Dosaggio Zero, Maso Martis

Mi è frequente avere conferme sul Trento DOC: nella fascia di prezzo umano, quello più accessibile da noi consumatori comuni, è abbastanza facile incontrare prodotti di buon livello. Perlomeno, è più facile rispetto a quanto accade con altre zone più di moda (Franciacorta, per non far nomi).

Oggi ho stappato la bottiglia di una azienda (certificata biologica) rappresentante di questa tipologia di Metodo Classico “di montagna”, Maso Martis, che conduce 12 ettari, situati a 450 metri di altitudine, sopra a Trento, per una produzione di circa 60.000 bottiglie l’anno.

dosaggio-zero-riserva-masomartis

Denominazione: Trento DOC
Vino: Dosaggio Zero
Azienda: Maso Martis
Anno: –
Prezzo: 25 euro

Il vino in questione è il Dosaggio Zero, composto al 70% da Pinot Nero e al 30% da Chardonnay; la metodologia di produzione prevede che le uve bianche vengano fermentate e affinate in barriques, mentre quelle nere solo in acciaio; i mesi di riposo sui lieviti sono 24 e non si aggiunge liqueur d’expedition.

Colore paglierino-verdolino, con bolla millimetrica e bel naso fine, di fiori e agrumi con accenni minerali e di nocciola, sottile ma non anemico, molto elegante.
Il sorso è ricco, pieno, gustoso, materico, con carbonica che solletica tramite punture decise ma fini; sicuramente fresco e sapido e anche molto equilibrato: quasi non sembra un dosaggio zero per come si stacca dalla moda di certi estremismi arriccia-gengive.

Finale non particolarmente lungo, con accenno di mandorla che fortunatamente non arriva a definirsi nell’amaro.

Il bello: bellissimo spettro olfattivo e sorso gustoso

Il meno bello: manca un po’ di lunghezza, finale non finissimo

Articoli correlati:

Satèn, Corte Fusia

Ogni tanto mi piace rituffarmi nel mare di proposte dei Franciacorta per capire se nell’oceano di bottiglie ci sia qualcosa di nuovo che emerge. Il problema secondo me è sempre il medesimo: la qualità generale è buona con punte di eccellenza, il Consorzio lavora benissimo rispetto agli omologhi di altre denominazioni, il marchio è forte e “tira”, ma il prezzo medio è alto e secondo me c’è una diffusa mancanza di personalità.

Ho voluto provare stavolta il Satèn di Corte Fusia, una giovane azienda di cui ho letto belle cose che mi hanno incuriosito; il territorio è quello di Coccaglio, zona Monte Orfano, con 5 ettari coltivati con i classici vitigni Pinot nero, bianco e Chadonnay, da cui si ricavano circa 20.000 bottiglie l’anno, declinate in quattro tipologie: Brut, Rosé, Zero e appunto Satèn.
Ho scelto il Satèn seguendo il consiglio di una persona fidata, e anche perché tutto sommato si tratta di una tipologia che tendo solitamente a trascurare in favore del classico Brut o del “modaiolo” Dosaggio Zero.

saten_bottigliaDenominazione: Franciacorta DOCG
Vino: Satèn
Azienda: Corte Fusia
Anno: –
Prezzo: 22 euro

I dati della scheda tecnica parlano di un vino ottenuto da uve 100% chardonnay con residuo zuccherino estremamente contenuto (2 g/l), ottenuto tramite fermentazione in acciaio e affinamento sui lieviti di 30 mesi.

E’ un bicchiere che mi lascia perplesso, si tratta di uno di quei vini di cui non si riesce a parlare con completezza: non c’è nulla di stonato o fuori posto, ma per qualche motivo non arriva nessuna emozione particolare, anzi la bevuta resta piuttosto anonima.
All’occhio trovo un verdolino paglierino con bolle sottili, mentre l’olfattivo concede qualche sbuffo di lievito molto timido e poco altro.

L’assaggio denota morbidezza da satèn, appunto, con bolle decisamente tranquille (anche un po’ troppo, a parer mio), acidità nella norma, e dosaggio ben contenuto; si chiude con qualche sentore di frutta secca, appena al limite con un finale amaro, per fortuna è solo accennato.

