Cheap Thrills n.2: Frappato 2011, COS

Secondo incontro con le recensioni di vini al tempo della crisi e dall’Alsazia del primo appuntamento ci spostiamo in Italia, nella Sicilia sud-orientale, con un salto ideale di oltre 1800 chilometri,
Il produttore è la Azienda Agricola COS (dalle iniziali dei tre soci fondatori), esistente dal 1980, condotta con un certo piglio contemporaneo (ad esempio regime biodinamico, uso di anfore e coltivazione di vitigni autoctoni con concessioni agli internazionali in una sola referenza) e il cui vino simbolo è sicuramente il Cerasuolo di Vittoria.

frappato COSIl vino che abbiamo scelto di assaggiare è un nome magari meno importante del Cerasuolo (unica DOCG regionale), ma molto celebrato sulle varie guide e nel passaparola degli appassionati: il Frappato, millesimo 2011.

I dati tecnici: uva Frappato al 100% coltivata a circa 250 metri sul livello del mare con ridotta resa per ettaro (circa 50 quintali), fermentazione in vasche di vetrocemento e affinamento in cantina di 12 mesi.

Denominazione: Sicilia IGT
Vino: Frappato
Azienda: COS
Anno: 2011
Prezzo: 12 euro

Francesca

Marco

Eccoci al nostro secondo appuntamento, ammetto che questo vino è stato un po’ un rompicapo.

Il mio assaggio è iniziato saltando una fase importante, che in gergo tecnico viene chiamato esame visivo, e che a volte per la curiosità decido di mettere in secondo piano rispetto all’esame olfattivo.
Sono rimasta sorpresa e un po’ spiazzata, perché effettivamente la nota che mi è saltata al naso era balsamica e di spezie, profumi che fanno pensare a un vino evoluto. Ho riletto l’etichetta credendo di essermi sbagliata ma effettivamente l’anno riportato è il 2011.

Provo a ricominciare, e questa volta non tralascio l’esame visivo, quello che è nel bicchiere è un bel rosso rubino che effettivamente conferma la giovane età. Prima annusata (olfazione sarebbe il termine tecnico) e sento che la nota balsamica è andata via lasciando il posto a una spezia che stento un po’ a riconoscere.
Pensa, annusa, pensa, annusa, ecco si accende la lampadina giusta: è senape, un buonissimo profumo di senape, che a me solitamente non piace ma che ho apprezzato molto in questo vino perché non è esasperata. In un secondo tempo arriva anche una nota di frutta rossa sotto spirito.

All’assaggio ritornano tutti i profumi e con piacere dico che il vino ha davvero un ottimo equilibrio, la speziatura non è troppo invadente ed è supportata da una buona struttura.
A chiudere l’ultimo sorso è un tannino appena accennato che accarezza il palato lasciandolo pulito. Capita spesso di bere vini buoni e fatti bene, ma che non sono proprio immediati, per quello che mi riguarda posso dire che questo sia uno di quelli che lascia un impronta facilmente riconoscibile.

Complimenti all’azienda agricola Cos.

Non mi piace parlare male di un vino, in particolare se è il prodotto di un artigiano o comunque di una piccola azienda: in ogni caso in una bottiglia ci sono un anno o più di lavoro e di fatica e ci sono gli investimenti in denaro e in emozione di persone che fanno un lavoro che ha la caratteristica di una aleatorietà estremamente elevata: basta una grandinata al momento sbagliato per gettare al vento un intero raccolto.

Detto questo, io sono un consumatore e come tale sento il diritto di esprimere una opinione non positiva, ovviamente motivandola; in più la formula delle recensioni doppie mi consente di mitigare il timore di affossare un prodotto solo sulla base della classica “bottiglia sbagliata”.

Al dunque: nel bicchiere è rosso rubino con accenni porpora, segno di  bella giovinezza e vitalità, ed molto fluido. Fino a qui tutto bene: corrisponde al vino che avevo immaginato.

