Brut Cascina Clarabella

Col passare degli anni mi sono leggermente allontanato dal fenomeno Franciacorta, sia chiaro non certo per motivi di snobismo visto che provo grande ammirazione per l’operosità dei produttori e le attività di un Consorzio del quale si legge tutto e il contrario, ma che agli occhi dell’appassionato si muove con passo ben diverso rispetto ad analoghe istituzioni di altre zone.

Poco da dire anche sulla qualità: oltre alle ben note punte di eccellenza, a mia esperienza non risulta nulla meno che dignitoso; trovo semmai un certo appiattimento nella fascia media, una generica mancanza di identità, a fronte di prezzi non propriamente contenuti; forse per questo motivo la mia voglia di bolle negli ultimi tempi è stata soddisfatta un po’ meno dai bresciani e un po’ di più da francesi, da trentini, oltrepadani e piemontesi.

E’ quindi con piacere che sono tornato a comperare un vino che mi aveva accompagnato nei primi passi della mia carriera da “alcolista non professionista”, il Brut di Cascina Clarabella, azienda situata tra Corte Franca e Iseo, che oltre alla produzione vinicola si occupa di altre attività (agriturismo, alloggi, fattoria didattica eccetera) e soprattutto intraprende, come recita il sito, con il fine di “promuovere percorsi di cura ed assistenza e di sviluppare attività produttive per la creazione di opportunità lavorative per persone con disagio psichico”.

franciacorta-brut-docg-cascina-clarabella-75-clDenominazione: Franciacorta DOCG
Vino: Brut
Azienda: Cascina Clarabella
Anno: –
Prezzo: 16 euro

Il vino in questione è composto di un assemblaggio di Chardonnay al 95% e Pinot nero al 5%; la fermentazione avviene in acciaio inox per l’85% e per il 15% in barriques, segue poi l’affinamento a contatto con i lieviti che varia dai 20 ai 28 mesi.

Nel bicchiere è canonicamente perfetto alla vista, con un paglierino luminoso e perlage fitto e sottilissimo. L’olfattivo è sottile: principalmente agrumi e un ricordo floreale.
All’assaggio è morbido: le bolle accarezzano e la acidità è corretta ma un po’ mortificata da un dosaggio che forse potrebbe essere più leggero. Chiude il sorso un tocco di tostato, forse retaggio della piccola quota di vino passato in barrique. Buona lunghezza.

Vino del tutto esente da difetti, certo piacevole come aperitivo, ma che mi piacerebbe ritrovare con una anima più decisa e coraggiosa, in sostanza una verticalità meno arrotondata dal dosaggio.

Il bello: prezzo educato, vino piacevole
Il meno bello: leggero eccesso di morbidezza

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Brut Millesimato 2009, Monsupello

Torricella Verzate, Oltrepò Pavese: è qui che la famiglia Boiatti conduce i 55 ettari dell’azienda Monsupello, uno dei nomi storici del vino italiano, e una delle eccellenze della sua spumantistica.

Nella mia testa Monsupello occupa la stessa casellina in cui ho collocato Haderburg: il metodo classico italiano a prezzi civili che magari non arriva ai livelli monumentali di certi mostri storici d’oltralpe ma neppure delude mai, insomma il lido cui approdare quando si è in cerca di sicurezze piuttosto che di avventure, e se ogni tanto mi capita di assaggiare il Brut “base”, ammetto che da un bel po’ di tempo mancavo l’appuntamento con il millesimato, in questo caso targato vendemmia 2009, quindi una volta avvistatolo non potevo non portarlo a casa.

Bottiglia dalla etichetta sobria e vagamente retrò, e vino a base pinot nero (90%), con piccolo saldo di chardonnay. La metodologia di produzione dichiarata è quella dell’uso di mosto fiore, fermentato e affinato in acciaio; da qui l’assemblaggio dei vini e il tiraggio con la aggiunta di altro vino, zucchero e lieviti, l’imbottigliamento e il riposo sui lieviti per almeno 55 mesi. Si termina con la sboccatura e l’aggiunta del liqueur di spedizione.

monsupelloDenominazione: VSQ
Vino: Brut Millesimato
Azienda: Monsupello
Anno: 2009
Prezzo: 25 euro

Il bicchiere presenta un liquido paglierino carico con riflessi dorati e una bolla da manuale: finezza e copiosità di questo tipo le ho viste raramente, e la sensazione in bocca risulterà di conseguenza estremamente carezzevole.
L’olfattivo è in linea: delicatissimo di floreale bianco e frutta acerba. Molto aggraziato.