Nel complesso come dicevo nulla di sgradevole: un vino che forse ha il suo migliore uso a pasto, dove, in abbinamento a portate poco strutturate, è capace di farsi spalla silenziosa e tranquilla. Peccato che ad un vino di prestigio come un Metodo Classico io chieda qualcosa in più.

Il bello: discreto accompagnatore a tavola

Il meno bello: poca emozione

Articoli correlati:

Chiesino, Podere di Rosa

Il Podere di Rosa è una azienda agricola con annesso agriturismo in provincia di Lucca; ora, io non ho messo piede nell’agriturismo (e questo poco importa) ma soprattutto conosco poco e nulla i vini dei questa zona della Toscana, per questo ho colto la palla al balzo quando mi è stato proposto l’acquisto del Chiesino, un IGT Toscana bianco, prodotto da prevalenza di Vermentino e saldo di Trebbiano, con la ormai tipica tecnica dei cosiddetti “vini naturali”: fermentazione spontanea con lieviti indigeni, nessun controllo della temperatura, nessuna filtrazione e chiarifica.

Mi accingo quindi all’assaggio scevro da pregiudizi, la condizione migliore.

al-podere-di-rosa-chiesino-igt-toscano-biancoDenominazione: IGT Toscana
Vino: Chiesino Bianco
Azienda: Podere di Rosa
Anno: 2014
Prezzo: 12 euro

Giallo, di un dorato che già si capisce dove andremo a parare, e il naso conferma i presupposti: la leggera volatile che arricchisce e veicola i profumi di erbe di campo e di camomilla racconta di una leggera ma decisa macerazione.
Per fortuna la volatile è dosata col calibro (anche se per qualche purista sarà certamente al limite dell’accettabile,  di certo non trapana il naso) e serve solo come coadiuvante degli altri aromi; a me, ogni tanto, un vino con queste caratteristiche non spiace: basta sapere prima a cosa si va incontro e passa la paura.

in bocca ricorda la frutta leggermente acerba ma è garbato, con corpo semplice (non esile), discrete freschezza e sapidità e alcol poco avvertibile. Anche in questa fase, si capisce che ha macerato, ma è altrettanto chiaro che il produttore ha usato la mano leggera: non c’è tannino e, vivaddio, neppure quella pesantezza di bevuta che talvolta marca troppo nettamente i vini che fanno uso di questa tecnica.

Bottiglia semplice ma non banale e dal sorso facile, che consente un buon abbinamento con cibi saporiti: con me ha funzionato bene accompagnando ravioli di gorgonzola e pera.

Attenzione, perché immagino a causa dell’uso limitato di solforosa o chissà per quale altro motivo, il giorno successivo la bottiglia cambia nettamente carattere, alzando i toni e sviluppando in fretta sentori ossidativi non sgradevoli ma piuttosto evidenti.

Il bello: bevuta coinvolgente e saporita

Il meno bello: volatile un po’ al limite

Articoli correlati:

Live Wine Milano 2016

E’ con colpevole ritardo che scrivo e pubblico qualche riga su Live Wine; era la mia prima alla manifestazione milanese e devo dire di essere rimasto stupito dalla professionalità della organizzazione: tutto di alto livello, dal numero e dalla qualità dei produttori, proseguendo con la sede spaziosissima e luminosa, con i tanti eventi a corollario (ad esempio le degustazioni guidate), gli ottimi banchi gastronomici, il libricino con la mappa dei partecipanti, l’area riservata per la stampa, eccetera.
Ho presenziato tutto il sabato pomeriggio e, nonostante il notevole afflusso di visitatori, ancora verso le 18 c’era possibilità di degustare in maniera decente. Complimenti sinceri all’organizzazione: faccio un nodo al fazzoletto virtuale per ricordarmi di partecipare il prossimo anno e consiglierò altrettanto a chi mi conosce.

Live WinePer il resto: davvero tanti i produttori presenti nonostante che il maltempo improvviso (con tanto di nevicate) abbia reso difficoltoso il transito ad esempio dalla Francia all’Italia e aggiungo che forse per la prima volta ho apprezzato anche gli stand dei distributori presenti: sarà un caso ma perlomeno a quelli da cui mi sono fermato mi hanno servito persone che conoscevano bene i prodotti proposti e non hanno fatto rimpiangere l’assenza dei produttori, anzi è stata l’occasione di fare assaggi di vini di tipologie molto diverse, magari estemporanei ma divertenti.