I problemi iniziano all’olfattivo: c’è una nota dominante di rosmarino decisamente  troppo invadente e del tutto monocorde, se non fosse per un accenno di ferrosità e persino di medicinale. Insomma, un naso del tutto sgraziato.
Provo ad assaggiarlo, ma le sensazioni dominanti sono esattamente le stesse: davvero difficile proseguire, per questo decido di lasciarlo riposare  aperto e rimando il tutto al giorno successivo.

Secondo tentativo: la situazione è migliorata, nel senso che la sgradevolezza olfattiva è quasi del tutto scomparsa, ma resta sempre solo il rosmarino troppo carico e poco altro, se non un ribes grossolano.

L’assaggio scivola via molto semplice, senza particolari rivelazioni se non gli echi di quanto avvertito con il naso. C’è freschezza, un tannino lievissimo, poca sensazione alcolica e persistenza corta.

Davvero, non mi sento di scrivere granché altro: non posso credere che questo sia il “vero” Frappato, mi pare evidente di essermi imbattuto in una bottiglia poco felice, e me lo conferma la lettura di quanto scritto qui accanto da Francesca.

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Sestri Les Vins: ben fatto!

Sestri-Les-VinsPoco da dire su una manifestazione vinicola quasi sotto casa, ben organizzata, comoda da raggiungere sia in auto che in treno e con tanti bei nomi presenti: più varia di Vinidamare (imbattibile per annusare il dettaglio della situazione ligure, ma sofferente di cronici problemi organizzativi), più raccolta del pregevole Terroir Vino, meno settoriale dei vari Critical Wine.

Peccato per la pioggia battente e il clima gelido, perché l’ubicazione era perfetta per permettere di alternare assaggi e minuti di riposo in riva al mare, nella Baia del Silenzio: uscire all’aperto era davvero impraticabile e di questo ha risentito lo spazio interno alla manifestazione, che in alcuni momenti risultava intasato.

Apprezzabili: l’ingresso contenuto a 10 euro (5 per i soci AIS), la grande quantità di pane disponibile ai banchi di assaggio, le sputacchiere svuotate con buona solerzia.
Meno apprezzabili (ma sono dettagli): il pieghevole con l’elenco dei produttori non riportava l’elenco dei vini e la mappa dei banchi di esposizione, e mancava un guardaroba all’ingresso (in una giornata in cui tutti avevano ombrelli, sciarpe, cappelli sarebbe stato davvero comodo).

Da segnalare la presenza costante e amichevole di membri della famiglia Maule: li ho visti parlare cortesemente e sorridere con tutti non solo al loro stand ma in tutti gli angoli della manifestazione.

A parte la lista dei produttori (tutti del giro Vinnatur e di buon livello), una delle cose belle di un evento del genere organizzato vicino a casa è che gironzoli per le sale e incontri una valanga di persone che conosci: chi di vista, chi più approfonditamente, e il risultato è una atmosfera decisamente allegra e familiare.

Al solito, evito l’elenco puntuale degli assaggi, ché ne risulterebbe una lista lunga e noiosa. Solo un accenno per un paio di produttori che non conoscevo e che ho trovato sicuramente interessanti.

Spendo qualche parola in più la Azienda Agricola Casale: il vulcanico patron ci ha fatto assaggiare tutto e di più, da una serie di Trebbiano declinati in varie annate e varie macerazioni (tutte piacevolmente ben fatte e non eccessive), ai suoi Sangiovese estremamente rigorosi ed eleganti anche quando il frutto esuberava in marmellata al naso (in particolare l’annata 2000), per finire con un monumentale Vin Santo (ricco di ricordi, dai fichi alla salamoia) che ha attaccato i suoi aromi al bicchiere in maniera così previcace da richiedere svariati lavaggi. Grande azienda.

Altri assaggi sparsi: la piacevolissima e profumatissima malvasia lievemente macerata del Quarticello, la fresca e sapida ribolla di Kristancic, la Garganega Vecchie Vigne di Davide Spillare, un piccolo e giovane produttore ubicato a due passi dalla azienda di Maule e del tutto confrontabile come prodotto.

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Le loro maestà: impressioni varie

Buon ultimo tra i vari blog, propongo il mio commento su “Le loro maestà“, importante manifestazione giunta alla seconda edizione (per parlare come i tizi che redigono i comunicati stampa).

Le loro maestàIl succo della faccenda: presentare una panoramica di produttori langhetti e borgognoni, cercando di fornire una prospettiva quanto più completa possibile sulla “nobiltà” dei vitigni Pinot nero e Nebbiolo: in pratica 50 cantine, equamente divise tra Italia e Francia, hanno presentato per l’assaggio uno o due vini ciascuno, simbolo della loro produzione.

Manifestazione magniloquente (non vorrei definirla “sborona”, ma insomma…) sia dal nome “maestoso”, che per ubicazione (l’Agenzia di Pollenzo, dove risiedono anche l’università di Slow Food e la Banca del Vino), la teutonica macchina organizzativa (hostess precisissime e cortesi, guardardaroba all’ingresso, abbondanza di bottiglie d’acqua gassata e naturale e ottimi grissini nella sala di degustazione) e, ovviamente, per il prezzo allineato o forse persino superiore alle aspettative (80 euro!).

Le loro MaestàSolite sensazioni per il tipo di manifestazione che ormai, come da consuetudine, io definisco “drink-porn”: come altro puoi chiamarla, quando paghi per abbuffarti per una giornata intera di una messe infinita di vini, che ovviamente assaggerai e sputerai invece di approfondirli, gustarli, abbinarli ad una pietanza? E’ pornografia enoica: ti perdi in mille abbracci che ricambi solo per un istante, goloso di tuffarti tra altre braccia sempre nuove solo perché puoi e non perché hai qualcosa di ricambiare.
Ma tant’è, consapevole dei limiti della formula, ogni tanto mi piace indulgere in queste perversioni…

La cronaca: sveglia al mattino presto per essere a Pollenzo fin dall’apertura, in modo da dedicare la mattina alla Francia, fare una pausa per il pranzo, poi rientrare per gli italiani e riuscire ad avere un adeguato tempo di decompressione prima del ritorno a casa in auto.
Programma rispettato a dispetto delle temperature polari (-7.5 sulla Torino-Savona alle 9.30 del mattino!).

Mentirei se dicessi che conoscevo più del 10% dei francesi e più del 40% degli italiani, se non per averne letto le ragioni sociali in siti, libri, opuscoli eccetera, e altrettanto sarei presuntuoso se affermassi di essere essere stato capace di capire la filosofia e la qualità di 50 aziende nello spazio di poche ore.
Le loro Maestà 2Per questo, come sempre in queste occasioni, mi limito a qualche cenno su quello che ho trovato più gradevole o interessante in quell’istante, senza volerne fare classifiche di merito e neppure tagliare dei giudizi centesimali che sono quanto mai distanti dal mio modo di frequentare il vino.

Ecco quindi qualche impressione veloce e minimale.
Per quanto riguarda i francesi segnalerei il Clos de la Roche Grand Cru 2002 di Remy: note terziare, tannino presente ma delicatissimo, lungo e cangiante in bocca; il Nuit-Saint-Georges 1er Cru Les Damodes 2007 di Olivier: molto personale, con accenno di medicinale e bella freschezza; il Pommard 1er Cru Grand Clos des Epenots 2009 di De Courcel: si distingue per corpo, potenza e tannino mantenendo equilibrio ed eleganza; il Volnay 1er Cru Santenonts du Milieu 2005 di Comtes Lafon: forse il naso più bello, intenso, ricco della manifestazione.
Segnalazione a parte per i vini di Guillon, che si scostavano dagli altri per concentrazione superiore, sia nel colore che in bocca, il produttore sostiene a causa delle lunghe vinificazioni.

Per gli italiani: bello intenso, vivo, vibrante il Barolo Fossati 2006 di Enzo Boglietti; tannino alle stelle per il Barolo Bricco Boschis Vigna San Giuseppe 2006 di Cavallotto; piacevolissimo e corredato da una bella spezia il Barbaresco Rabajà 2009 di Giuseppe Cortese; fine, delicato e complesso, con accenni interessanti di evoluzione il Barbaresco Camp Gros Martinenga 2004 Tenute Cisa Asinari dei Marchesi di Gresy; molto personale ed elegante il Lessona Omaggio a Quintino Sella 2006 di Tenute Sella.
Un punto interrogativo grosso per il Barolo Bricco Gattera 2005 di Cordero di Montezemolo: al naso si avvertiva netta la banana!

In generale, è stato molto più semplice gestire l’assaggio dei vini francesi, che grazie alla minor potenza e soprattutto al minor tannino, hanno consentito al mio palato di restare reattivo e concentrato più a lungo.

Alcune osservazioni.
Molti i grandi nomi presenti, ma altrettanti ne mancavano, e degli intervenuti ben pochi hanno portato millesimi più affinati degli ultimi disponibili: dato il prezzo di ingresso credo che si potesse fare uno sforzo per avere maggiore profondità di annate; la cosa ha penalizzato in particolare i vini piemontesi, che in molti casi ho trovato ancora estremamente duri.
Ancora, la manifestazione era a numero chiuso: ne sono certo perché al sabato i biglietti risultavano esauriti in prevendita; nonostante questo, in alcuni momenti della giornata la calca era non insostenibile ma certamente fastidiosa; sarebbe stata augurabile una sala più spaziosa.

Infine, vorrei spendere una parola di elogio per la trattoria Savoia: al momento del pranzo abbiamo deciso di fare qualche metro e siamo entrati questo bar / tabaccheria di Pollenzo, che nel retro propone un piccolo ristorante. Cucina semplice e tradizionale, con materie prime di buon livello, porzioni devastanti per quantità e prezzi da incredulità generale. A completare lo stupore, servizio tranquillo e gentilissimo. Davvero complimenti: il locale che vorrei avere sotto casa.

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Cheap Thrills n.1: Pinot Gris Réserve 2007, Trimbach

Cosa c’è di più surreale di iniziare una rubrica nata e pensata per ospitare pareri su vini dal prezzo “rigorosamente sotto ai 15 euro” con un prodotto che in enoteca viene via a 17 euro? Forse pensare che la bottiglia la ha scelta Francesca, che, solitamente precisa e rigorosa, in questo caso ha rivelato un sorprendente animo dadaista: al prossimo giro mi aspetto una boccia di Krug o una di gazzosa, così, tanto per fare casino…

Pinot-Gris-Reserve-Trimbach

Un accenno veloce alla azienda e al prodotto:Trimbach è un nome storico della viticultura alsaziana: da oltre quattrocento anni ben ventitré generazioni si succedono nella vinificazione di tutto lo spettro dei classici di questa regione.
La produzione è segmentata in Classic (i prodotti base), Reserve (da parcelle selezionate di vecchie vigne), “Reserve Personnelle” (dai terreni più vocati, prodotti solo in certe annate) e una piccola gamma di Vendanges Tardives e Sélection de Grains Nobles.

Il vino di cui parliamo oggi è il Pinot Gris Reserve 2007.

Ovviamente pinot grigio al 100%, viene vinificato in acciaio e non svolge la malolattica; buone premesse: il produttore lo dichiara adatto ad un invecchiamento di 5-10 anni e sostiene che il 2007 sia una ottima annata.
Andiamo a incominciare.

Denominazione: Alsace AOC
Vino: Pinot Gris Réserve
Azienda: Trimbach
Anno: – 2007
Prezzo: 17 euro

Marco

Francesca

Il primo impatto non è felicissimo: in realtà lo avevo  massacrato stappandolo in abbinamento criminale ad un piatto in cui era presente abbondanza di carciofi.. Rimesso il tappo e riprovato il giorno seguente in condizioni più civili, è stata tutta una altra musica.

Alla vista è paglierino-dorato e visibilmente consistente; appena lo porti al naso risulta netta la sensazione di affumicato e minerale, poi spunta un accenno di pera: direi non troppo intenso e compresso ma sicuramente elegante.

Entra in bocca con corpo molto pieno e caldo (i 13,5 gradi si sentono tutti). Mentre assaggiavo, in diretta ho scritto: “residuo zuccherino non percettibile o perlomeno minimo, cosa non scontata con gli alsaziani”, poi ho guardato la scheda tecnica e sono stato smentito alla grande: si dichiarano 7,1 g/l ma davvero non infastidiscono, probabilmente perché bilanciati da notevoli freschezza e sapidità. In effetti dopo il pasto, finendo la bottiglia senza cibo, a fine sorso resta in bocca un velo di dolcezza che comunque non scade nello stucchevole, e il vino è sicuramente da definirsi secco.

Il finale è abbastanza lungo, con un accenno amarognolo (mandorla, noce) che a mio parere lo penalizza lievemente.
Certamente è un vino da consumare pasteggiando (lo vedo bene con qualcosa di  grasso, ad esempio salmone o formaggi di media stagionatura o una quiche) ed è da servire non troppo freddo per non mortificare gli aromi delicati e non esaltare eccessivamente le durezze.

La conclusione è di un vino di buon livello, svolto ottimamente; Il lieve difetto è quello di una alcolicità davvero notevole, che lo rende adatto esclusivamente in abbinamento, e di una personalità non spiccata: onestamente alla cieca non credo avrei capito che si trattava di un alsaziano.
Sarei curioso di riprovarlo tra qualche anno per valutarne l’evoluzione. di sicuro ha ancora possibilità di percorrere molta strada.

Questo articolo è nato dall’idea di Marco di mettere a confronto due degustazioni dello stesso vino, non è una gara tra palati ma un modo di dare differenti punti di vista sullo stesso prodotto, parliamo appunto del Pinot Gris Trimbach di cui avete già potuto leggere qualche nota tecnica fornita da Marco. Si presenta nel bicchiere con un brillante giallo paglierino. I primi profumi che si percepiscono al naso  sono sicuramente una nota di frutta secca  e una nota di vaniglia poco accennata, predominante è il miele che per una questione di gusti personali non mette questo vino tra i miei preferiti, decido comunque di proseguire senza farmi influenzare dal mio gusto personale e cercando di mantenere l’obbiettività . Al primo assaggio il pinot grigio non delude, anzi si sentono in modo più marcato tutti i profumi, spicca un sentore di frutta essiccata e ritorna anche la mandorla. Sicuramente la spina dorsale di questo vino è una buona acidità, e un altrettanto buona mineralità che nel complesso danno un piacevole equilibrio. A lasciarmi un pò in dubbio è questa nota di miele che non mi convince pienamente, ma che non mette in discussione la qualità complessiva di questo vino.

 

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Vorberg 2010, Cantina Terlano

VorbergDenominazione: Alto Adige Terlano DOC
Vino: Vorberg
Azienda: Cantina Terlano
Anno: – 2009
Prezzo: 17 euro

Pochi accenni per un vino che teoricamente aveva tutte le carte in regola per entusiasmarmi (bianco del nord, ottiene sempre ottime recensioni e proviene da una cantina che lavora costantemente bene e mantiene prezzi civili), e che invece mi ha lasciato con qualche (piccolo) dubbio.

Poco da dire su Cantina Terlano, se non che è uno degli esempi virtuosi di cantina sociale: fondazione a fine 1800, numerosissimi soci che forniscono uva per oltre un milione di bottiglie di varia tipologie (tutte DOC, al 70% vini bianchi), e un ventaglio di proposte dalle più semplici fino alle rarità di proposte in occasione di annate particolari.

Questo Vorberg è vinificato al 100% con uve di pinot bianco provenienti dall’omonimo cru posizionato tra 350 e 900 metri di quota; fermentazione, malolattica e affinamento svolti in legno grande.
Si comincia: vino molto bello alla vista, giallo paglierino squillante. Olfattivo ricco, intenso e complesso, principalmente frutta (melone, agrume, ananas), poi i fiori di camomilla e un accenno di minerale.

In bocca è molto pieno, grasso, robusto; azzarderei persino burroso ed opulento, certamente non coerente con un naso decisamente più fresco ed elegante.
Caldo, molto più sapido che fresco; i 13,5 gradi dichiarati si sentono tutti. In sostanza: il varietale del vitigno c’è, ma ancora di più si avvertono potenza e lunghezza.

Ovviamente non posso dire che non mi piaccia, ma la bevuta non è irresistibile come avrei immaginato: è un vino fatto molto bene e che ambisce ad una certa importanza, ma gli trovo il limite (perlomeno in questo momento evolutivo) di essere parzialmente irrisoluto tra un anima fresca e una volontà di struttura.
Lo riproverei con qualche manciata di mesi in più di cantina, e non escludo di averlo “preso male” io, magari partendo da aspettative sbagliate, o anche di aver incontrato una bottiglia un poco carente in freschezza.

Per quanto sopra, consiglio di consumarlo in abbinamento a preparazioni un minimo elaborate: non è il classico pinot bianco profumato da aperitivo.

 

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Lahaye Cuvée Prestige Blanc de Noirs

Denominazione: Champagne
Vino: Cuvée Prestige Blanc de Noirs
Azienda: Benoit Lahaye
Anno: – (cuvée)
Prezzo: 47 euro

champagne lahayeBenoit Lahaye è uno dei vigneron di culto delle (ormai neppure troppo) nuove tendenze champagnistiche che rigettano le grandi maison e vogliono la produzione bio-qualcosa.
Ho poche notizie su questa Cuvée Prestige Blanc de Noirs: proviene appunto da coltivazioni biodinamiche, credo in gran parte da Bouzy e il resto da Ambonnay; leggo in giro di una buona percentuale di vini di riserva, di malolattica parziale e di affinamento in legno.

Colore paglierino; naso intensissimo, quasi inebriante nella sua potenza, comunque complessa e suadente; è forse la parte migliore del vino: c’è il lievito (alla grande), poi l’agrume e, molto interessante, un tocco di grande freschezza (pino, anice e mela acerba); ad ogni modo il quadro cambia costantemente col passare dei minuti e aspettando il giusto arriva a far capolino anche il miele.

Bolla finissima, avvolgente e per nulla aggressiva, e poi sapidità e freschezza, con acidità notevole senza essere tagliente, e calore praticamente assente: un vino di ottimo equilibrio.
Corpo non eccessivo, non è certo un vino “ciccione”: qui la potenza del pinot nero è decisamente mitigata e si gioca sulle sottigliezze, difatti in bocca quasi si nasconde per un attimo, per poi tornare prepotente nel finale che chiude senza sensazioni amare.

Retrolfattivo molto lungo e dosaggio quasi inavvertibile; sicuramente tutte le fasi sono estremamente armoniche e danno vita a un grande vino, dove niente è fuori posto e che si berrebbe a secchi anche da solo, pur se il miglior consumo consigliabile è quello a pasto.

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Catarratto 2010, Porta del Vento: bio in Sicilia

Denominazione: Sicilia bianco IGT
Vino: Catarratto
Azienda: Porta del Vento
Anno: – 2010
Prezzo: 12 euro

catarratto 2010Conosco poco Porta del Vento, ma sono istintivamente ben disposto nei loro confronti: i primi tempi in cui ho iniziato ad interessarmi al vino con più serietà ho partecipato ad una degustazione dei loro prodotti e ricordo i proprietari come persone di grande semplicità e cortesia.

In breve: l’azienda è giovane, situata a Camporeale in provincia di Palermo. Le vigne di 25/30 anni sono coltivate a regime biologico a 600 metri di altitudine su terreno sabbioso, in una zona ovviamente estremamente ventosa.
L’attitudine è quella “naturalista” attualmente tanto in voga: sentite come descrivono il processo produttivo sul loro sito: “Il terreno viene zappato a mano lungo i filari, nessun uso di  prodotti di sintesi,  cerchiamo di comprendere e mantenere  l’equilibrio delle erbe spontanee, accrescendo  la biodiversità. La resa  è molto bassa circa quaranta quintali per ettaro.  La vendemmia  viene fatta a mano”. Poco da aggiungere, se non che la vinificazione avviene in acciaio e con temperature controllate.

Questo Catarratto in purezza è un vino giallo paglierino estremamente vivo, con intensi profumi floreali (acacia?) ma soprattutto minerali e iodati. In bocca è vibrante, di corpo importante, più sapido che acido ma comunque fresco. C’è un accenno che non riesco ad identificare, forse un tocco lieve di evoluto affatto sgradevole.

Magari non è elegantissimo, ma ha personalità, ed è molto dritto, verticale, con discreta  persistenza, e facilità di bevuta, semplice quanto interessante, in particolare in relazione al prezzo.

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La Pierre de la Justice: 1er Cru abbordabile

Denominazione: Champagne
Vino: La Pierre de la Justice
Azienda: Laherte Frères
Anno: – (cuvée)
Prezzo: 35 euro

la-pierre-de-la-justiceUno champagne 1er Cru a meno di quaranta euro non è impossibile da trovare, ma certo non capita tutti i giorni.

Questo Blanc de Blancs “La Pierre de la Justice”, prodotto a Voipreux, al centro della Cotes des Blancs dalla azienda Laherte (da tempo a conduzione biodinamica, circa 70.000 bottiglie l’anno), proviene da una parcella del 1961 con rese necessariamente basse, vinificazione esclusivamente in acciaio, assemblaggio di vini con un 30% di vini di riserva e svolgimento della malolattica.

Ne risulta un vino dal colore tra paglierino e dorato, con bolla molto fine, non particolarmente numerosa e non troppo aggressiva.
Il naso è di mela verde e agrumi, limone e lievito (pasticceria); se lasciato nel bicchiere per alcuni minuti migliora, perdendo spigolosità e arricchendosi di intensità e complessità (ad esempio arriva una punta di anice).

In bocca parte leggero, quasi sfuggente, poi il corpo prende vita fino ad una media robustezza e chiude con forza, ricco di acidità e sapidità, ma senza squilibrio in favore delle durezze (immagino che la malolattica ci abbia messo del suo); le sensazioni olfattive sono confermate, accentuando forse troppo il limone ma aggiungendo una discreta mineralità. Peccato un minimo accenno di sensazione amara alla base della lingua.
Il dosaggio dichiarato è di 6-7 g/l, in effetti davvero poco avvertibile. Finale ben lungo.

Degno di nota, sul retro etichetta è riportata la data di sboccatura: nel mio caso (3/2011) non recentissima, e forse il vino avrebbe potuto essere anche migliore. Buttateci un occhio in caso di acquisto.

Anche se normalmente si pensa più ai Blanc de Noir per il pasto, trovo che “La Pierre de la Justice”, grazie al buon compromesso fra corpo, complessità e freschezza, sia adatto non solo ad antipasti ma anche a pietanze di discreta importanza.

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MUNJEBEL BIANCO

Questo è uno di quei vini che io classifico nella categoria “per appassionati del genere” già nel versare il primo bicchiere si torna un po’ indietro nel tempo. Il colore mi ha ricordato il vino che faceva mio nonno, che non vuol dire vecchio ma tradizionale e naturale.

Munjebel Negli anni e con il perfezionarsi delle tecniche della vinificazione si è arrivati ad avere prodotti perfetti per quello che riguarda la limpidezza il colore e i profumi, forse rendendo un po’ pigro il nostro palato. Assaggiandolo mi sono resa conto che gli stessi parametri che si usano per classificare i vini “tradizionali” non rendono merito a questo tipo di vino. Non vi nascondo che non è stato facile.
Mi ha colpito subito la presenza di un po’ di fondo già al terzo bicchiere, i colori vanno dal giallo carico all aranciato pur essendo del 2010 per quello che riguarda i profumi si riconosce subito una nota di frutta matura ( non faccio elenchi noiosi e bizzarri) e poco dopo arriva una nota che io definisco vinosa.

In bocca il vino si apre e da il meglio di se: si aggiungono ai profumi una nota minerale e una spiccata sapidità che contrasta una buona morbidezza, mi sembra che sia ossidato.
Nel cercare di capire qualche cosa di più del vino che ho nel bicchiere mi sono informata; il produttore  si chiama Frank Cornelissen coltiva 8,5 ettari di terreno vitato  in modo del tutto naturale, ne biologico o biodinamico con una resa di 300g per pianta. La vendemmia viene fatta tra metà ottobre e metà novembre le uve vengono poi lasciate fermentare in giare di terracotta da 150-400 litri.
La macerazione sulle bucce dura da 4 a 7 mesi prima di essere imbottigliato. Lo stesso procedimento viene usato sia per la vinificazione in bianco che quella in rosso.

Leggendo queste tecniche adottate da questo viticoltore davvero ci si rende conto che i termini codificati non sono un vestito su misura per questo tipo di vino. Ultime note tecniche: il vino è un assemblaggio di Grecanico dorato Coda di volpe Caricante e Cataratto, dall az agricola di Frank Cornelissen ai piedi dell Etna.

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Hermitage Le Pied de la Cote 1998, Jaboulet

Le Pied de la Cote

Uno dei motivi interessanti nell’essere appassionati di vino è che non importa quanto sai o pensi di saperne: la bottiglia sarà sempre diversa ed è possibile che ti riserverà comunque qualche sorpresa. Ho usato il termine “interessante” e non “entusiasmante” non a caso, infatti non sempre le aspettative vengono confermate o esaltate con l’assaggio, e a volte capita anche la delusione.

Le Pied de la Cote E una delusione (parziale, in realtà) è stato questo vino: certo, è un prodotto-base che immagino fatto con le uve non giudicate idonee al più prestigioso La Chapelle, ma il produttore Jaboulet gode di buon nome, la AOC (la nostra DOC, per capirci) Hermitage è di quelle prestigiose (siamo nella zona Nord del Rodano) e l’invecchiamento inizia ad essere rilevante.

Il risultato è quantomeno curioso: i descrittori canonici di un Syrah al 100% sono un bel colore rubino squillante, evidente speziatura di pepe nero al naso, struttura e morbidezza in bocca, mentre invece questo Le Pied de la Cote è granato non vivacissimo, di discreta consistenza, con naso abbastanza intenso e, appena stappato, totalmente dominato da un ribes persino troppo schietto.
Migliora con il passare delle ore, quando esce qualche altro piccolo frutto rosso, il sottobosco, la terra, il sangue, ma è praticamente assente il tipico varietale del syrah

In bocca è abbastanza caldo, e di discreta morbidezza; l’attacco è leggermente amabile e persino giovanile per freschezza; il tannino è presente, deciso ma piacevolmente arrotondato. Al gusto torna il ribes e poco altro. Non c’è grande materia e non è particolarmente lungo.
Non lo capisco bene: da un lato sembra ancora ben vivo (per acidità e tannino), dall’altro il colore e gli aromi monocordi sembrano quelli di un vino più stanco.
Il risultato è un prodotto tutto sommato anche piacevole ma di sicuro non entusiasmante (anche in ragione del prezzo) dal quale forse mi aspettavo troppo.
Sui 35 euro in enoteca.

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