In questi tempi di mille trasmissioni tv sulla cucina e di infinite pubblicazioni, corsi e blog riferiti a tutto lo scibile dell’umanamente edibile, in questa epoca in cui tutti siamo esperti nell’analisi organolettica dei fermentati d’uva e di malto, la faccenda del corretto abbinamento cibo-vino per molti appassionati assume ancora i contorni fumosi del culto neopagano, con tanto di sapienti druidi capaci di dispensare vaticini, inappellabili e ponderosi come un menhir, a fronte delle ingenue richieste di neofiti e spaesati adepti…
Grazie alla ricostruzione del colloquio Adepto-Sapiente, oltre al raggiungimento di vette di illuminazione degne dell’esperienza di un solstizio d’estate a Stonehenge, possiamo anche identificare la categoria druidica di appartenenza di questo ultimo:
– Adepto: “Supremo Cathbad, cosa ci bevo con un risotto al radicchio sfilacciato, cubetti di aringa affumicata, riduzione di sugo di cottura di maiale in agrodolce e spolverata di cacao amaro e zenzero?”.
– Druido della casta dei Lacoonici: “Romanee Conti Grands Echezeaux 1989”.
– Druido della casta dei Verbosi: “Per bilanciare la tendenza dolce del riso e del maiale serve un vino di ottima spalla acida e sapidità, ma che abbia anche notevole intensità e persistenza gusto-olfattiva in modo da tener testa alla aromaticità dello zenzero e alla forza del cacao amaro. Da non dimenticare, una certa morbidezza per mitigare la affumicatura”.
– Adepto: “Supremo Cathbad, rendo grazia della tua illuminazione. Ce piazzo ‘na latta de Fanta”.
Più seriamente, è vero che esistono svariate teorie sul corretto abbinamento, dalla più semplice (“pesce con bianco, carne con rosso”), alla simil meccanica quantistica del famigerato Metodo Mercadini, vero e proprio totem dell’AIS, che sarà oggetto della seconda parte di questa dotta trattazione.
Senza farla troppo lunga, nella prossima puntata, cercheremo di illustrare alcune delle metodologie più note.