Devo proprio fare i nomi di qualche produttore o vino che mi ha colpito? Gli elenchi mi annoiano e appunto li trovo riduttivi nell’economia di una manifestazione così riuscita, ma vabbè, mi limito a qualche appunto sparso con note veloci.
Dopo lunga (mia) assenza torno ad assaggiare Podversic e non posso non annotare la vitalità e la simpatia dell’uomo, che rispondeva sempre disponibilissimo e con un sorriso a tutta la folla che lo accerchiava. I vini? Tra i pochi a saper macerare in modo da mantenere facilità di bevuta e identità di vitigno e territorio (e scusate se ho scritto un termine stra-abusato e poco significativo, “territorio”).

Il Cannonau non è sicuramente uno dei vini del mio cuore, ma se capita quello di Montisci non posso fare a meno di godermelo.Live Wine

Continuo a non familiarizzare con i vini di Pepe, perlomeno con i bianchi: il Trebbiano che mi è stato servito secondo me non era del tutto a posto, ma la persona al banco mi ha confermato che era proprio lui… boh, ne deduco sia colpa mia. Ritenterò.

Il Camerlengo lo avevo assaggiato anni fa, poi non mi era più capitata l’occasione, e mi si conferma un vinone nel senso migliore del termine: pieno, caldissimo, succoso, robusto ma bevibile. Devo tentare una bottiglia a pasto invece che un semplice assaggio per capire se non sia “troppo”.

I bicchieri serviti da Corte Sant’Alda mi fanno ricordare come mi piacciono i vini della Valpolicella e come troppo poco li frequenti.

Mi sono piaciuti molto i vini Alsaziani di Geschickt, magari troppe tipologie per analizzarle a fondo in cinque minuti, ma i Riesling erano ben fatti e tipici, freschi, sapidi, capaci di invecchiamento. Più semplice ma ben godibile il Cremant.

Per chiudere, mi piace spendere qualche secondo per Chateau Tour Blanc, produttore da una zona, l’Armagnac, nota per altri liquidi alcolici piuttosto che per i vini. E’ stata una bella sorpresa assaggiare una batteria di bottiglie di millesimi e di parcelle diverse, tutte da un vitigno poco considerato (l’Ugni Blanc, il nostrano Trebbiano) e tutte di notevole interesse e, mi pare di aver capito, prezzate in maniera decisamente abbordabile.

Ancora complimenti all’organizzazione. Ci vediamo l’anno prossimo!

Articoli correlati:

Champagne Brut Grand Cru Millesime 2009, Camille Saves

Altra bottiglia di un produttore dal quale fino ad oggi ho sempre ricevuto buone impressioni qualitative, con il bonus di prezzi sempre civilissimi.
Ricordo che l’azienda possiede 10 ettari nella zona della Montagna di Reims, quindi particolarmente vocati per il pinot nero, a Bouzy, Ambonnay e Tours sur Marne (tutti classificati Grand Cru) e a Tauxières (Premier Cru) sè. La produzione è piccola e si aggira sulle 85.000 bottiglie.

L’etichetta sembra di quelle di prestigio: è un Grand Cru formato da Pinot Nero all’80% e Chardonnay al 20% dalla vendemmia 2009. Vinificazione e fermentazione in acciaio inox,  malolattica non svolta, ben 5 anni di affinamento sui lieviti e disaggio di 8 g/l.

champagne-camille-saves-millesime-2009-brut-gcDenominazione: Champagne
Vino: Champagne Brut Grand Cru Millesime 2009
Azienda: Camille Saves
Anno: 2009
Prezzo: 25 euro

Il bicchiere è piuttosto curioso, se il colore è il solito bel paglierino carico, la bolla sembra invece stranamente un po grossolana, peraltro già la prima sniffata mette tutto a posto: potente, floreale e ricco di agrume (l’ananas in particolare), magari non particolarmente complesso ma godibilissimo.

La paventata rozzezza della carbonica in bocca non si sente, e il sorso è pieno, grasso non di mollezze e vaniglia ma di gusto fruttato e di robustezza che sembra crescere col passare dei minuti. Notevole l’acidità, che regala una decisa scossa al palato, per nulla appiattita da un dosaggio inavvertibile; la materia importante è ben equilibrata dalla freschezza e da un discreto allungo.

