relativo al cibo, in un momento di scarsa affluenza e praticamente senza code, occorreva attendere oltre 30 minuti per una semplice bruschetta: le due “postazioni food” cui mi sono approcciato (Ai Troeggi e Kowalski) mi sono sembrate palesemente inadeguate sia come gestione dei tempi che come qualità. Da rivedere anche il numero dei tavoli e delle panche a disposizione, troppo scarsi, perlomeno quelli all’interno della villa.

Sulle vere protagoniste, le birre, non ho troppo da dire, avendo fatto solo una quindicina di assaggi molto frettolosi, quindi mi limito a poche segnalazioni.
Pollice in alto per Canediguerra, birrificio giovane ma con tutta l’esperienza di Allo alle spalle e si sente da tutta l’ottima gamma, corretta, senza esagerazioni e strampalatezze.
Passaggio di rito da Maltus Faber che sfodera una per me irresistibile Blonde Hop (poco alcolica, leggera, di carattere ma mai invadente).
Chiaroscuri per uno dei nomi storici del panorama “artigianale” italiano, il Birrificio Italiano: la Tipopils, uno dei paradigmi del genere, non mi è sembrata al top, mentre era centrata la Nigredo, uno dei pochi esempi di Schwarzbier tricolore. Molto interessante anche la Sparrow Pit, un Barley Wine di bevibilità assassina.
Vellutata e piacevole la Nocturna di Kamun.

Nota stonata, non certo per colpa degli organizzatori: domenica sera chi serviva al banco di almeno un paio di espositori era evidentemente non in condizioni lucidissime… capisco che erano le ultime ore, che un festival di birre non è un ristorante stellato e che l’atmosfera è informale, ma non mi sembra un gran biglietto da visita per il produttore.

Le conclusioni? Un successo sicuramente, senza contare che si trattava di una prima volta.
Un grande “bravo”, quindi, ai ragazzi di Papille Clandestine per l’ottimo lavoro svolto, con la speranza di ritrovare il prossimo anno un GBF ancora più ricco di birrifici, di cibi e di eventi.

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Genova Beer Festival

Più di 50 birre artigianali alla spina in degustazione.

Villa Bombrini

Via Muratori 5, Genova Cornigliano 
L’ingresso costa 6 € e comprende bicchiere e tasca portabicchiere. Gli assaggi si acquistano esclusivamente con i gettoni del Festival, che puoi cambiare nell’apposita cassa interna. Un gettone costa 1 € e dà diritto a 10 cl di birra (in un bicchiere ce ne stanno 30 cl): in questo modo potrai assaggiare più birre diverse senza… stancarti.

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Particella 928, Cantina del Barone

La Cantina del Barone è la piccola azienda (2,5 ettari per sole 16000 bottiglie) della famiglia Sarno, situata a circa 350 metro di altitudine nel centro della Campania, a Cesinali in provincia di Avellino: è quindi ovvio che si parlerà di Fiano, vitigno millenario già noto ed apprezzato in epoca Romana.

bottiglia-fiano-particella-luigi-sarnoQuesta bottiglia in particolare è il Particella 928, dal nome catastale del mezzo ettaro da cui si ricavano le uve migliori, ed è relativa alla annata 2012, millesimo che ha subito alcune vicissitudini, essendo stato bocciato dalla commissione d’assaggio che assegna la DOCG per “evidenti anomalie all’olfatto e al gusto”, e per questo uscito in commercio con denominazione Campania Fiano IGP.
Evito di aprire l’ennesima sterile discussione sulla utilità del sistema di denominazioni (quando ne troverò la voglia mi piacerebbe farne l’oggetto di un post specifico), e mi limito a segnalare che il disciplinare recita il consueto e inutile “odore: gradevole, intenso, fine, caratteristico;
sapore: fresco, armonico” per il quale si può promuovere o bocciare qualsiasi vino…


Denominazione
: Campania Fiano IGP
Vino: Particella 928
Azienda: Cantina del Barone
Anno: 2012
Prezzo: 15 euro

Quindi ci troviamo di fronte ad un vino declassato, non meritevole della DOCG: assaggiamolo.
Il colore è paglierino con tendenze dorate; lo spettro olfattivo è ricco, estendendosi dal leggero erbaceo alla frutta quasi matura, passando per accenni floreali. Nel complesso molto fresco e mai stucchevole.