L’assaggio segna un ingresso succosissimo che prelude al resto del sorso sempre molto pieno, ricco di agrume e con accenni lievitosi. Bella freschezza ma soprattutto grande salinità, il tutto in ottimo equilibrio con l’alcol.
Non ho notizie del dosaggio, ma una certa morbidezza mi lascia pensare che non sia proprio leggerissimo, ma in ogni caso non si raggiungono livelli gustativamente eccessivi.
Corpo e lunghezza sono per nulla banali, e se un difetto proprio lo vogliamo trovare occorre cercarlo semmai in un finale lievemente amarognolo che stona un po’ nel contesto di grande eleganza del resto del vino.

Bottiglia certamente da pasto, e da abbinare a qualcosa di più robusto del classico antipasto di pesce, magari un bel risotto di mare o anche a carni bianche.

Il bello: naso fine e sorso succoso, bel corpo
Il meno bello: finale lievemente amarognolo

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Vinnatur Genova 2016

Non ho voglia di parlare di assaggi, non avevo il blocchetto degli appunti e trovo sempre più noioso l’elenco del telefono dei nomi segnati in piedi nella folla che poi lo rileggi a casa come se stessi decifrando il vangelo aramaico.
Semmai parliamo dell’evento: cosa dire ancora della manifestazione che annualmente Vinnatur porta in Liguria? Ormai da due anni, dopo alcune edizioni a Sestri Levante, Vinnatur si è trasferito a Genova, in pieno centro, in uno splendido edificio storico, ma di questo già scrivevo lo scorso anno.

vinnaturE infondo potrei solo ripetermi, perché di fatto la formula (ormai rodata e vincente) giustamente si tocca: la location si raggiunge facilmente con i mezzi pubblici, è accogliente, c’è spazio, c’è il guardaroba, c’è sempre pane e acqua ai banchetti dei produttori, c’è lo spazio della gastronomia, c’è il depliant con la mappa dei partecipanti. Eccetera.
Non posso poi non notare che il posizionamento in pieno centro città, e forse anche l’aver legato alla manifestazione altri eventi in alcuni locali genovesi, ha trascinato all’ingresso un buon numero di persone evidentemente “non del giro”, novizi del vino, facce nuove incuriosite.

Una nota di merito e una di demerito ai produttori: ho parlato con alcuni vignaioli sorprendentemente onesti, tanto da essere i primi a rimarcare qualche difetto di un loro vino; al contrario, di qualcuno ci si domanda perché partecipi ad una manifestazione se poi non ha il minimo interesse a comunicare con il pubblico…

In mezzo a tutti non puoi non notare il patron Angiolino Maule: magrissimo, l’aria tranquilla di chi si sente a casa ma l’occhio febbrile che guizza l’ennesimo cenno di saluto a una delle mille persone che vengono a rendergli omaggio mentre versa il vino. E’ lui, Angiolino, il motore e l’anima della manifestazione, di Vinnatur tutta e di buona parte del movimento dei “vini naturali” italiani, qualsiasi cosa significhi questa definizione ormai abusata.

Cose negative da segnalare?
Forse l’ingresso potrebbe essere un pochino più contenuto, ma comprende anche un buono per una porzione ai banchi della gastronomia e allora va bene così.
Forse l’orario: aprire domenica e lunedì, saltando il sabato, è una scelta che giustamente lascia una giornata (il lunedì, appunto) più dedicata agli operatori del settore e penalizza un pochino gli appassionati, che in maggioranza non prenderanno ferie e sono quindi costretti ad ammassarsi alla domenica, quando per giunta si chiude alle 18.