Non è un fuoriclasse, non ne ha la profondità, ma è certamente un campioncino di bevibilità: funziona bene prima e durante i pasti, a patto di abbinarlo a preparazioni non troppo strutturate.

Il bello: ricco, si beve bene

Il meno bello: manca un po di complessità

Articoli correlati:

Brut Cascina Clarabella

Col passare degli anni mi sono leggermente allontanato dal fenomeno Franciacorta, sia chiaro non certo per motivi di snobismo visto che provo grande ammirazione per l’operosità dei produttori e le attività di un Consorzio del quale si legge tutto e il contrario, ma che agli occhi dell’appassionato si muove con passo ben diverso rispetto ad analoghe istituzioni di altre zone.

Poco da dire anche sulla qualità: oltre alle ben note punte di eccellenza, a mia esperienza non risulta nulla meno che dignitoso; trovo semmai un certo appiattimento nella fascia media, una generica mancanza di identità, a fronte di prezzi non propriamente contenuti; forse per questo motivo la mia voglia di bolle negli ultimi tempi è stata soddisfatta un po’ meno dai bresciani e un po’ di più da francesi, da trentini, oltrepadani e piemontesi.

E’ quindi con piacere che sono tornato a comperare un vino che mi aveva accompagnato nei primi passi della mia carriera da “alcolista non professionista”, il Brut di Cascina Clarabella, azienda situata tra Corte Franca e Iseo, che oltre alla produzione vinicola si occupa di altre attività (agriturismo, alloggi, fattoria didattica eccetera) e soprattutto intraprende, come recita il sito, con il fine di “promuovere percorsi di cura ed assistenza e di sviluppare attività produttive per la creazione di opportunità lavorative per persone con disagio psichico”.

franciacorta-brut-docg-cascina-clarabella-75-clDenominazione: Franciacorta DOCG
Vino: Brut
Azienda: Cascina Clarabella
Anno: –
Prezzo: 16 euro

Il vino in questione è composto di un assemblaggio di Chardonnay al 95% e Pinot nero al 5%; la fermentazione avviene in acciaio inox per l’85% e per il 15% in barriques, segue poi l’affinamento a contatto con i lieviti che varia dai 20 ai 28 mesi.

Nel bicchiere è canonicamente perfetto alla vista, con un paglierino luminoso e perlage fitto e sottilissimo. L’olfattivo è sottile: principalmente agrumi e un ricordo floreale.
All’assaggio è morbido: le bolle accarezzano e la acidità è corretta ma un po’ mortificata da un dosaggio che forse potrebbe essere più leggero. Chiude il sorso un tocco di tostato, forse retaggio della piccola quota di vino passato in barrique. Buona lunghezza.

Vino del tutto esente da difetti, certo piacevole come aperitivo, ma che mi piacerebbe ritrovare con una anima più decisa e coraggiosa, in sostanza una verticalità meno arrotondata dal dosaggio.

Il bello: prezzo educato, vino piacevole
Il meno bello: leggero eccesso di morbidezza

Articoli correlati:

Brut Millesimato 2009, Monsupello

Torricella Verzate, Oltrepò Pavese: è qui che la famiglia Boiatti conduce i 55 ettari dell’azienda Monsupello, uno dei nomi storici del vino italiano, e una delle eccellenze della sua spumantistica.

Nella mia testa Monsupello occupa la stessa casellina in cui ho collocato Haderburg: il metodo classico italiano a prezzi civili che magari non arriva ai livelli monumentali di certi mostri storici d’oltralpe ma neppure delude mai, insomma il lido cui approdare quando si è in cerca di sicurezze piuttosto che di avventure, e se ogni tanto mi capita di assaggiare il Brut “base”, ammetto che da un bel po’ di tempo mancavo l’appuntamento con il millesimato, in questo caso targato vendemmia 2009, quindi una volta avvistatolo non potevo non portarlo a casa.