Il sorso è di straordinaria sapidità, introdotto da una chiara traccia di affumicato e di tabacco dolce; corpo notevole ma non pesante, e il notevole eqilibrio non fa avvertire l’alcol.
Il finale è lungo e amarognolo, per nulla fastidioso, e pulisce ad invita ad un nuovo bicchiere

Il bello: grande esempio di vino naturale. Ottimo potenziale di invecchiamento
Il meno bello: la sensazione affumicata/tabacco può stancare alla lunga

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L’esame da Degustatore AIS: le nuove modalità

Pubblico questo interessante commento di Stefano, che ha appena sostenuto l’esame da Degustatore AIS, sperando che possa essere utile per coloro che devono sostenere la nuova tipologia di esame.

(Qui tutti gli appunti sulla didattica AIS)

“Ciao Marco, volevo darti un ulteriore riscontro sulle nuove modalita’ dell’esame (che ho sostenuto nel fine settimana, e ho pure passato :- ), sperando di fornire qualche nota utile a chi vorra’ provare a superalo nel futuro.
Intanto una nota e’ sulla velocita’ nelle risposte, per cui entro un paio di giorni sai l’esito. il seminario e’ molto interessante, anche se credo non se ne goda a pieno, essendo i candidati chiamati a sostenere l’esame nelle stesse giornate.
Il programma e’ in continua evoluzione e miglioramento. Nella sessione a cui ho partecipato, c’erano 15 vini in degustazione e 6 oggetto di esame. I primi due dovevano essere degustati individualmente e la descrizione tecnica e relativo puntuggio dovevano essere fatti su un foglio di carta bianco. Successivamente si faceva la degustazione di un terzo vino e la ‘descrizione giornalistica”, cioe’ una mezza pagina che illustrasse questo vino, magari arricchita da un possibile abbinamento, il punteggio, la temperatura di servizio ecc.
La parte finale prevedeva la degustazione di tre vini di fronte a un commisario e un segretario che ascolatavano la presentazione dei vini. Qui e’ importante essere, tranquilli, composti e fluidi nell’esposizione. Esercitatevi a casa!
Oltre la degustazione dei vini, c’e’ la parte teorica, molto ridotta rispetto al passato, ma di un livello di complessita’ piuttosto alto. praticamente il libro sulla Degustazione lo dovete conoscere a memoria e il mondo del sommelier (fino ai vini passiti) molto bene. Domande aperte, scelta multipla e vero/falso.
In bocca al lupo …..”

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Dolcetto Superiore 2009, Roddolo

Comperate durante la visita, ho ancora sepolte in cantina alcune bottiglie dell’ormai mitologico (a causa degli scritti di “prezzemolino” Scanzi) Dolcetto di Flavio Roddolo, e con le prime piogge credo sia venuto il momento di metterci mano…


Roddolo_DolcettoSupDenominazione
: Dolcetto Superiore
Vino: Dolcetto
Azienda: Flavio Roddolo
Anno: 2009
Prezzo: 12 euro

Aromi non esuberanti ma che nelle prime ore dopo l’apertura si sciolgono in delicatezze insospettabili: a parte la frutta matura, ecco alcune sfumature di viola e leggere speziature. Il giorno seguente il tutto sarà più smorzato, ed emergerà maggiormente il frutto.

L’ingresso è caldo, deciso, con un tannino dal bel grip robusto. L’acidità è notevole, la lunghezza buona e la chiusura lascia una lieve mandorla, non fastidiosa.

E’ un vino magari semplice (ma non troppo), ed uno dei pochi casi in cui mi va di spendere il termine territoriale. Vino che richiama agnolotti, sughi, coniglio, cibo con una certa untuosità. Gastronomico insomma, e stagionale: sarà la suggestione, ma bevendolo non possono venire in mente le colline langhette durante l’autunno.

Io ne ho fatto accompagnamento brutale e semplice, un giorno con caldarroste e l’altro con pane e salame: molto bene in entrambi i casi, perfino con le castagne.

Il bello: vino quotidiano alla ennesima potenza
Il meno bello: nulla da segnalare

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Quartino diVino, Ovada

Leggi Ovada e subito pensi al Dolcetto, o comunque a vini appartenenti alla tradizione Piemontese magari in declinazione Monferrato, e a piatti altrettanto territoriali… invece una vocina ti spiffera che in centro città c’è un locale diverso, con un titolare simpaticamente un po’ matto e totalmente “champagne addicted”. Vorrai mica non farci tappa?

