Saver, Monteversa

Estate e caldo, poca voglia di bere cose impegnative e alcoliche.

Oltretutto è troppo tempo che non torno sulla categoria dei rifermentati in bottiglia, bottiglie spesso semplici ma appaganti, che in qualche modo trovo essere una sorta di anello di congiunzione tra il vino e alcune birre (penso alle fermentazioni spontanee e alle blanche). Soprattutto molto adatti alla stagione.

L’occasione capita durante una degustazione di prodotti di Monteversa, azienda biologica situata in provincia di Padova, nella zona dei colli Euganei: il vino che mi ha convinto di più è quello che potremmo definire un Prosecco Colfondo (mi pare che l’uva sia 100% Glera), ma in realtà si tratta di un prodotto senza denominazione.

Denominazione: Vino bianco
Vino: Saver
Azienda: Monteversa
Anno: –
Prezzo:10 euro

L’aspetto è canonico per la tipologia: paglierino pallido, opalescente, ma quello che impressiona è la straordinaria mineralità, declinata in accenti soprattutto sapidi e pietrosi, accompagnati da un bel aggrumato, limonoso, fresco senza per fortuna arrivare alla acidità bruciante; il quid in più è un guizzo difficilmente definibile, se non forse in qualche lontano richiamo animale (che mi sia lasciato trasportare dalla analogia con il lambic?).

Quanto sopra, unito alla bassa gradazione e magari ad una temperatura di servizio adeguatamente fresca, restituisce una bevuta decisamente irresistible, che non sfigura col passare dei minuti, quando il liquido inevitabilmente si scalda di qualche grado.

Il bello: semplice ma gradevolissimo, adatto all’estate e di buona personalità

Il meno bello: nulla da segnalare

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Solleone 2011, Tenuta Grillo

A volte ritornano, e infatti dopo due anni ho nuovamente bussato a casa di Igea e Guido Zampaglione per riprovare qualcuno dei loro vini; nella fattispecie è toccato ad una bottiglia davvero curiosa, almeno per chi come me non crede troppo nelle potenzialità di certi vitigni internazionali nel Monferrato, in particolare per il Sauvignon, che ritengo un oggetto da maneggiare con le pinze.
Mi spiego: la particolare (e robusta) aromaticità del vitigno, soprattutto in climi caldi, rischia di partorire vini estremamente caratterizzati, stucchevoli e faticosi da bere, insomma caricature di quegli esempi di eleganza che provengono da certi produttori della Francia…

Questo Solleone è dunque la particolare interpretazione del Sauvignon da parte di Guido, che aggredisce il frutto con 60 giorni di macerazione(!) e due anni di affinamento sui sedimenti.

tenutagrillo_solleoneDenominazione: Monferrato bianco
Vino: Solleone
Azienda: Tenuta Grillo
Anno: 2011
Prezzo:15 euro (in azienda)

Sessanta giorni di macerazione, dicevamo, e si sentono, ma per fortuna neppure troppo, nel senso che visivamente il liquido è giallo oro antico, compatto, luminoso, solcato da appena un velo di residuo, mentre l’olfatto racconta di erba di campo, fiori di camomilla, frutta matura ma non cotta o surmatura, e di un inusuale accenno a metà tra liquirizia e balsamico.
Il tutto accompagnato da un vago accenno di volatile che, lungi dal mortificare la bevuta, esalta lo spettro aromatico, mentre il sorso pieno e fresco nasconde alla grande i 13.5 gradi e chiude molto lungo, lasciando sul palato un accenno di tannino

Di sicuro l’abbinamento non è semplice, soprattutto se non si vuole ricorrere agli scontati formaggi… magari sarebbe da provare con una brandade di baccalà, e la temperatura di servizio è necessariamente da cantina o anche poco più.

Il vino è piacevole, ma a me resta un dubbio più “filosofico” (vabbè, non esageriamo) che degustativo: chi, alla cieca, direbbe trattarsi di un Sauvignon? Chi ne azzarderebbe la provenienza dal Monferrato?  Secondo me, molto pochi.
Per qualcuno, in tempi in cui si abusa di discorsi su territorialità e rispetto del frutto, questi possono essere limiti non da poco.