Bottiglia dalla etichetta sobria e vagamente retrò, e vino a base pinot nero (90%), con piccolo saldo di chardonnay. La metodologia di produzione dichiarata è quella dell’uso di mosto fiore, fermentato e affinato in acciaio; da qui l’assemblaggio dei vini e il tiraggio con la aggiunta di altro vino, zucchero e lieviti, l’imbottigliamento e il riposo sui lieviti per almeno 55 mesi. Si termina con la sboccatura e l’aggiunta del liqueur di spedizione.

monsupelloDenominazione: VSQ
Vino: Brut Millesimato
Azienda: Monsupello
Anno: 2009
Prezzo: 25 euro

Il bicchiere presenta un liquido paglierino carico con riflessi dorati e una bolla da manuale: finezza e copiosità di questo tipo le ho viste raramente, e la sensazione in bocca risulterà di conseguenza estremamente carezzevole.
L’olfattivo è in linea: delicatissimo di floreale bianco e frutta acerba. Molto aggraziato.

L’assaggio segna un ingresso succosissimo che prelude al resto del sorso sempre molto pieno, ricco di agrume e con accenni lievitosi. Bella freschezza ma soprattutto grande salinità, il tutto in ottimo equilibrio con l’alcol.
Non ho notizie del dosaggio, ma una certa morbidezza mi lascia pensare che non sia proprio leggerissimo, ma in ogni caso non si raggiungono livelli gustativamente eccessivi.
Corpo e lunghezza sono per nulla banali, e se un difetto proprio lo vogliamo trovare occorre cercarlo semmai in un finale lievemente amarognolo che stona un po’ nel contesto di grande eleganza del resto del vino.

Bottiglia certamente da pasto, e da abbinare a qualcosa di più robusto del classico antipasto di pesce, magari un bel risotto di mare o anche a carni bianche.

Il bello: naso fine e sorso succoso, bel corpo
Il meno bello: finale lievemente amarognolo

Articoli correlati:

Vinnatur Genova 2016

Non ho voglia di parlare di assaggi, non avevo il blocchetto degli appunti e trovo sempre più noioso l’elenco del telefono dei nomi segnati in piedi nella folla che poi lo rileggi a casa come se stessi decifrando il vangelo aramaico.
Semmai parliamo dell’evento: cosa dire ancora della manifestazione che annualmente Vinnatur porta in Liguria? Ormai da due anni, dopo alcune edizioni a Sestri Levante, Vinnatur si è trasferito a Genova, in pieno centro, in uno splendido edificio storico, ma di questo già scrivevo lo scorso anno.

vinnaturE infondo potrei solo ripetermi, perché di fatto la formula (ormai rodata e vincente) giustamente si tocca: la location si raggiunge facilmente con i mezzi pubblici, è accogliente, c’è spazio, c’è il guardaroba, c’è sempre pane e acqua ai banchetti dei produttori, c’è lo spazio della gastronomia, c’è il depliant con la mappa dei partecipanti. Eccetera.
Non posso poi non notare che il posizionamento in pieno centro città, e forse anche l’aver legato alla manifestazione altri eventi in alcuni locali genovesi, ha trascinato all’ingresso un buon numero di persone evidentemente “non del giro”, novizi del vino, facce nuove incuriosite.

Una nota di merito e una di demerito ai produttori: ho parlato con alcuni vignaioli sorprendentemente onesti, tanto da essere i primi a rimarcare qualche difetto di un loro vino; al contrario, di qualcuno ci si domanda perché partecipi ad una manifestazione se poi non ha il minimo interesse a comunicare con il pubblico…

In mezzo a tutti non puoi non notare il patron Angiolino Maule: magrissimo, l’aria tranquilla di chi si sente a casa ma l’occhio febbrile che guizza l’ennesimo cenno di saluto a una delle mille persone che vengono a rendergli omaggio mentre versa il vino. E’ lui, Angiolino, il motore e l’anima della manifestazione, di Vinnatur tutta e di buona parte del movimento dei “vini naturali” italiani, qualsiasi cosa significhi questa definizione ormai abusata.

Cose negative da segnalare?
Forse l’ingresso potrebbe essere un pochino più contenuto, ma comprende anche un buono per una porzione ai banchi della gastronomia e allora va bene così.
Forse l’orario: aprire domenica e lunedì, saltando il sabato, è una scelta che giustamente lascia una giornata (il lunedì, appunto) più dedicata agli operatori del settore e penalizza un pochino gli appassionati, che in maggioranza non prenderanno ferie e sono quindi costretti ad ammassarsi alla domenica, quando per giunta si chiude alle 18.