E’ così, grazie alla segnalazione di Gianluca Morino, che mi sono imbattuto in questa “Vineria Champagneria Quartino diVino” di cui avrei altrimenti ignorato l’esistenza: è un locale carino, elegante ma molto alla mano, in cui mi pare di capire si possa fermarsi per un aperitivo o un piatto veloce, oltre che per cenare come ho fatto io.
Al momento del mio passaggio la carta si articolava in una manciata di proposte di terra, con attenzione a carni e a formaggi locali e a qualche piccola incursione in piatti di mare; ho provato gli uni e gli altri ricavandone la medesima impressione: ottime materie prime elaborate in portate abbondanti ma curate (non è l’osteria del camionista) e cucinate in modo da ricavarne preparazioni forse non troppo raffinate ma di certo vigorosamente gustose.

Nonostante la ragione sociale, la carta dei vini propone non solo bolle: presenti pure un bel numero di etichette dei rossi locali e qualche bolla nostrana. Ovviamente importante la scelta degli Champagne, e all’interno di questa tipologia il proprietario sembra avere una decisa liason con Drappier: di questa maison non avevo mai assaggiato nulla e ho gradito un Brut Nature 100% pinot nero di ottimo rapporto qualità prezzo.

In sintesi: personale cortese e veloce, titolare simpatico e competente, ambiente informale, prezzi dei piatti non bassissimi ma corretti in ragione di quanto assaggiato e favorevoli ricarichi sui vini: un locale che mi sento di consigliare a tutti coloro che passano in zona e vogliono fare una piccola deviazione rispetto alla classica trattoria piemontese.

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Birrart

Casteggio ritorna capitale della birra artigianale italiana con BirrArt Classic. Musica, spettacoli, cultura, degustazioni e cene tematiche ruoteranno intorno ai microbirrifici artigianali, per gustare grandi eccellenze di produttori ormai affermati e scoprire interessanti bionde artigianali di giovani birrai che stanno incominciando la propria avventura imprenditoriale e di gusto.

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Ribolla 2006, Radikon

Me ne sono accorto da poco, ma la tendenza mi è chiara: sto seguendo un percorso opposto a quello di tanti esperti ed enomaniaci… pazienza me ne farò una ragione.
Sto parlando dei vini che subiscono macerazioni robuste, che tanto mi avevano affascinato durante i miei esordi da “bevitore serio” e che adesso spesso mi risultano pesanti, noiosi, monocordi.
Non arrivo a pensarla così per Radikon, che è uno dei maestri di questo stile, un precursore che adotta questa tecnica da tempi non sospetti, ma non posso non ammettere un calo di piacevolezza nella bevuta.

Per un approfondimento sul produttore, rimando alle mie note di viaggio.

ribolla-gialla-radikon-2006Denominazione: IGT Friuli VG
Vino: Ribolla
Azienda: Radikon
Anno: 2006
Prezzo: 20 euro

Il vino è ambra scura con riflessi aranciati, sembra un brandy, ma si mantiene  luminoso e vivo.
L’olfatto è dominato dalla terziarizzazione: smalto, vernice, cui si accompagnano dietro le quinte il frutto maturo e persino qualche ricordo di muschio, di bosco umido. Complesso, ma le note eteree molto potenti strozzano un po’ tutto il resto.

L’assaggio è come te lo aspetti: caldo, deciso, corposo, fieramente tannico, acido ma soprattutto sapido fin quasi al salmastro. Persino esagerato. La lunghezza è notevole e a tratti fa risuonare qualche corda ferrosa. Di fatto è un vino rosso, e alla cieca sfido tanti degustatori non avvezzi al mondo delle macerazioni estreme a riconoscere la bacca bianca.

Il suo bello è anche il suo limite: in questo vino si può riconoscere la mano (felice) del produttore e la tecnica (antica fin che si vuole, ma comunque ben presente). Magari persino individuarne una tradizionalità legata al luogo, ma di certo non il vitigno o il territorio, che sono annientati dalla metodologia di produzione.

Abbinamento difficile, se si vuol sorvolare sui soliti scontati formaggi stagionati: nel mio caso è stato quasi azzeccato con una (robusta) pasta con patate e cozze. Di certo è necessario un cibo importante.

Il bello: bevuta inusuale, interessante. Grande sapidità
Il meno bello: difficile abbinamento al cibo. Indice di bevivilità non alto

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