Il bello: lunghezza, aromaticità gradevolissima e tenuta a bada

Il meno bello: abbinamento complesso

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Monferrato random: un assaggio di Cascina Garitina

1Questo non è mica un vero articolo: è solo una scusa per inserire un paio di immagini scattate al volo nel weekend nel Monferrato, zona Nizza-Mombaruzzo-Acqui, non tanto per il valore artistico delle stesse quanto per documentare la stordente e rigogliosa marea verde che annega ogni collina, e per segnalare la cortesia della famiglia Morino di Cascina Garitina, che mi ha accolto in azienda la domenica, nonostante le poche ore di preavviso.

amisE, certo, anche per un veloce elogio al loro Amis 2007, che a leggerne le caratteristiche non avrei mai pensato potesse essere nelle mie corde (un blend di merlot, cabernet sauvignon e barbera) ma quando il cortese papà di Gianluca me ne ha parlato con tanta semplicità e soddisfazione non ho potuto fare a meno di comperarlo.
2E ho fatto bene, ché si è comportato ottimamente accompagnando una sontuosa grigliata di salsicce, bistecche e costine; come ovvio in queste occasioni nessuna degustazione tecnica, nessun appunto: stai mangiando come un lupo, non vorrai mica metterti a roteare il bicchiere e a scrivere? Mi limito a ricordare il gran corpo e la morbidezza a sostenere un alcol ben presente ma non fastidioso, e soprattutto un bel tannino setoso e per nulla amaro. Il prezzo in cantina mi pare si aggiri sui 14 euro.

La prossima volta che sarò in zona spero di poter chiamare l’azienda per tempo e poter fare un giro nei vigneti e fare quattro chiacchiere un più con il titolare, vero deus ex machina della denominazione “Nizza”.

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Una lunga striscia di sale: 10 anni di Luciano Capellini

Si dice sempre così, con molta enfasi retorica, ma questa volta è stata per davvero una grande emozione poter servire al banco di assaggio della Cantina du Pusu in una verticale storica che ha visto tutti in fila i millesimi prodotti da Luciano Capellini dal 2004 (la sua prima vendemmia) fino alla bottiglia che riporta il 2013 in etichetta.

capellini

Emozionante di sicuro per la presenza di Luciano, che si presenta con semplicità raccontando del suo lavoro nel meraviglioso e difficilissimo ambiente delle Cinque Terre, a Volastra, per il quale, una volta tanto, si può scomodare senza timore di esagerare la definizione di “viticultura eroica”. E’ da questi dirupi di fronte al mare che Luciano strappa il frutto con cui assemblare i suoi vini e trova la volontà di mantenere viva la tradizione di un territorio che ogni anno vede sempre meno ettari vitati.

Ed è emozione anche e soprattutto per i vini: non me ne vogliano i cultori del Pigato, o dei Vermentini dell’una o dell’altra Riviera, o anche magari della meno nota Bianchetta, ma per me il vero grande bianco ligure è il Cinque Terre, e Capellini in questa storica rassegna dimostra di interpretarlo come pochi altri, presentando vini tutti marcati dal coerente filo conduttore delle verticalità e di una netta scia sapida che viaggia a braccetto di un tripudio di erbe aromatiche, di macchia mediterranea: sarà la suggestione, perché no, ma è la nitida fotografia delle terrazze vitate abbarbicate a strapiombo sul mare.

Quasi inutile parlare delle singole bottiglie, ma entrati nella macchina del tempo dei millesimi piace spendere due parole per il 2013, già godibilissimo, dritto, pieno, nettamente gastronomico e che quasi ti ordina di essere accompagnato da un piatto di linguine alle vongole; poi il 2011, che arricchisce lo spettro aromatico con qualche sottofondo morbido di uva.
Il 2010 è l’esperienza più debole: Luciano ha avuto qualche problema con i tappi (a suo tempo ritirò e sostituì le chiusure a 1500 bottiglie) e il vino, pur non marcato dal sughero, è appesantito da una nota mielosa insistente.
Merita l’applauso un sontuoso 2008, l’epitome del Cinque Terre: tutto quello che abbiamo detto (la sapidità, la macchia mediterranea), si amplificano e si allungano a dismisura in un finale quasi infinito.
Dal 2006 al 2004 si cambia ambito: i vini sono in piedi, sapidità e acidità non mancano, e le ossidazioni la fanno da padrone con nette impressioni di noce, nocciola, mandorla, che riportano alla mente il ricordo di certi Sherry secchissimi; tra i tre, il più godibile è proprio il 2004.

