Dalle stelle alle stalle: Summer Beer Festival

Dalle stelle alle stalle: passare in pochi giorni e in pochi chilometri dalla teutonica perfezione organizzativa di Terroir Vino a Genova all’indefinibile Summer Beer Festival di Chiavari regala la straniante sensazione della realizzabilità dei viaggi spazio-temporali.

In poche parole, è un periodo in cui ho poco tempo, quindi decido di farci un salto sabato pomeriggio: alle 16 e 20 circa sono all’ingresso. Ci siamo io, la tensostruttura e la polvere, mentre elementi magari poco coreografici ma abbastanza essenziali come il tizio alla cassa e quelli che dovrebbero spillare risultano non pervenuti.
Temendo di aver capito male gli orari, mi guardo attorno: tutti i volantini e i cartelli sostengono (come le info su internet) che l’apertura avrebbe dovuto essere alle 16.

Faccio un giro e mi ripresento verso le 16 e 45.
E’ ancora tutto deserto, ma ci sono due ragazzi della Compagnia della Birra che iniziano a mettere a posto i banchi di servizio e un tizio che, mosso a compassione, prova ad aprire la cassa per me, senza successo.
Mi dicono che siccome il giorno precedente la gente è arrivata in massa verso le 20, hanno deciso di aprire dopo…

Sono senza parole, di solito mi incazzo per i canonici 15-30 minuti accademici di ritardo nelle serate e nelle cene di degustazione, ma addirittura veder posticipata l’apertura di una manifestazione di qualche ora è davvero una prima assoluta.

Voglio fare i complimenti ai responsabili della solerte organizzazione, che mi pare comprendesse anche i soliti bicchieri di plastica e il prezzo di 4 (quattro) euro per ogni birra.
I responsabili da elogiare risulterebbero essere tali “Storico, Modà Cafè, Vinoria e Crystal, in collaborazione con Arte Group e la Compagnia della Birra”.
A ciascuno il suo: da quel poco che mi è dato sapere la Compagnia c’entra poco, essendo stata contattata solo per fornire un paio di persone per i laboratori e per le spiegazioni.

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Terroir Vino 2013: basta che non sia l’ultimo

C’è poco da dire, Terroir Vino è il mio appuntamento preferito per quanto riguarda il drink-porn smodato (click qui per spiegazioni sulla definizione); confesso di essere mosso da un certo affetto: dopotutto è stata la prima manifestazione enoica cui ho partecipato, la prima in cui sono stato cazziato da un produttore, la prima in cui ho imparato ad usare le sputacchiere…

Al netto delle questioni sentimentali, occorre aggiungere che TV è organizzato bene, benissimo, addirittura per me è l’esempio di come si dovrebbe svolgere un incontro di questo tipo: tanti produttori ospitati in una struttura bella, agibile, spaziosa e fresca, con aree relax dotate di divani, facile da raggiungere in auto (si riesce persino a parcheggiare, pagando salato, ovvio) o con i mezzi, con torte di verdura e panini che girano incessantemente da metà mattina fino a conclusione e con qualche interessante appuntamento collaterale (le Degustazioni Dal Basso) che aiuta a spezzare la serialità degli assaggi.

Su questi fronti, niente di nuovo (per fortuna), se non una leggera brezza di crisi: all’ingresso invece di libricino e penna veniva consegnata solo una mappa, sicuramente erano presenti meno espositori (anche se non saperei quantificare quanti meno), e temo di aver notato anche meno visitatori al pomeriggio, ma potrei sbagliare.
Soprattutto, su vari canali internet mi pare di aver colto momenti di stanchezza (meglio, direi di scazzo) del patron Filippo Ronco, che minaccia di trasformarsi il prossimo anno nel Moloch che sacrifica la sua stessa creatura.

Ecco, al netto dei soliti appunti temo poco interessanti su quanto ho bevuto (mi sono goduto specialmente lo Zero di Pojer & Sandri, che finalmente mi sembra un ottimo vino fatto e finito, lo splendido Pas Dosé di Haderburg, indistintamente tutti gli spumanti di Letrari e quelli per me inediti di Opera, i sempre notevoli Barbaresco dei Produttori e gli idrocarburici Timorasso di Mariotto) e tralasciando i complimenti per la Degustazione Dal Basso cui ho partecipato (“Eroi della Barbera, i luoghi e le persone”, molto interessante, forse solo un filo poco coinvolgente, con tre relatori bravi ed appassionati, ma ad occhio non abituati a parlare e stuzzicare il pubblico), dicevo, a parte tutto quanto sopra, mi preme spendere qualche riga per stimolare Ronco a non sbaraccare un evento che, oltre a non avere pari in Liguria, a mio avviso ha pochi concorrenti tout court).

Ovvio che Ronco farà quello che è più giusto per lui, io non ho idea se i problemi stiano in un entusiasmo diminuito, o siano di natura finanziaria, o forse ricadano nella necessità di focalizzarsi su altri progetti o magari in un po’ tutte queste cose assieme, e dopotutto chi sono io per dare l’egoistico consiglio di non smettere, ma mi permetto di suggerire di cercare collaborazione da parte sia di professionisti che di amatori, magari modificando leggermente la formula per rendere più appetibile l’appoggio di qualcuno dei soggetti interessati. Anche una dimensione minore dell’evento sarebbe accettabilissima, così come capirei un legame più marcato a VGM, sempre mantenendo gli standard qualitativi cui siamo stati abituati.