Ma queste sono inezie, semmai, se un vero limite della manifestazione esiste, è paradossalmente legato alla sua formula: per l’appassionato che partecipa ogni anno a questo raduno (e anche ad altri a tema simile), più o meno la gran parte dei produttori è ben nota, difficilmente capitano grandi scoperte, quindi oltre ai complimenti meritati per l’organizzazione, porgiamo a Vinnatur gli auguri di tante nuove affiliazioni, così da poterci incontrare il prossimo anno a Genova con una decina di produttori inediti in più.

Articoli correlati:

Prosecco Spumante Brut Valdobbiadene, Siro Merotto

Disclaimer: il vino di cui parlo in questo post mi è stato inviato gratuitamente dal produttore.
Ribadisco che su questo sito non si fanno sponsored posts e che, se non diversamente segnalato come in questo caso, le bottiglie vengono acquistate dal sottoscritto in enoteca o in azienda.

Ai più attenti tra i miei pochi lettori non sarà sfuggito che il prezzo medio dei vini di cui si parla su questi schermi non è proprio popolare, intendiamoci: non stappo mai rarità o nomi stellari, ma mi rendo conto che 40 (o anche 20, se per questo) euro per una bottiglia non possono essere una spesa quotidiana.
Il motivo di questa mia scelta è banale: io sono uno dei quelli che in settimana durante i pasti scaraffa solo acqua, e mi riservo per il weekend qualcosa di particolare, qualcosa di possibilmente differente da tutto quello che già conosco e che sia, perlomeno potenzialmente, capace di regalarmi emozioni. Al contrario, la mia famiglia era solita avere sempre una bottiglia a tavola, che durava magari cinque o sei giorni.  Quindi, esistono tanti tipi di bevitore, nessuno è quello “giusto” o “sbagliato”, semplicemente ci sono esigenze differenti.

Quanto sopra per introdurre l’assaggio di alcune bottiglie che mi sono state cortesemente inviate in forma gratuita dall’azienda Siro Merotto, facendo notare come il prezzo dei prodotti in questione sia piuttosto distante da quello dei vini di cui solitamente scrivo: senza ricadere nelle dubbie operazioni da etichetta ignota a due euro il litro nel supermercato, il costo consente certamente di definire queste proposte come “vino quotidiano”, e ritengo che come tale debba essere valutato.

Alcuni cenni veloci sulla azienda, che si estende per sette ettari collinari in località Col San Martino, in provincia di Treviso; il lettore smaliziato avrà già capito che siamo al centro della denominazione Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene, dunque viene coltivata la varietà Glera ma anche altre tipiche della zona (Perera, Boschera, Verdiso, Bianchetta), declinate in tre tipologie per un totale di circa 25.000 bottiglie annue: il “classico” Prosecco Spumante Brut DOCG, il Prosecco Tranquillo DOCG e anche un vino frizzante chiamato In Un Sol Bianco.

Poco da dire sul fenomeno “denominazione Prosecco”, se non che si trova ad un passo cruciale: al momento lo straordinario successo planetario è stato alimentato in gran parte con la (temo poco lungimirante) politica di estendere i confini della zona di produzione in maniera dissennata, privilegiando la quantità sulla qualità. Capiremo nei prossimi anni se l’aver drogato il mercato con milioni di bottiglie a basso costo e dal profilo organolettico quantomeno discutibile sia una pratica a lungo sostenibile.

Ciò detto, è innegabile che il Prosecco abbia un marcia in più: grazie alla sua immagine vincente di vino per tutti, semplice, relativamente economico, disimpegnato, giovane; sicuramente un profilo che non appartiene ai vini Metodo Classico, che sono poi gli spumanti che abitualmente tratto in questo sito.

spumante-sito-merotto2Denominazione: Conegliano Valdobbiadene DOCG
Vino: Prosecco Spumante Brut DOCG
Azienda: Siro Merotto
Anno: 2015
Prezzo: 8 euro

E’ proprio dal Prosecco Spumante Brut Valdobbiadene, sicuramente il vino più prestigioso della casa, che voglio iniziare.
Indubitabilmente Prosecco alla vista: quasi incolore, scivola leggerissimo nel bicchiere, con bollicine non particolarmente fitte ma che poi in bocca si riveleranno delicate.