Si chiude con un appuntamento al prossimo anniversario, quando gli anni di produzione saranno venti e le bottiglie in fila quelle dal 2014 in poi, e chissà che qualche angolo possa spuntare il bonus di qualcuno di questi millesimi da poter riassaggiare.

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Champagne Brut Reserve, Béreche et fils

Quando stappo una bolla e vedo un bel tappo a fungo, largo, svasato e chiaro, capisco che sarà una bella serata, perché ormai sono certo del dogma: il tappo un po’ rachitico, stretto e scuro è foriero di una bottiglia non difettata, ma incapace di esprimersi ai massimi livelli.

E allora il tappo parla, e ci dice che questa sarà una ottima serata.

La famiglia Béreche produce dal 1847 e dispone di quasi 10 ettari coltivati senza trattamenti sistemici ed erbicidi in varie parcelle situate in Montagne de Reims e Vallée de la Marne; la fermentazione non fa uso di lieviti selezionati, non si effettua la malolattica, vinificazione e affinamento avvengono per la gran parte in legno grande di rovere e i vini riposano sui lieviti da due a sei anni.

champagne-brut-reserve-bereche-et-filsDenominazione: Champagne AOC
Vino: Brut Reserve
Azienda: Béreche et fils
Anno: –
Prezzo: 35 euro

Nello specifico, questo Brut Reserve è una cuvee classica: un terzo ciascuno dei tre vitigni tipici della champagne e 7 g/l di dosaggio (ma non si sentono affatto, anzi lo avrei battezzato come extra brut).

All’inizio i profumi quasi stordiscono con il corale di agrume, minerale (sasso, gesso) e floreale: esplosivi ma non volgari. Poi inizi ad assaggiare e scopri una bolla delicata, avvolgente e un vino che, pur in un quadro di equilibrio generale perfettamente riuscito, si muove deciso nello spazio della freschezza, della verticalità.
Soprattutto, la facilità di bevuta non si accompagna alla semplicità del sorso: l’assaggio, sottile ma per nulla anemico, arricchisce quanto rivelato al naso con una bella intensità e un accenno di frutta secca (nocciola, mallo di noce).

Quindi un vino fresco, bevibile, ricco al naso e in bocca, equilibrato, di discreta lunghezza e per giunta anche capace di mascherare benissimo il grado alcolico (la bottiglia finisce in un amen).

Lo direi versatile, da aperitivo ma anche come ottimo accompagnamento di antipasti e primi piatti fino a media complessità e intensità.
Sboccatura fortunatamente indicata in retroetichetta: settembre 2014.

Miglior champagne bevuto da un sacco di tempo: se questa non è la classica bottiglia fortunata e irripetibile ne voglio una cassa, grazie.

Il bello: verticale ma equilibrato, ricco e bevibilissimo

Il meno bello:  a voler cercare proprio un difetto, la lunghezza è buona ma non fenomenale

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Fumin Vigne Rovettaz 2010, Grosjean

Vini della Valle d’Aosta devo averne bevuti quante le dita di una mano, e probabilmente ho sbagliato.
(Nota di servizio: per chi volesse approfondire l’argomento, non posso non citare l’ottimo Fabrizio “Enofaber” Gallino e il suo “Vino in valle“).

Grosjean è uno dei (pochi, almeno per me) nomi noti della regione: dispone di 10 ettari di terreno vicino ad Aosta, da tempo ormai remoto opera in regime sostanzialmente biologico e coltiva e vinifica principalmente vitigni autoctoni con qualche incursione “internazionale”.

valle_d_aosta_doc_fumin_vigne_rovettaz_2009_grosje00900Denominazione: Valle d’Aosta DOC
Vino: Fumin Vigne Rovettaz
Azienda: Grosjean
Anno: 2010
Prezzo: 25 euro

Questo  Fumin è rubino impenetrabile, carico; appena aperto sprigiona un lieve animale che in pochi minuti vira verso un più nobile e composto ematico, con richiami di frutta di bosco (mora, ribes, mirtillo e viola); soprattutto escono le spezie e il tabacco. Elegante, complesso e affascinante.

All’assaggio torna più netta qualche sfumatura di tabacco, coronata da grande freschezza; la bevibilità è straordinaria, dato il calore alcolico ben mascherato dal corpo non sottile e dal tannino leggero. Il finale ha lunghezza non troppo estesa e chiude molto morbido.

Lo ho messo a sedere con un formaggio a pasta semidura di media stagionatura, ma sono certo che farebbe benissimo con la selvaggina, come indica il sito del produttore.

 

Il bello: notevoli sfumature olfattive e gustative, ottima bevibilità

Il meno bello:  lunghezza un po’ limitata

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Vorberg 2011, Cantina Terlano

Da tempo non lo ribevevo, ed era quindi il momento di un gusto ripasso per quello che (secondo me) è uno dei grandi vini bianchi d’Italia, oltretutto proposto ancora ad un prezzo abbordabile. Riecco quindi nel bicchiere il Vorberg di Cantina Terlano.
In una precedente degustazione l’annata 2010 mi aveva lasciato qualche dubbio, ed è proprio a quella scheda che rimando per alcuni accenni più generali sul produttore.

vorbergDenominazione: Alto Adige Terlano DOC
Vino: Vorberg
Azienda: Cantina Terlano
Anno: 2011
Prezzo: 20 euro

Molto bello a vedersi, paglierino luminosissimo con alcuni accenni dorati, anche olfattivamente non tradisce: finissimo e complesso, con un arcobaleno che parte dal melone, attraversando poi i classici sentori aggrumati, virare sul vegetale erbaceo e per il floreale fino a chiudere su una decisa nota minerale. Lasciandolo nel bicchiere arriva persino l’eco di caramella charms. Difficile far di meglio.

In bocca è accompagnato da freschezza netta senza essere tagliente, buoni calore e sapidità ed estremamente ampio ed intenso; ottimo equilibrio e lunghezza rimarchevole. C’è un lontano e appena accennato punto di amaro che pulisce e invoglia il sorso, ma non è il solito amaricante di mandorla a termine bicchiere, bensì curiosamente si presenta a metà bocca per poi lascia spazio (tenendolo a bada) al finale giustamente aromatico: sorso largo senza tema di opulenza.

Vino di grande versatilità: dal ricco aperitivo fino all’acompagnamento di formaggi di media struttura e all’abbinamento a piatti di buona complessità e millesimo capace ancora di grandi soddisfazioni in futuro.

Il bello: elegantissimo e complesso olfattivamente,

Il meno bello:  forse un pizzico di acidità in più…

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Emiliana 2013, Lusenti

L’azienda Lusenti possiede 17 ettari di terreno a conduzione biologica in Val Tidone, nel Piacentino, e produce vino utilizzando principalmente uve tipiche della zona: la Malvasia di Candia, l’Ortrugo, la Bonarda.
La cantina offre una serie piacevolissima di rifermentati in bottiglia che rientrano perfettamente in quella categoria che qualcuno giustamente chiama “vini glu-glu”, per dire di bottiglie magari semplici, non particolarmente sofisticate o complesse ma tremendamente facili da seccare.

L’esempio principe di questi vini frizzanti è l’Emiliana, da malvasia aromatica di Candia al 100%, che oltretutto è stata una delle prime folgorazioni che ho avuto quando ho iniziato ad occuparmi con più attenzione all’argomento vino: torbido, con una DOC sfigata sul groppone, eppure così gradevole…

emilianaDenominazione: Colli Piacentini DOC
Vino: Emiliana
Azienda: Lusenti
Anno: 2013
Prezzo: 12 euro

Paglierino con evidente velatura e perlage (ma quale perlage… qui siamo rustici: diciamo pizzicore) fine e, come ovvio, di numero e persistenza limitati.
Bella e semplice aromaticità olfattiva, di fiori freschi e frutta (pera in particolare, e un leggero agrume).
In bocca si conferma semplice e piacevole, con una struttura leggera come si conviene alla tipologia e una apprezzabile traccia sapida che bilancia bene la chiara aromaticità del sorso.
Finale senza accenni amari, bevibilità alle stelle e bottiglia terminata in un amen, anche grazie al lieve grado alcolico (11,5 gradi).

Da mettere a tavola con un bel tagliere di salumi e formaggi delicati, magari anche con verdure pastellate e fritte, senza dimenticare di agitare prima di stappare e di servire fresco ma non troppo: per me è ok sui 10-12 per poi salire pian piano durante la bevuta, esaltando la aromaticità.

Il bello: gradevolezza, bevibilità

Il meno bello:  l’aspetto molto rustico

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Metodo Interrotto, Furlani

Non avevo neppure mai sentito parlare della Cantina Furlani, ma il consiglio di un amico unito al mio apprezzamento per le bolle trentine hanno fatto breccia e ho provveduto all’acquisto.

Cerco qualche informazione sulla bottiglia appena portata a casa e sul produttore ma trovo davvero poche note: un sito di questo tenore nel 2015 è quantomeno indice di poca lungimiranza…

Da quanto capisco, la Cantina dispone di sei ettari di terreno vicino Trento, coltivati con varietà autoctone ed internazionali, ed appartiene al “giro” dei produttori “naturali”, con conduzione biodinamica, rifiuto dei prodotti di sintesi in vigna, affidamento ai lieviti autoctoni, nessun controllo della temperatura in vinificazione, nessuna aggiunta di solforosa e nessuna filtrazione.

furlaniDenominazione: VSdQ
Vino: Metodo Interrotto
Azienda: Furlani
Anno: –
Prezzo: 16 euro

La bottiglia in questione è composta per l’80% da chardonnay e il rimanente da pinot nero, con due anni di riposo sui lieviti.
Un accenno al tappo a corona: non mi scandalizzo, anzi per certi versi è meglio, eliminando alla radice i problemi di sentori di TCA, ma da un vino di una certa importanza con un prezzo di gamma medio bassa ma comunque non regalato, mi aspetto qualcosa di più professionale.

Il ciclo di produzione è quasi quello di un “normale” Metodo Classico, non fosse che viene omessa la fase di sboccatura, quindi non c’è aggiunta di liquore di dosaggio e solforosa: questo ovviamente rende il bicchiere opalescente, lattiginoso, con un aspetto tipicamente da metodo ancestrale o da rifermentato sur lie. Oggettivamente bruttino a vedersi.

La bolla non è da manuale, mantiene una buona finezza ma è ma un po scarsa e l’olfattivo è sempliciotto: floreale e accenni aggrumati, nulla di più.
Il sorso non è male: abbastanza pieno e di discreta lunghezza, ma manca un po’ di acidità, di tensione: si sente qualche accenno dolcino eccessivo, ed è abbastanza sorprendente data la assenza di dosaggio. Per fortuna in chiusura non fa capolino alcun richiamo amaro.

Spumante semplice, di non troppe pretese, non troppo rustico e con una sua dignità; direi una valida alternativa al prosecco per un antipasto disimpegnato.

Il bello: semplice ma gradevole

Il meno bello:  manca la spinta acida acida

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Pas Dosé 2009, Rizzi

Gli spumanti prodotti in Piemonte, siano o meno sotto denominazione Alta Langa, sono una tipologia su cui a  mio avviso si tende troppo spesso a sorvolare con una alzata di spalle: nel mio piccolo mondo di assaggi ho spesso incontrato bottiglie di buon livello vendute a prezzi corretti.
Non fa difetto neppure questo Pas Dosé, messo a punto da un importante produttore di Treiso, ovviamente noto per i suoi Barbaresco: Rizzi.

Denominazione: VSDQ
Vino: Pas Dosé
Azienda: Rizzi
Anno: 2009
Prezzo: 20 euro

Il vino è a base chardonnay con apporto di nebbiolo e pinot nero e viene prodotto ovviamente con il Metodo Classico, facendo uso di lieviti selezionati su cui riposa per ben 56 mesi.
Nella stessa giornata lo ho assaggiato dapprima nel pomeriggio, durante una degustazione di Barbaresco, versato da una magnum sboccata da circa tre mesi, ed era sicuramente un bel bere, poi la sera: convinto della validità del prodotto ne ho portato a casa una bottiglia di formato standard con sboccatura di circa un mese, forse troppo recente (a proposito, complimenti per la precisa indicazione in controetichetta, con data completa di giorno, mese e anno).

I miei appunti parlano di giallo verdolino con bolla copiosissima e piacevolmente esuberante che solletica senza essere fastidiosamente dura, di uno spettro olfattivo abbastanza classico (fiori e frutta tropicale, comunque molto fresco) e di un sorso piacevolmente teso ma equilibrato, senza le acidità stellari, strappagengive di certi non dosati, con un finale senza traccia di fastidiose scie amare.

Segnalo che il vino della magnum aveva una compiutezza maggiore, in particolare a livello olfattivo; ad ogni modo: ottima bevuta a prezzo tutto sommato corretto.

Il bello: bella spinta acida ma ottimo equilibrio del sorso

Il meno bello: in questo caso, bottiglia forse troppo giovane

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