La breaking news è che sono stato qualche giorno in Francia, per una visita veloce alla zona di produzione del Rodano di cui vi parlerò in seguito.
Durante il viaggio sono entrato un una piccola enoteca a Châteauneuf-du-Pape, avendo occhieggiato all’interno una degustazione; definire caratteristica l’ambientazione è riduttivo: siamo in ottobre inoltrato, è domenica mattina e il paesino (si contano circa 2600 abitanti) è piuttosto freddo e avvolto nella nebbia; più o meno tutti i negozi sono chiusi e in questo negozietto scorgo meno di una decina di francesi col bicchiere in mano davanti ad un bancone peno di bottiglie aperte.
A “condurre la degustazione”, come direbbero i colleghi sommelier, non c’è un tizio incravattato e con padellino al collo ma una vecchina piccola e storta, immagino la padrona del negozio, che con modi assai sbrigativi sbicchiera agli astanti. Accanto, su una vecchia botte, diversi piattini di salumi e formaggi… Come potevo perdermi l’assaggio?
E’ così che ho scoperto questo vino buonissimo, interamente a base Viognier, fermentato e affinato in barrique (ma non si sente), prodotto da una azienda per nulla blasonata e a me sconosciuta, ed è così che mi è stata ribadita per l’ennesima volta la grandezza della enologia Francese, che può vantare una qualità media (lasciamo perdere le vette di eccellenza) sicuramente invidiabili.
Denominazione: Côtes du Rhône
Vino: 100% Viognier
Azienda: Château Beauchêne
Anno: 2012
Prezzo: 12 euro
Il colore è compatto, giallo dorato, limpido, e gli aromi sono di frutta tropicale (mango, ananas), intensi ma non pesanti: ci sono sempre un accenno viola e una punta di minerale a pulire l’olfatto dalla stanchezza.
L’assaggio è molto sapido, caldo, di buon corpo e gran profondità; avvolge e riempie il cavo orale dove torna il tropicale che si annuncia come una vera spremuta: una roba che detta così è un mattone tremendo, ma invece i guizzi salini e alcolici riescono sempre ad equilibrare un vino che sulla carta sembra esagerato, e invece in bocca (pur molto pieno) resta godibile e tutto sommato persino agile e piuttosto lungo.
Dovessi definirlo parlerei di gusto mediterraneo, inteso non come accade ad esempio con i vini delle Cinque Terre che alimentano ricordi di macchia mediterranea e di mareggiata, ma come un liquido solare, luminoso e intenso come la luce del cielo della Provenza.
In quanto all’uso, mi viene da pensare ad un vino universale: persino da antipasto se ben rinfrescato, ma capace al meglio di reggere tranquillamente formaggi di media stagionatura e altre pietanze discretamente strutturate. L’aromaticità può far pensare anche ad abbinamenti con cibi speziati, orientali.
Il bello: la pienezza e l’intensità mai pesanti
Il meno bello: la scarsa reperibilità, perlomeno in Italia