Appena aperto è invece un Prosecco leggermente atipico per lo spettro olfattivo non particolarmente intenso, che prende una strada più consona seguendo la scia delicata, molto leggera, di frutta bianca non acerba ma sicuramente fresca. Il riferimento evidente (che tornerà anche all’assaggio) è quello tipico del varietale, quindi la pera.
L’assaggio denota ovviamente un corpo leggero e una buona acidità, fortunatamente non penalizzata da dosaggi invadenti, come spesso accade in questa denominazione; è questo ultimo un aspetto che voglio rimarcare: non siamo di fronte ad uno dei troppi Prosecchi molli e dolcioni che stancano dopo mezzo bicchiere.
Il calore quasi impercettibile, che sembra persino inferiore agli 11 gradi dichiarati, confeziona assieme alla freschezza un vino semplice ma di ottima bevibilità, che poi ritengo sia l’obiettivo cui deve puntare un Prosecco, in particolare se appartenente a questa fascia di prezzo, insomma il compagno ideale di un bicchiere pomeridiano, di un aperitivo o di qualche antipasto non strutturato.

Il bello: semplice, onesto, prezzo abbordabile col plus di un dosaggio controllatissimo
Il meno bello: nulla da segnalare

Articoli correlati:

Crémant de Loire Cuvee Jean & Jacques, Moulin de l’Horizon

Sono stato per la seconda volta al Salon des Vignerons a Cagnes -sur-Mer, forse non una delle fiere vinicole più note agli italiani, ed è un peccato: intanto si svolge in Costa Azzurra, che è sempre una bella destinazione per un fine settimana, specie in un periodo non vacanziero, quando non c’è grande affollamento, e poi perché certo è un salone dove ci sono i vini (tantissimi, francesi, ça va sans dire) ma c’è anche moltissima gastronomia.
Non essendo ancora riuscito a capire quale sia la logica della disposizione degli espositori, il risultato è che sono stato costretto a girare nei due padiglioni un po’ a casaccio, favorendo le scoperte interessanti.

Se lo scorso anno avevo fatto il pieno di Champagne, questa volta mi sono dedicato a vini a me meno noti, tra cui in particolare roba proveniente dalla zona del Rodano, visto che nei giorni successivi avevo in programma un viaggio da quelle parti. Ma di questo parlerò in un prossimo post.

Sorprendentemente, uno dei vini della giornata è stato questo Crémant de Loire: i Crémant sono denominazioni in Italia ben poco praticate, oscurate a destra dallo Champagne e a sinistra dagli spumanti autoctoni. Lungi da me conoscerne una quantità adeguata per poter tracciare un panorama sensato (oltretutto si spazia tra Alsazia, Loira, Borgogna, Limoux eccetera, persino fino al Lussemburgo, quindi con diversità enormi nelle varie tipologie), ma se la media fosse del livello di questa bottiglia ci sarebbe da gridare al miracolo, anche e soprattutto in relazione al prezzo.

Della azienda Moulin de l’Horizon, situata a Puy-Notre-Dame, con 30 ettari nel cuore della AOC Samour, so poco o nulla, avendo scambiato solo due parole al volo col produttore durante il salone.

Al sodo: si tratta di un assemblaggio per metà Chenin e per metà Chardonnay, che per quel che importa, ha vinto la medaglia di bronzo al Concours des Vins des Vignerons Independants del 2015.

Denominazione: AOC Crémant de Loire
Vino: Cuvée Jean & Jacques
Azienda: Moulin de l’Horizon
Anno: –
Prezzo: 9 euro

L’aspetto è un paglierino tenue, con una bollicina bella continua, fitta e sottilissima, che in bocca si rivelerà vivace ma non puntuta, mentre la fase olfattiva è decisamente intesa per un metodo classico, con molto floreale difficile da identificare, e una scia di anice.

La bevuta è di piacevole pienezza, vivacizzata appunto dalle bolle mai fastidiose e dalla acidità garbata. I toni aggrumati, di pompelmo in particolare, accompagnano il buon equilibrio generale: è un vino piuttosto semplice ma di grande piacevolezza, senza spunti di eccellenza (certo non c’è infinita lunghezza, e una certa morbidezza spunta ogni tanto) ma non posso non definirlo banalmente molto buono.

E’ l’ennesima conferma della grande qualità media dei vini francesi, che con un “semplice” cremant da 9 euro si permettono di tener testa a tanti metodo classico italiano di ben altro prezzo.

Il bello: ottimo aperitivo, prezzo imbattibile
Il meno bello: nulla da segnalare

Articoli correlati: