Bisogna essere sinceri, sennò che stiamo a fare qui?
Frequento colpevolmente poco il sud Italia enoico, forse per lontananza geografica, forse per reperibilità dei vini, forse per affinità di tipologie, e della azienda De Bartoli so giusto quel che sanno tutti: al tempo della sua scomparsa ho letto della passione di Marco De Bartoli, delle sue battaglie per il Marsala, del suo recupero del Grillo… ma alle spalle ho pochi assaggi.
La sostanza è comunque che il vino di oggi è uno di quelli che mi convince di quanto errata sia la mia consuetudine: questa è una di quelle bottiglie che ti fanno sbattono in faccia quel che ti stai perdendo.
Denominazione: Grillo Sicilia DOC
Vino: Grappoli del grillo
Azienda: Marco De Bartoli
Anno: 2012
Prezzo: 23 euro
Marco De Bartoli ha deciso di produrre il suo primo vino bianco nel 1990, usando un uva bistrattata e fino ad allora impiegata quasi solo per il Marsala, quindi Grillo in purezza raccolto nella Contrada Sampieri, a Marsala, con basse rese e severa selezione manuale. Fermentazione realizzata con lieviti autoctoni e temperatura controllata, inizialmente in acciaio e poi in rovere francese (del tutto inavvertibile sia olfattivamente che all’assaggio) per dodici mesi, usando la tecnica del bâtonnage.
Lo vedi di un bel giallo paglierino-dorato, di buona consistenza, e ti aspetti sentori caldi, magari mielati, ma appena metti le narici sopra al bicchiere ecco che si materializza lo spettro della tanto abusata mineralità di cui tutti straparlano… Arriva diretto un vagone di gesso (lo so che il gesso non ha odore, ma per qualche motivo il cervello accende questa immagine), condito con un filo di cera d’api, a sovrastare una struttura aggrumata (pompelmo?) decisa e fresca, condita da sensazioni di fiori di campo.
Non solleveresti più il nasone dal vetro, tanto è sfaccettato e piacevole.
Poi in bocca: riempie rapido il cavo orale: c’è acidità e torna nettissimo il pompelmo “mineralizzato”, ma è la sapidità a spiccare, tanto che brucia quasi le mucose. Non puoi definirlo equilibrato, ma come fai a non riempire (e a non svuotare) nuovamente il bicchiere?
Difficilmente spendo il termine “territoriale”, che per me vuol dire davvero poco (magari una volta ne parleremo), ma un sorso così salino non può non rimandare la mente a località marine; oltretutto la lunga chiusura, dopo il bel ritorno del frutto, palesa un accenno di macchia mediterranea, in cui una volta tanto un filo di amaro (ma è davvero un flash) ha un senso piacevole, evitando di diventare appendice fastidiosa.
Territoriale, dicevamo, ma felicemente bifronte: certo, non c’è quella carica alcolica, e glicerica che ti aspetti da un vino siciliano (poi però vai a controllare in etichetta e scopri che sono 13,5 gradi, e ti chiedi come diavolo facciano ad essere così ben mascherati!), ma la luminosità e la sapidità teletrasportano su coste soleggiate e sferzate dal vento che solleva schizzi di salmastro.
Il bello: bevibilità pazzesca, ottenuta senza sacrificare l’importanza del vino.
Il meno bello: per quanto la bevuta sia stata ottima, il millesimo era recentissimo: sono certo valga la pena provare qualche bottiglia decennale.
Grazie per questa bella recensione Marco e un buonissimo Natale!
Grazie a voi per l’attenzione!
Auguri.