Ma queste sono inezie, semmai, se un vero limite della manifestazione esiste, è paradossalmente legato alla sua formula: per l’appassionato che partecipa ogni anno a questo raduno (e anche ad altri a tema simile), più o meno la gran parte dei produttori è ben nota, difficilmente capitano grandi scoperte, quindi oltre ai complimenti meritati per l’organizzazione, porgiamo a Vinnatur gli auguri di tante nuove affiliazioni, così da poterci incontrare il prossimo anno a Genova con una decina di produttori inediti in più.

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Prosecco Spumante Brut Valdobbiadene, Siro Merotto

Disclaimer: il vino di cui parlo in questo post mi è stato inviato gratuitamente dal produttore.
Ribadisco che su questo sito non si fanno sponsored posts e che, se non diversamente segnalato come in questo caso, le bottiglie vengono acquistate dal sottoscritto in enoteca o in azienda.

Ai più attenti tra i miei pochi lettori non sarà sfuggito che il prezzo medio dei vini di cui si parla su questi schermi non è proprio popolare, intendiamoci: non stappo mai rarità o nomi stellari, ma mi rendo conto che 40 (o anche 20, se per questo) euro per una bottiglia non possono essere una spesa quotidiana.
Il motivo di questa mia scelta è banale: io sono uno dei quelli che in settimana durante i pasti scaraffa solo acqua, e mi riservo per il weekend qualcosa di particolare, qualcosa di possibilmente differente da tutto quello che già conosco e che sia, perlomeno potenzialmente, capace di regalarmi emozioni. Al contrario, la mia famiglia era solita avere sempre una bottiglia a tavola, che durava magari cinque o sei giorni.  Quindi, esistono tanti tipi di bevitore, nessuno è quello “giusto” o “sbagliato”, semplicemente ci sono esigenze differenti.

Quanto sopra per introdurre l’assaggio di alcune bottiglie che mi sono state cortesemente inviate in forma gratuita dall’azienda Siro Merotto, facendo notare come il prezzo dei prodotti in questione sia piuttosto distante da quello dei vini di cui solitamente scrivo: senza ricadere nelle dubbie operazioni da etichetta ignota a due euro il litro nel supermercato, il costo consente certamente di definire queste proposte come “vino quotidiano”, e ritengo che come tale debba essere valutato.

Alcuni cenni veloci sulla azienda, che si estende per sette ettari collinari in località Col San Martino, in provincia di Treviso; il lettore smaliziato avrà già capito che siamo al centro della denominazione Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene, dunque viene coltivata la varietà Glera ma anche altre tipiche della zona (Perera, Boschera, Verdiso, Bianchetta), declinate in tre tipologie per un totale di circa 25.000 bottiglie annue: il “classico” Prosecco Spumante Brut DOCG, il Prosecco Tranquillo DOCG e anche un vino frizzante chiamato In Un Sol Bianco.

Poco da dire sul fenomeno “denominazione Prosecco”, se non che si trova ad un passo cruciale: al momento lo straordinario successo planetario è stato alimentato in gran parte con la (temo poco lungimirante) politica di estendere i confini della zona di produzione in maniera dissennata, privilegiando la quantità sulla qualità. Capiremo nei prossimi anni se l’aver drogato il mercato con milioni di bottiglie a basso costo e dal profilo organolettico quantomeno discutibile sia una pratica a lungo sostenibile.

Ciò detto, è innegabile che il Prosecco abbia un marcia in più: grazie alla sua immagine vincente di vino per tutti, semplice, relativamente economico, disimpegnato, giovane; sicuramente un profilo che non appartiene ai vini Metodo Classico, che sono poi gli spumanti che abitualmente tratto in questo sito.

spumante-sito-merotto2Denominazione: Conegliano Valdobbiadene DOCG
Vino: Prosecco Spumante Brut DOCG
Azienda: Siro Merotto
Anno: 2015
Prezzo: 8 euro

E’ proprio dal Prosecco Spumante Brut Valdobbiadene, sicuramente il vino più prestigioso della casa, che voglio iniziare.
Indubitabilmente Prosecco alla vista: quasi incolore, scivola leggerissimo nel bicchiere, con bollicine non particolarmente fitte ma che poi in bocca si riveleranno delicate.

Appena aperto è invece un Prosecco leggermente atipico per lo spettro olfattivo non particolarmente intenso, che prende una strada più consona seguendo la scia delicata, molto leggera, di frutta bianca non acerba ma sicuramente fresca. Il riferimento evidente (che tornerà anche all’assaggio) è quello tipico del varietale, quindi la pera.
L’assaggio denota ovviamente un corpo leggero e una buona acidità, fortunatamente non penalizzata da dosaggi invadenti, come spesso accade in questa denominazione; è questo ultimo un aspetto che voglio rimarcare: non siamo di fronte ad uno dei troppi Prosecchi molli e dolcioni che stancano dopo mezzo bicchiere.
Il calore quasi impercettibile, che sembra persino inferiore agli 11 gradi dichiarati, confeziona assieme alla freschezza un vino semplice ma di ottima bevibilità, che poi ritengo sia l’obiettivo cui deve puntare un Prosecco, in particolare se appartenente a questa fascia di prezzo, insomma il compagno ideale di un bicchiere pomeridiano, di un aperitivo o di qualche antipasto non strutturato.

Il bello: semplice, onesto, prezzo abbordabile col plus di un dosaggio controllatissimo
Il meno bello: nulla da segnalare

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Crémant de Loire Cuvee Jean & Jacques, Moulin de l’Horizon

Sono stato per la seconda volta al Salon des Vignerons a Cagnes -sur-Mer, forse non una delle fiere vinicole più note agli italiani, ed è un peccato: intanto si svolge in Costa Azzurra, che è sempre una bella destinazione per un fine settimana, specie in un periodo non vacanziero, quando non c’è grande affollamento, e poi perché certo è un salone dove ci sono i vini (tantissimi, francesi, ça va sans dire) ma c’è anche moltissima gastronomia.
Non essendo ancora riuscito a capire quale sia la logica della disposizione degli espositori, il risultato è che sono stato costretto a girare nei due padiglioni un po’ a casaccio, favorendo le scoperte interessanti.

Se lo scorso anno avevo fatto il pieno di Champagne, questa volta mi sono dedicato a vini a me meno noti, tra cui in particolare roba proveniente dalla zona del Rodano, visto che nei giorni successivi avevo in programma un viaggio da quelle parti. Ma di questo parlerò in un prossimo post.

Sorprendentemente, uno dei vini della giornata è stato questo Crémant de Loire: i Crémant sono denominazioni in Italia ben poco praticate, oscurate a destra dallo Champagne e a sinistra dagli spumanti autoctoni. Lungi da me conoscerne una quantità adeguata per poter tracciare un panorama sensato (oltretutto si spazia tra Alsazia, Loira, Borgogna, Limoux eccetera, persino fino al Lussemburgo, quindi con diversità enormi nelle varie tipologie), ma se la media fosse del livello di questa bottiglia ci sarebbe da gridare al miracolo, anche e soprattutto in relazione al prezzo.

Della azienda Moulin de l’Horizon, situata a Puy-Notre-Dame, con 30 ettari nel cuore della AOC Samour, so poco o nulla, avendo scambiato solo due parole al volo col produttore durante il salone.

Al sodo: si tratta di un assemblaggio per metà Chenin e per metà Chardonnay, che per quel che importa, ha vinto la medaglia di bronzo al Concours des Vins des Vignerons Independants del 2015.

Denominazione: AOC Crémant de Loire
Vino: Cuvée Jean & Jacques
Azienda: Moulin de l’Horizon
Anno: –
Prezzo: 9 euro

L’aspetto è un paglierino tenue, con una bollicina bella continua, fitta e sottilissima, che in bocca si rivelerà vivace ma non puntuta, mentre la fase olfattiva è decisamente intesa per un metodo classico, con molto floreale difficile da identificare, e una scia di anice.

La bevuta è di piacevole pienezza, vivacizzata appunto dalle bolle mai fastidiose e dalla acidità garbata. I toni aggrumati, di pompelmo in particolare, accompagnano il buon equilibrio generale: è un vino piuttosto semplice ma di grande piacevolezza, senza spunti di eccellenza (certo non c’è infinita lunghezza, e una certa morbidezza spunta ogni tanto) ma non posso non definirlo banalmente molto buono.

E’ l’ennesima conferma della grande qualità media dei vini francesi, che con un “semplice” cremant da 9 euro si permettono di tener testa a tanti metodo classico italiano di ben altro prezzo.

Il bello: ottimo aperitivo, prezzo imbattibile
Il meno bello: nulla da segnalare

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Viogner 2012, Château Beauchêne

La breaking news è che sono stato qualche giorno in Francia, per una visita veloce alla zona di produzione del Rodano di cui vi parlerò in seguito.

Durante il viaggio sono entrato un una piccola enoteca a Châteauneuf-du-Pape, avendo occhieggiato all’interno una degustazione; definire caratteristica l’ambientazione è riduttivo: siamo in ottobre inoltrato, è domenica mattina e il paesino (si contano circa 2600 abitanti) è piuttosto freddo e avvolto nella nebbia; più o meno tutti i negozi sono chiusi e in questo negozietto scorgo meno di una decina di francesi col bicchiere in mano davanti ad un bancone peno di bottiglie aperte.
A “condurre la degustazione”, come direbbero i colleghi sommelier, non c’è un tizio incravattato e con padellino al collo ma una vecchina piccola e storta, immagino la padrona del negozio, che con modi assai sbrigativi sbicchiera agli astanti. Accanto, su una vecchia botte, diversi piattini di salumi e formaggi… Come potevo perdermi l’assaggio?

E’ così che ho scoperto questo vino buonissimo, interamente a base Viognier, fermentato e affinato in barrique (ma non si sente), prodotto da una azienda per nulla blasonata e a me sconosciuta, ed è così che mi è stata ribadita per l’ennesima volta la grandezza della enologia Francese, che può vantare una qualità media (lasciamo perdere le vette di eccellenza) sicuramente invidiabili.

vin_81Denominazione: Côtes du Rhône
Vino: 100% Viognier
Azienda: Château Beauchêne
Anno: 2012
Prezzo: 12 euro

Il colore è compatto, giallo dorato, limpido, e gli aromi sono di frutta tropicale (mango, ananas), intensi ma non pesanti: ci sono sempre un accenno viola e una punta di minerale a pulire l’olfatto dalla stanchezza.
L’assaggio è molto sapido, caldo, di buon corpo e gran profondità; avvolge e riempie il cavo orale dove torna il tropicale che si annuncia come una vera spremuta: una roba che detta così è un mattone tremendo, ma invece i guizzi salini e alcolici riescono sempre ad equilibrare un vino che sulla carta sembra esagerato, e invece in bocca (pur molto pieno) resta godibile e tutto sommato persino agile e piuttosto lungo.

Dovessi definirlo parlerei di gusto mediterraneo, inteso non come accade ad esempio con i vini delle Cinque Terre che alimentano ricordi di macchia mediterranea e di mareggiata, ma come un liquido solare, luminoso e intenso come la luce del cielo della Provenza.

In quanto all’uso, mi viene da pensare ad un vino universale: persino da antipasto se ben rinfrescato, ma capace al meglio di reggere tranquillamente formaggi di media stagionatura e altre pietanze discretamente strutturate. L’aromaticità può far pensare anche ad abbinamenti con cibi speziati, orientali.

Il bello: la pienezza e l’intensità mai pesanti
Il meno bello: la scarsa reperibilità, perlomeno in Italia

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Cuis 1er Cru Brut, Pierre Gimonnet et fils

Per le mie tasche proletarie, la fascia di prezzo tra i 30 e i 40 euro è un po’ lo spartiacque tra un vino caro ma tutto sommato accessibile e uno da lasciare sullo scaffale, ed è proprio in questa terra di mezzo che in Italia si possono reperire un buon numero di champagne che, spiace dirlo, fanno barba e capelli a tante bolle nostrane che vengono via per lo stesso esborso: il metodo classico di cui scrivo oggi è proprio uno di questi casi.

Il territorio in cui opera la famiglia Gimonnet è la Côte des Blancs, dove lo Chardonnay regna sovrano: 22 ettari suddivisi tra Grands Crus e Premiers Crus, quasi tutti con vigneti con più di 30 o 40 anni di età.

gimonnetIl vino che ho assaggiato è un sans année, elaborato con assemblaggio di varie annate, in modo da ottenere una vinificazione “rotonda e bilanciata” (come dice la scheda tecnica): missione compiuta certamente!
Oltre al ricorso ai vini di riserva (tutti conservati in bottiglia), le tecniche utilizzate sono quelle della raccolta manuale, della temperatura controllata in fermentazione, dello svolgimento della malolattica, dell’affinamento in bottiglia di 18-30 mesi e di un leggero dosaggio (circa 8g/l).


Denominazione
: Champagne
Vino: Cuis 1er Cru
Azienda: Pierre Gimonnet et fils
Anno: –
Prezzo: 38 euro

Alla vista è paglierino tenue, appena accennato, con bollicine, neanche a dirlo, sottili come punte di spillo, copiose ma non fittissime.
Passando al sodo: la prima impressione olfattiva è molto bella, ricca di lieviti e noce e frutta secca in genere, con una spruzzata di agrume sullo sfondo, ma è in bocca che questo champagne eccelle: La bolla è giustamente viva, senza eccessi puntuti, il sorso è estremamente appagante, ampio ma non molle, anzi semmai freschissimo ma per nulla astringente, e senza il minimo accenno amaro.
Il quid in più è quel tanto di grassezza che rende la bevuta meno ascetica e più goduriosa; nel finale resta la scia di panificazione e soprattutto la sensazione aggrumata, molto piacevole.

Una bollicina ottima, senza punti deboli, versatile nell’abbinamento adeguato a tutto pasto, e l’ennesima dimostrazione della straordinaria attitudine al metodo classico dei cugini francesi.

Il bello: ricco, godurioso ma per nulla pesante
Il meno bello: nulla da segnalare

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Blanc de Blancs Brut Grand Cru, R&L Legras

Ancora bolle, sempre fortissimamente bolle stavolta da Chouilly, uno dei più famosi comuni settentrionali della Côte de Blancs, Grand Cru al 100% (per quanto riguarda lo chardonnay).
La maison è R&L Legras, fondata oltre 6 generazioni fa e ancora gestita dalla famiglia Legras
legras
Quello che assaggio oggi è uno champagne da solo chardonnay, che matura per ben 4 anni sui lieviti e dichiara un dosaggio di 6 g/l.

Denominazione: Champagne
Vino: Blanc de Blancs Brut Grand Cru
Azienda: R&L Legras
Anno: –
Prezzo: 41 euro

Il perlage è una mousse finissima e i richiami odorosi sono di erba agrume, gesso e glicine.
L’assaggio è molto equilibrato, con una freschezza apprezzabile ma non tagliente e una rotondità di bocca che lo classifica come leggermente morbido (si sente il dosaggio ma non troppo).

Al palato tornano i richiami aggrumati, l’alcol è molto ben mascherato e non si avverte nessun amaro in un finale di discreta lunghezza.
L’idea è quella di un vino da bere fresco e giovane, anche per via del corpo piuttosto leggero e di una complessità poco sviluppata.
Piacevole, forse un po caro per quel che offre, è un gradevole aperitivo

Il bello: piacevole, fine
Il meno bello: prezzo eccessivo

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Friulano 2014, Ferlat

Considero il Friulano (l’ex Tocai, per capirci) uno dei vini più gastronomici in circolazione: semplice ma non banale, nelle sue migliori incarnazioni è un compagno discreto e sicuro di tanti piatti leggeri o di media struttura.

L’assaggio di oggi è della azienda Ferlat (5 ettari nella DOC Friuli Isonzo, conduzione in fase di conversione al biologico): 100% Friulano, raccolta manuale, breve permanenza di uno o due giorni sulle bucce e fermentazione a temperatura controllata. Viene svolta la malolattica.

Denominazione: DOC Friuli Isonzo
Vino: Friulano
Azienda: Ferlat
Anno: 2014
Prezzo: 12 euro

Il vino è paglierino carico, con una netta tendenza al dorato, e alla intensità si adegua anche il buquet, che rivela molti fiori e frutta bianca matura con un tocco di camomilla.
Il sorso parte morbido e si inspessisce in chiusura, accompagnato a ricordi di mandorla; di sicuro non sono le durezze a dominare.

Nel complesso un bicchiere garbato, dal corpo discreto e di grande bevibilità (i 13 gradi non si avvertono), che però difetta un po’ di personalità: tutto è a posto, corretto ma manca uno spunto che accenda la lampadina alla bevuta. Oltretutto anche il famigerato terroir viene lievemente mortificato: manca la grande sapidità e olfattivamente c’è forse un filo di aromaticità di troppo.

Il bello: vino molto bevibile
Il meno bello: manca personalità

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Ristorante Capo Santa Chiara, Genova

Lo ammetto, una buona dose di prevenzione mi faceva temere che il ristorante Capo Santa Chiara fosse il classico fumo con poco arrosto.
Lo temevo per vari motivi: anzitutto per il notevole battage promozionale al momento dell’apertura, poi perché il locale è collocato in posizione perfettamente strategica per ricadere nella definizione “ristorante fighetto” (classificazione coerente con varie gestioni non brillanti, che immagino abbiano puntato molto sull’immagine e poco sui contenuti) e non da ultimo perché lo chef Collami è reduce da un lungo e prestigioso passato al comando di Baldin, uno dei nomi storici della ristorazione genovese che però gli ultimi passaparola davano in fase calante, forse anche a causa della perdita della stella Michelin.

E invece, una volta tanto, è bello vedere smentiti i propri pregiudizi.
Anzitutto arrivi a Boccadasse, in pratica un pezzetto di Camogli in pieno centro di Genova: un borgo marinaro ricco di suggestione, silenzio e paesaggio a due passi dalle vie principali della città, capace di predisporti al meglio per la cena. E poi entri nel locale, nuovo, curato, elegante ma non affettato, con una meravigliosa cucina a vista che colpisce appena si mette piede all’interno. Del panorama è inutile parlare, così come della bella terrazza, che immagino prenotatissima nelle giornate con meteorologia favorevole.

Mi piace invece spendere qualche parola per il personale di sala, giovane e competente, mai freddo ma neppure sbracato (bravi!) e per le comodità delle sedute, che spesso in tanti ristoranti vengono sacrificate in nome del design. Da elogiare anche il giusto spazio tra i tavoli e un arredamento che garantisce una discreta insonorizzazione. Segnalo anche che le portate sono arrivate con buon ritmo fin quasi alla fine, quando il locale si è riempito e il servizio ha avuto un minimo di difficoltà.

Piacevoli le varietà di pane e focacce e interessante la carta dei vini, di certo non ciclopica ma fornita di una discreta varietà di etichette non banali a prezzi tutto sommato adeguati alla classe del locale; io ho scelto l’SP68 Bianco di Occhipinti (vino che colpisce per il bouquet esuberante, ma forse un po’ eccessivo a tutto pasto).
Come spesso preferisco, mi sono affidato ad un menu degustazione, nello specifico cinque portate a scelta dello chef per 38 euro. Degni di nota un cous cous croccante di seppia, semplice ma molto gradevole e una pasta al nero di seppia ripiena, gustosa a puntino senza eccedere in sapidità. Unica portata sottotono, un baccalà su purea di patate con tartufo nero: nulla di grave, ma il tuberaceo un po’ insapore rendeva il piatto piuttosto banale.
A termine cena ci si alza senza appesantimenti e di certo senza fame: segno che le quantità sono ben calibrate.
Non è indispensabile, e capisco che un menu di pesce a 38 euro in una location del genere sia già un gioco di incastri complicato, ma un piccolo fuoriprogramma all’inizio o al termine avrebbe gratificato ancor di più il cliente…

La conclusione è che forse Genova ha un nuovo locale di riferimento per quanto riguarda la “gamma alta” della ristorazione, elegante nei cibi come nella location, ma con prezzi accessibili. Resta la curiosità di provare i piatti alla carta per capire se c’è la possibilità di puntare alla stella.

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