Insomma, Filippo nun ce lascià!

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Slowfish 2013: impressioni di sfuggita

Alla fine ci sono andato, a Slowfish 2013. Per una serie di casini personali pensavo di non farcela, ma visto che avevo prenotato un Master of Food (diobuono, ma un nome meno pomposo non riescono proprio a inventarselo? C’è quasi da vergognarsi a ddirlo: “Dove vai?”, “Eh, c’ho un Master of Food…”, “Mavaff…”), mi sono ritagliato una mattinata.

Nuova ubicazione (area del Porto Antico invece che la Fiera del Mare), e conseguenti ingresso libero (bene!) e mancato tetto sopra la testa in caso di maltempo (male, ma fortunatamente non ha piovuto).
Ho avuto l’impressione di un minor numero di espositori rispetto all’ultima volta, ma potrei essere stato ingannato dalla ampiezza dell’area; di sicuro la crisi si è fatta sentire: una vocina mi ha detto che il prezzo richiesto agli espositori per uno stand è diminuito, e anche la scelta di non far pagare il biglietto ai visitatori immagino sia dovuta a questo…

Ho fatto un giro veloce, quindi butto giù poche note e pure confuse.
Il famigerato Master of Food conferma le bieche impressioni di collusione Petrini-Farinetti, infatti viene tenuto in una delle aule corso di Eataly. Nulla di nuovo, per carità, è ben noto che Slow Food e Eataly collaborino su vari progetti, ma francamente mi pare che la liason stia andando troppo oltre e che gli obbiettivi prettamente commerciali di Eataly (seppure ammantati di etica) facciano fatica a quagliare dignitosamente con le linee guida di Slow Food.
Ad ogni modo, il Master of Food è organizzato con precisione teutonica: la lezione è ripresa con una telecamera in modo da mostrare i dettagli su due grandi schermi, permettendo una visuale chiara a tutti i corsisti, ogni partecipante ha la sua postazione dignitosamente spaziosa e con tutto il necessario e viene anche omaggiato (oltre che di taccuino e matita) di due bei libri sull’argomento. A fine lezione, si mangia quanto preparato e si esce felici.

Il rapido giro per l’area espositiva è un mix di sensazioni: ci sono gli stand educativi su vari argomenti, e c’è anche tanto mercato (che poi, diciamocelo, è quello che interessa la massa dei visitatori), talvolta anche poco in tema con l’argomento (un esempio? Il venditore di olive ascolane lo vedo sia a Cheese che qui… che ci azzecca?), ma alla fine è sempre bello cazzeggiare tra i cibi, assaggiando un sacco di cose buone e facendo qualche parola con i produttori.

Spendo una riga per gli amici di Maltus Faber, che non vedevo da tempo e che erano presenti, oltre che con le “solite” Blond Hop e Bianca (pulitissime e piacevolissime), con un nuovo prodotto, una Sweet Stout da neppure quattro gradi che gioca tutta sulle finezze (di tostatura, di luppolatura, di carbonatazione; anche il corpo, spesso robusto in questa tipologia, è ben bilanciato) e che mi è sembrata una ottima session beer. Sarà disponibile solo in fusto, e spero di riassaggiarla a breve con più calma, con un bicchiere di vetro al posto della orrida pinta in plastica imposta in queste manifestazioni.

Nota di demerito per l’Enoteca. A parte qualche bottiglia presente in elenco ma in realtà non pervenuta, il prezzo degli assaggi è davvero eccessivo (bicchieri da 3, 4 o 5 buoni, ciascun buono costa 1 euro, in più occorre aggiungere il solito costo del calice), in particolare tenendo conto che non c’è uno grissino disponibile, che non ho visto acqua per pulire la bocca tra un assaggio e l’altro e che non siamo in una vera enoteca (non c’è servizio al tavolo e i posti a sedere sono abbastanza pochi, perlomeno a certe ore del giorno).

Appuntamento a settembre per Cheese!

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Il calendario di chi beve e di chi mangia

Comunicazione di servizio: magari ve ne siete accorti, magari no, ma in questi giorni ho aggiunto un calendario di eventi a tema eno-birro-gastronomico che ritengo interessanti e che di solito si svolgono più o meno nel Nord Italia.

Ora, non è escluso che possa estendere il calendario a tutta Italia, ma neppure che decida di sbaraccare tutto a breve, visto che inserire gli eventi e tenerli aggiornati richiede tempo.

In ogni caso, come ovvio, non mi assumo responsabilità alcuna nel caso in cui vi facciate 100 Km di auto per arrivare all’indirizzo sbagliato o con la manifestazione cancellata all’ultimo momento: per ogni evento inserisco sempre il link al sito ufficiale e possibilmente anche una mail e/o un telefono, fatene buon uso.

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Sestri Les Vins: ben fatto!

Sestri-Les-VinsPoco da dire su una manifestazione vinicola quasi sotto casa, ben organizzata, comoda da raggiungere sia in auto che in treno e con tanti bei nomi presenti: più varia di Vinidamare (imbattibile per annusare il dettaglio della situazione ligure, ma sofferente di cronici problemi organizzativi), più raccolta del pregevole Terroir Vino, meno settoriale dei vari Critical Wine.

Peccato per la pioggia battente e il clima gelido, perché l’ubicazione era perfetta per permettere di alternare assaggi e minuti di riposo in riva al mare, nella Baia del Silenzio: uscire all’aperto era davvero impraticabile e di questo ha risentito lo spazio interno alla manifestazione, che in alcuni momenti risultava intasato.

Apprezzabili: l’ingresso contenuto a 10 euro (5 per i soci AIS), la grande quantità di pane disponibile ai banchi di assaggio, le sputacchiere svuotate con buona solerzia.
Meno apprezzabili (ma sono dettagli): il pieghevole con l’elenco dei produttori non riportava l’elenco dei vini e la mappa dei banchi di esposizione, e mancava un guardaroba all’ingresso (in una giornata in cui tutti avevano ombrelli, sciarpe, cappelli sarebbe stato davvero comodo).

Da segnalare la presenza costante e amichevole di membri della famiglia Maule: li ho visti parlare cortesemente e sorridere con tutti non solo al loro stand ma in tutti gli angoli della manifestazione.

A parte la lista dei produttori (tutti del giro Vinnatur e di buon livello), una delle cose belle di un evento del genere organizzato vicino a casa è che gironzoli per le sale e incontri una valanga di persone che conosci: chi di vista, chi più approfonditamente, e il risultato è una atmosfera decisamente allegra e familiare.

Al solito, evito l’elenco puntuale degli assaggi, ché ne risulterebbe una lista lunga e noiosa. Solo un accenno per un paio di produttori che non conoscevo e che ho trovato sicuramente interessanti.

Spendo qualche parola in più la Azienda Agricola Casale: il vulcanico patron ci ha fatto assaggiare tutto e di più, da una serie di Trebbiano declinati in varie annate e varie macerazioni (tutte piacevolmente ben fatte e non eccessive), ai suoi Sangiovese estremamente rigorosi ed eleganti anche quando il frutto esuberava in marmellata al naso (in particolare l’annata 2000), per finire con un monumentale Vin Santo (ricco di ricordi, dai fichi alla salamoia) che ha attaccato i suoi aromi al bicchiere in maniera così previcace da richiedere svariati lavaggi. Grande azienda.

Altri assaggi sparsi: la piacevolissima e profumatissima malvasia lievemente macerata del Quarticello, la fresca e sapida ribolla di Kristancic, la Garganega Vecchie Vigne di Davide Spillare, un piccolo e giovane produttore ubicato a due passi dalla azienda di Maule e del tutto confrontabile come prodotto.

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Le loro maestà: impressioni varie

Buon ultimo tra i vari blog, propongo il mio commento su “Le loro maestà“, importante manifestazione giunta alla seconda edizione (per parlare come i tizi che redigono i comunicati stampa).

Le loro maestàIl succo della faccenda: presentare una panoramica di produttori langhetti e borgognoni, cercando di fornire una prospettiva quanto più completa possibile sulla “nobiltà” dei vitigni Pinot nero e Nebbiolo: in pratica 50 cantine, equamente divise tra Italia e Francia, hanno presentato per l’assaggio uno o due vini ciascuno, simbolo della loro produzione.

Manifestazione magniloquente (non vorrei definirla “sborona”, ma insomma…) sia dal nome “maestoso”, che per ubicazione (l’Agenzia di Pollenzo, dove risiedono anche l’università di Slow Food e la Banca del Vino), la teutonica macchina organizzativa (hostess precisissime e cortesi, guardardaroba all’ingresso, abbondanza di bottiglie d’acqua gassata e naturale e ottimi grissini nella sala di degustazione) e, ovviamente, per il prezzo allineato o forse persino superiore alle aspettative (80 euro!).

Le loro MaestàSolite sensazioni per il tipo di manifestazione che ormai, come da consuetudine, io definisco “drink-porn”: come altro puoi chiamarla, quando paghi per abbuffarti per una giornata intera di una messe infinita di vini, che ovviamente assaggerai e sputerai invece di approfondirli, gustarli, abbinarli ad una pietanza? E’ pornografia enoica: ti perdi in mille abbracci che ricambi solo per un istante, goloso di tuffarti tra altre braccia sempre nuove solo perché puoi e non perché hai qualcosa di ricambiare.
Ma tant’è, consapevole dei limiti della formula, ogni tanto mi piace indulgere in queste perversioni…

La cronaca: sveglia al mattino presto per essere a Pollenzo fin dall’apertura, in modo da dedicare la mattina alla Francia, fare una pausa per il pranzo, poi rientrare per gli italiani e riuscire ad avere un adeguato tempo di decompressione prima del ritorno a casa in auto.
Programma rispettato a dispetto delle temperature polari (-7.5 sulla Torino-Savona alle 9.30 del mattino!).

Mentirei se dicessi che conoscevo più del 10% dei francesi e più del 40% degli italiani, se non per averne letto le ragioni sociali in siti, libri, opuscoli eccetera, e altrettanto sarei presuntuoso se affermassi di essere essere stato capace di capire la filosofia e la qualità di 50 aziende nello spazio di poche ore.
Le loro Maestà 2Per questo, come sempre in queste occasioni, mi limito a qualche cenno su quello che ho trovato più gradevole o interessante in quell’istante, senza volerne fare classifiche di merito e neppure tagliare dei giudizi centesimali che sono quanto mai distanti dal mio modo di frequentare il vino.

Ecco quindi qualche impressione veloce e minimale.
Per quanto riguarda i francesi segnalerei il Clos de la Roche Grand Cru 2002 di Remy: note terziare, tannino presente ma delicatissimo, lungo e cangiante in bocca; il Nuit-Saint-Georges 1er Cru Les Damodes 2007 di Olivier: molto personale, con accenno di medicinale e bella freschezza; il Pommard 1er Cru Grand Clos des Epenots 2009 di De Courcel: si distingue per corpo, potenza e tannino mantenendo equilibrio ed eleganza; il Volnay 1er Cru Santenonts du Milieu 2005 di Comtes Lafon: forse il naso più bello, intenso, ricco della manifestazione.
Segnalazione a parte per i vini di Guillon, che si scostavano dagli altri per concentrazione superiore, sia nel colore che in bocca, il produttore sostiene a causa delle lunghe vinificazioni.

Per gli italiani: bello intenso, vivo, vibrante il Barolo Fossati 2006 di Enzo Boglietti; tannino alle stelle per il Barolo Bricco Boschis Vigna San Giuseppe 2006 di Cavallotto; piacevolissimo e corredato da una bella spezia il Barbaresco Rabajà 2009 di Giuseppe Cortese; fine, delicato e complesso, con accenni interessanti di evoluzione il Barbaresco Camp Gros Martinenga 2004 Tenute Cisa Asinari dei Marchesi di Gresy; molto personale ed elegante il Lessona Omaggio a Quintino Sella 2006 di Tenute Sella.
Un punto interrogativo grosso per il Barolo Bricco Gattera 2005 di Cordero di Montezemolo: al naso si avvertiva netta la banana!

In generale, è stato molto più semplice gestire l’assaggio dei vini francesi, che grazie alla minor potenza e soprattutto al minor tannino, hanno consentito al mio palato di restare reattivo e concentrato più a lungo.

Alcune osservazioni.
Molti i grandi nomi presenti, ma altrettanti ne mancavano, e degli intervenuti ben pochi hanno portato millesimi più affinati degli ultimi disponibili: dato il prezzo di ingresso credo che si potesse fare uno sforzo per avere maggiore profondità di annate; la cosa ha penalizzato in particolare i vini piemontesi, che in molti casi ho trovato ancora estremamente duri.
Ancora, la manifestazione era a numero chiuso: ne sono certo perché al sabato i biglietti risultavano esauriti in prevendita; nonostante questo, in alcuni momenti della giornata la calca era non insostenibile ma certamente fastidiosa; sarebbe stata augurabile una sala più spaziosa.

Infine, vorrei spendere una parola di elogio per la trattoria Savoia: al momento del pranzo abbiamo deciso di fare qualche metro e siamo entrati questo bar / tabaccheria di Pollenzo, che nel retro propone un piccolo ristorante. Cucina semplice e tradizionale, con materie prime di buon livello, porzioni devastanti per quantità e prezzi da incredulità generale. A completare lo stupore, servizio tranquillo e gentilissimo. Davvero complimenti: il locale che vorrei avere sotto casa.

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Slow Wine Torino: gli assaggi

Torno brevemente a parlare di Slow Wine per lasciare qualche accenno sugli assaggi.

Come detto in precedenza, queste manifestazioni con centinaia di prodotti, molti tra i quali blasonatissimi e di gran nome, sono certamente interessanti ma ricadono in quella categoria che io chiamo “drink-porn”: assaggi una catasta di roba (ovvio, hai pagato e “puoi fare tutto”), ma non c’è sentimento: come fai ad immedesimarti in un vino, a decidere se sarà piacevolmente accompagnato da un cibo e da quale cibo, se si tratta di una bottiglia che gradiresti avere a tavola con gli amici o da solo in una serata speciale o quotidiana… insomma, come fai a capire tutte queste cose semplicemente con una sorsata e uno sputo?

Detto questo, il drink-porn ha il suo innegabile fascino: ti levi la voglia di provare vini che non potrai mai (o quasi) permetterti e poi curiosare bottiglie che non trovi dalle tue parti; quindi andiamo a incominciare, avvertendo che trascriverò solo le note dei prodotti che più mi hanno colpito, in positivo o negativo e che lascerò solo qualche accenno (niente descrittori psichedelici o fiumi di parole: se lo trovo spesso eccessivo nel caso di degustazioni ragionate, figurarsi in queste occasioni da una botta e via).

Appena arrivato, molti dei vini sono caldi (una roba da vergogna per una presentazione di questo tipo), quindi devo stravolgere il percorso che avevo previsto, vagando con poca logica per almeno i primi trenta minuti.

Grande Radikonlo Slatnik 2010 ha uno spettro olfattivo di ottima complessità ed eleganza, mentre la Ribolla Gialla 2004 è un vero monumento di sapidità, mineralità e speziatura. Grandissimo vino.

Di Trentino e Alto Adige scelgo Cantina Terlano: mi impressiona la potenza e la struttura dello Chardonnay 1999.
Resto perplesso invece con il Filii di Pojer & Sandri, che mi viene presentato come un tentativo italiano di avvicinarsi a certi riesling della Mosella (bassa gradazione, freschezza e profumi): non mi convince per la risicatezza del corpo e per la eccessiva semplicità

Ferrari: pazzesco il Trento Brut Giulio Ferrari Riserva del Fondatore. In carta era scritto 2002, ma mi pare di ricordare che in realtà fosse presente il 2005. Poco importa: uno spumante che non avevo mai assaggiato è che ha davvero cambiato il modo in cui guardo  questa cantina: bolla delicatissima e cremosa, complessità e finezza olfattiva (pasticceria, floreale), corpo ben presente ma per nulla pesante.

Il problema è proprio Ferrari: dopo il Giulio ho fatto il giro dei Franciacorta (i vari blasonatissimi Cavalleri, Cà del Bosco, Bellavista), che, pur nella loro piacevolezza, sono sembrati letteralmente sbiaditi nel confronto.

Chiudo i bianchi con un grande vino: il Trebbiano d’Abruzzo 2007 di Valentini: potente e complesso, con meravigliosi accenni di idrocarburo.

Per i rossi mi piace ricordare il Primitivo di Manduria Es 2010 di Gianfranco Fino, molto discusso in questi ultimi due anni e che non avevo mai assaggiato. Mi ha colpito come un vinone da 16,5 gradi (!), bellissimo da vedersi, possa restare fine, facilmente bevibile e continuare a rivelare ampiezza di sentori.

Passo in Sicilia, e ritrovo il miracolo di Arianna Occhipinti: il suo Frappato 2010 è il rosso dalla bevuta più coinvolgente che io conosca, e pensare che un vino così sfaccettato e delicato provenga dal caldo sud, lo rende ancora più intrigante.

 

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Slow Wine 2012

Slow WineContinuo a pensare che le guide in genere e quelle dei vini in particolare servano a poco e che i punteggi siano una mostruosità che sfiora il ridicolo; nonostante questo per il secondo anno consecutivo mi sono sciroppato due ore di trasferta in auto per assistere alla presentazione della guida che più rientra nei miei canoni di leggibilità: Slow Wine.

Ora, siccome il mio approccio eretico al mondo del vino prevede che le bottiglie si aprano a tavola e si scolino con accanto forchetta e coltello e non taccuino e penna (o peggio smartphone), trovo che la degustazione seriale con la quale ci si approccia a queste occasioni sia moralmente ed esteticamente paragonabile all’ascolto dei dischi o alla visione dei film al tempo di youtube (cerchi qualsiasi cosa, trovi qualsiasi cosa, inizi a fruirne e se gradisci nei primi 10 secondi tutto bene, altrimenti via con la prossima ricerca), quindi un abominio.

Detto quanto sopra, i provinciali come me che non hanno frequentemente grandi occasioni di assaggio, difficilmente resistono alla tentazione di calarsi in un giardino dei balocchi di “1000 etichette, 600 cantine“, dunque, si parte sfidando il nevischio autostradale e lo sguardo severo di Carlin Petrini, ché sul sito l’organizzazione chiede di arrivare in bici, con i mezzi pubblici o con il “Road Sharing”; purtroppo la distanza, Tenitalia e l’indole personale spazzano via le tre opzioni nell’ordine.

Slow WineLa degustazione inizia alle 15 e ho la mattinata per girare in un Salone del Gusto non ancora strabordevole di visitatori; in particolare ho la possibilità di “fare fondo” col cibo in previsione della tempesta alcolica del pomeriggio.
Si potrebbero scrivere righe gustose (ma non è il caso) sulla fenomenologia dei vari visitatori del Salone (me compreso), che svariano senza soluzione di continuità dagli scofanatori abbruttiti di qualsiasi cosa abbia vaghe sembianze edibili (e tutte sono, rigorosamente “buonissime, senti qui!”), ai fighetti che conoscono tutti i formaggi della Slovenia e ne discettano con competenza facendo le pulci al produttore.

L’ubicazione del Rito è descritta come la “scenografica Rampa Nord del Lingotto”; scopro, chiedendo, che occorre uscire dal Salone del Gusto e camminare a casaccio lungo il perimetro del gigantesco complesso, poi, da qualche parte (dove?) rientrare. Dopo essermi perso richiedo, e stavolta mi dicono di salire al primo piano, attraversare il centro commerciale interno al Lingotto e poi scendere. Poco prima di chiamare la protezione civile mi sono fortunatamente scontrato con una carovana di altri dispersi adoratori di Bacco: assieme ci siamo fatti forza e abbiamo raggiunto il campo base. Prima nota per l’Organizzazione del prossimo anno: mettere qualche cartello e spiegare agli inservienti dove è la degustazione potrebbe essere una opzione non sgradevole.

All’ingresso, nuovo piccolo disagio: io, come molti altri, ho acquistato il biglietto via internet proprio per evitare le code, ma se tu, Organizzazione, vuoi che TUTTI (sia coloro che hanno pagato, sia quelli che devono ancora pagare) debbano stare nella stessa fila perché TUTTI devono ricevere un bigliettino che TUTTI consegneranno 10 centimetri più a lato per poter ricevere il classico bicchiere, è chiaro che il vantaggio di avere pagato una settimana prima è quantomeno discutibile. Se poi c’è una sola macchinetta che stampa il bigliettino in questione, e se si inceppa, e se i ragazzi addetti non hanno idea di come estrarre e rimettere il nastro, mi sovviene una altra annotazione geniale per l’Organizzazione: due file distinte, due macchinette (e magari una di backup) e un minimo di istruzione agli addetti.

Slow WineFinalmente entro, e scopro che la scenografica Rampa di cui sopra è, effettivamente, una rampa concentrica che si snoda dal piano terreno fino alla sommità del complesso, e ad ogni piano sono ospitate diverse regioni.
Lasciando perdere il fatto che le regioni presenti ad ogni piano sono segnalate con un pittoresco cartoncino vergato con penna a punta fine, e tralasciando che non mi è stata fornita neppure una piantina con gli espositori (che però immagino esistesse, perlomeno mi pare di averlo sbirciata nelle mani di pochi fortunati), resta che questa distribuzione logistica costringe gli eccentrici che volessero organizzare la propria visita secondo la sequenza spumanti-bianchi-rossi-dolci ad un saliscendi abbastanza estenuante.
Quindi, altre note per l’Organizzazione: ad una mostra il cui ingresso costa 50 euro mi piacerebbe non si dimenticassero di fornirmi una mappa e che i cartelli fossero leggibili; se poi si riuscisse ad avere tutti i produttori alla stessa quota altimetrica, sarebbe il massimo.

Slow WineInizio il giro dei produttori e scopro che tutti i vini spumanti e bianchi sono caldi: pare siano stati messi in fresco da solo 30 minuti; ne consegue l’ennesima nota per gli Organizzatori: ricordare il noto teorema che dice che una bottiglia immersa nel ghiaccio non scende alla temperatura desiderata nel volgere di un desiderio.

Dopo svariate discese ardite e risalite della Scenografica Rampa, trovo modo di scomodare ancora una volta l’Organizzazione: molti banchi avevano una sputacchiera in comune per più produttori, per di più piuttosto piccola. In una manifestazione così affollata la cosa può rivelarsi particolarmente spiacevole, e non vado oltre.
Ultima raccomandazione: verso le 17.30 le bottiglie d’acqua fornite per sciacquare bicchieri e bocca erano terminate in molti banchetti; credo che si potessero coprire le spese di qualche cartone di minerale aggiuntiva…

Commento finale sulla manifestazione: la scelta del Lingotto è felice (facile da raggiungere con i vari mezzi e ben dotato di parcheggio), ovviamente la selezione di vini è clamorosa, c’è ricca offerta di grissini e parmigiano per asciugare lo stomaco, nonostante la folla gli spazi sono vivibili e il personale FISAR è molto cortese; di contro, capisco che il punto di forza di questo evento siano la qualità e la quantità dei vini, ma una rassegna di questo tipo e il relativo costo di ingresso devono poi godere di una pianificazione di pari livello: lo scorso anno a Milano il tutto mi era sembrata decisamente meglio organizzato.
Vedremo il prossimo anno, tanto sono sicuro di ricascarci.

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Varie espressioni del Sangiovese

Conosco poco di ONAV ma sono iscritto alla newsletter della delegazione di Genova, che mi pare organizzi con discreta frequenza degli eventi interessanti; l’ultima mail proponeva un incontro a tema “Il San Giovese in varie sue espressioni” e il 3 Ottobre ho deciso di andare a vedere di cosa si trattava.

Intanto complimenti per l’organizzazione: l’evento si è tenuto in un salone in peno centro città, facilmente accessibile sia con l’auto che con il treno, spazioso e comodo nonostante la nutrita presenza di appassionati e con un sistema video e audio dignitosi. Sembra poco ma non è così scontato.
Non ultimo, il prezzo abbordabile (15 euro i non soci, 10 i soci).

L’incontro era in realtà una passerella di alcuni prodotti della azienda Tenimenti Angelini, produttore di dimensioni ragguardevoli, con tenute che si estendono in varie parti d’Italia; la conduzione è stata affidata ad un responsabile commerciale (Dino Torrione), oltre che ad un enologo “super partes” (Marco Quaini, che, per la cronaca, a suo tempo fu il mio docente alle prime due lezioni del corso AIS).

Abbiamo dapprima ascoltato una breve presentazione della azienda (che dichiara di affidare la fermentazione ai soli lieviti autoctoni, di controllare le temperature, di ricorrere a botti di media dimensione, riservando le barrique solo a certi cru, e di evitare la filtrazione), poi l’introduzione ad alcune declinazioni del sangiovese a seconda del differente territorio (Siena, Montalcino e Montepulciano), e infine la degustazione guidata.

Un breve riepilogo delle principali denominazioni provenienti dai terroir in questione

DOC
DOCG
Siena
 
Chianti Classico (80% sangiovese)
Montalcino
Rosso (100% sangiovese grosso) Sant Antimo
Brunello (100% sangiovese grosso. Invecchiamento 5 anni – 6 per la riserva)
Montepulciano
Rosso (70% sangiovese prugnolo gentile)
Nobile (70% sangiovese prugnolo gentile)

Le impressioni di assaggio:

1- Rosso di Montalcino Val di Suga 2010 (il prezzo in enoteca dovrebbe aggirarsi attorno ai 10/12 euro)
Rubino limpido, scarico con qualche riflesso granata, buona consistenza.
Al naso frutta rossa matura e spirito (ciliege, amarene, prugne) e leggera speziatura.
All’assaggio è decisamente caldo e materico; discrete acidità e tannicità; sicuramente morbido e con una certa persistenza.
Piacevole, ma senza nulla di particolare per farsi ricordare.

2- Nobile di Montepulciano Tre rose 2009 (prezzo sui 12-15 euro)
Rubino limpido, scarico con accenno granata; più vivo al colore e forse meno consistente rispetto al vino precedente.
Secondo me l’olfattivo è lievemente meno intenso e più fine del precedente, più votato al floreale, mentre opinione esattamente opposta è stata espressa  da chi conduceva la degustazione.
In bocca è caldo, morbido, abbastanza tannico, intenso e abbastanza persistente. Mi è parso meno fresco del precedente.

3- Chianti Classico San Leonino 2008 (prezzo sui 12-15 euro)
Rubino carico, più denso e consistente dei precedenti.
Olfattivo abbastanza intenso, non particolarmente complesso: frutta rossa non troppo matura, e un curioso tocco aranciato.
Al gusto mi è parso leggermente meno caldo e morbido rispetto agli altri vini, e con una acidità lievemente più presente. Il tannino è sempre dolce, rotondo.

4- Chianti Classico Riserva Mosenese 2007 (prezzo sui 20-25 euro)
Rubino vivace e quasi impenetrabile, consistente.
Naso intenso e di una certa complessità: si iniziano a sentire accenni di tabacco e spezie.
In bocca è potente, di gran corpo e di buona lunghezza. Tannino morbido.

5- Brunello di Montalcino Val di Suga 2007 (prezzo sui 20-25 euro)
Rubino non troppo carico, riflessi aranciati. Abbastanza consistente.
Olfatto floreale (viola) e di frutta rossa matura ma non troppo. Spezie dolci.
Al gusto è caldo, morbido, rotondo, con un tannino dolce. Non troppo fresco.

La mia personalissima conclusione è che si tratta di vini ben fatti, corretti, senza sbavature, con prezzi corretti e pronti da bere fin da subito anche nelle denominazioni che teoricamente necessiterebbero di maggiore attesa.
Di contro ho riscontrato un costante calore e lieve mancanza di acidità: insomma, in generale si tratta di “vinoni”, piacevoli all’assaggio, ma temo poi difficili da bere in quantità, se non in accompagnamento a robusti piatti di cucina non certo quotidiana.

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Terroir Vino 2012

Pur patendo ancora i postumi di Pasturana ho inforcato gli occhiali da sole per occultare almeno parte dei disastri alcolici del sabato e, dirigendomi ai Magazzini del Cotone di Genova per Terroir Vino (TV, d’ora in poi), ho detto quello che si dicono quelle signore perennemente a dieta: “vabbè dai, ormai che ho spazzolato tutto il cabaret delle paste è inutile rifiutare anche la meringata. Da domani basta”.

Era la mia terza presenza a TV, finalmente con in tasca il certificato da pinguino. Ricordo che la prima volta entrai con tante belle idee sul mondo del vino, in particolare su come finalmente potevo mascherare da seduta didattica la preoccupante attitudine a dedicare una giornata all’etilismo. Ricordo anche che TV, a noi neofiti, desse l’impressione di una manifestazione più accessibile delle altre, meno rivolta agli addetti ai lavori o agli appassionati so-tutto-io. La prima volta non si scorda mai: l’esordio fu infatti molto istruttivo. Mi approcciai al tavolo di un produttore di grido della Franciacorta, chiesi di assaggiare un vino, e poi un secondo; a questo punto venni gelidamente cazziato dall’espositore per aver sbagliato l’ordine di servizio della degustazione. Ecco, quel momento di pubblico imbarazzo mi aprì definitivamente le porte della percezione su molti dei riti e delle gerarchie consolidate dell’enomondo.

La cronaca. Il posto (mi rifiuto di scrivere “location”) è meraviglioso, e la bella giornata di sole esalta ancora di più la clamorosa vista sul porto; c’è spazio a sufficienza, il condizionamento funziona e in un salone attiguo ci sono i divanetti  per poter fare “decompressione” di tanto in tanto. L’organizzazione è teutonica: all’ingresso, oltre a bicchiere e portabicchiere di ordinanza, ti danno un libricino con la mappa degli espositori e i relativi vini, passano di continuo camerieri con vassoi di torte di verdure e panini per asciugare lo stomaco e le sputacchiere non sono mai traboccanti. Su tutto aleggia la presenza del moghul Filippo Ronco, che, incravattato e agghindato in completo blu da bancario (dress code curioso per un alfiere dell’informalità e del duepuntozero), si aggira ubiquo a sovrintendere.

Pubblico misto: accanto a carneadi come me con zaino e blocchetto in mano, molti volti noti. Avvistata anche coppia marito-moglie, ciascuno prendere appunti sul proprio iPad: o tempora o mores! Per fortuna pochi gli esemplari di eno-fenomeni, ma qualche genio che cercava lui stesso di spiegare al produttore il suo (del produttore) vino l’ho trovato: temo sia impossibile selezionarli e abbatterli all’ingresso. Notevole la totale assenza di membri di spicco di AIS.

Ho avuto l’impressione ci fosse meno gente rispetto alle precedenti visite e mi pare ci fosse anche una presenza più sobria degli espositori (per capirci, meno ragazze-immagine ai tavoli). Sicuramente ho notato meno sbandamenti alcolici e meno bicchieri rotti a fine pomeriggio. Vi risparmio la litania dei meglio e dei peggio assaggi, appunto alla rinfusa solo qualche nome: la perfetta eleganza e finezza del Bricco delle Viole dei Vajra, la fresca sapidità del Colfondo di Bele Casel, la composta aromaticità del moscato giallo di Lageder, il gioioso fruttato dello Zero di Pojer&Sandri, la concentrata potenza dei Taurasi del Cancelliere, la bella storia del Ciso, sorprendentemente balsamico.

Punto interrogativo della giornata, la Degustazione dal Basso (d’ora in poi DdB) cui ho partecipato: devo ancora decidere se sia trattato di una minchiata (scusate l’eufemismo) o di un evento quasi riuscito. Vado a spiegare: le DdB sono, per come le definisce l’ideatore, “vini e territori raccontati in modo conviviale e comprensibile, da persone comuni ma competenti e soprattutto “vicine”, per nascita o scelte di vita, al luogo che scelgono di raccontare”. Bello. Ho pagato i 20 sacchi necessari (che davano diritto anche all’ingresso a TV) e ho prenotato questa: “I principali Terroir Champenois raccontati da Mike Tommasi attraverso una degustazione orizzontale di bollicine francesi di grande interesse: Vallée de la Marne, Côte des Blancs, Montagne de Reims, Côte des Bar”. Sono stati serviti cinque champagne: P.Agrapart-Minéral 2005, B.Lahaye-Rosé de Macération, O.Horiot-Sève Rosé de Saignée en Barmont 2007, B.Tarlant-Cuvée Louis, F.Boulard-Petraea XCVII-MMVII, F.Pouillon-2XOZ. Molto buono il primo, fine e minerale, così così i due rosè (il primo dei due parte male, poi, lasciandolo nel bicchiere, si riprende e guadagna un lieve tocco di arancia. Il secondo, che avrebbe un piacevole accenno di bitter, resta incagliato in qualcosa di non compiuto al naso). Terzo e quarto vino mi sono sembrati immensi. Entrambi lunghissimi e cremosi, il Tarlant, oltre a un lieve affumicato, finalmente mi permette di capire il significato delle lisergiche “note di pasticceria”, mentre il Boulard (vinificato in solera) offre grande complessità senza sacrificare la piacevolezza. Meravigliosi. Difficile da giudicare il Pouillon: ha un bel naso di chinotto ma con 32 g/l di dosaggio ricade in una tipologia forse difficile da capire a noi comuni mortali. Purtroppo durante non si è parlato delle varie zone di produzione, da quanto ho capito i vini non erano tipici rappresentanti dei rispettivi terroir, la degustazione non è stata minimamente guidata e la carta geografica fornita ai partecipanti era francamente risibile.

Aggiungerei, ma è una nota di colore, che le ragazze al servizio si sono esibite in una serie di aperture delle bottiglie col bottoche neppure a Piedigrotta la notte di Capodanno. Dopo la terza o quarta esplosione con fontana a corollario, il Ronco con decisione ha preso in mano la situazione ponendo fine all’imbarazzante episodio. C’era un relatore ma la degustazione si è retta sulle osservazioni dei partecipanti stessi. Il fatto che tutto sommato la cosa abbia in qualche modo funzionato credo sia incidentalmente dovuto alla presenza tra gli astanti di tecnici e addetti ai lavori come Mario Pojer, Luca  Ferraro, Dan Lerner (e altri che non ho riconosciuto, ma che sicuramente erano dei tecnici del settore). Francamente, per chi non fosse già esperto, la divulgazione è risultata quantomeno estemporanea e frammentaria. Non ho idea se questa sia la formula di tutte le DdB, credo e spero di no. Nel caso, forse, sarebbe meglio selezionare il pubblico, richiedendo diploma in enologia o titolo di studio equivalente.

Per chiudere, la camminata per recarsi al treno che mi riporterà a casa si snoda in parte in una zona molto popolare (eufemismo); direi che forse è una delle poche volte in cui presentarsi in pubblico con passo malfermo e bicchiere al collo non faccia sentire troppo fuoriluogo. Bello, ma da domani basta.

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