Dosaggio Zero, Maso Martis

Mi è frequente avere conferme sul Trento DOC: nella fascia di prezzo umano, quello più accessibile da noi consumatori comuni, è abbastanza facile incontrare prodotti di buon livello. Perlomeno, è più facile rispetto a quanto accade con altre zone più di moda (Franciacorta, per non far nomi).

Oggi ho stappato la bottiglia di una azienda (certificata biologica) rappresentante di questa tipologia di Metodo Classico “di montagna”, Maso Martis, che conduce 12 ettari, situati a 450 metri di altitudine, sopra a Trento, per una produzione di circa 60.000 bottiglie l’anno.

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Denominazione: Trento DOC
Vino: Dosaggio Zero
Azienda: Maso Martis
Anno: –
Prezzo: 25 euro

Il vino in questione è il Dosaggio Zero, composto al 70% da Pinot Nero e al 30% da Chardonnay; la metodologia di produzione prevede che le uve bianche vengano fermentate e affinate in barriques, mentre quelle nere solo in acciaio; i mesi di riposo sui lieviti sono 24 e non si aggiunge liqueur d’expedition.

Colore paglierino-verdolino, con bolla millimetrica e bel naso fine, di fiori e agrumi con accenni minerali e di nocciola, sottile ma non anemico, molto elegante.
Il sorso è ricco, pieno, gustoso, materico, con carbonica che solletica tramite punture decise ma fini; sicuramente fresco e sapido e anche molto equilibrato: quasi non sembra un dosaggio zero per come si stacca dalla moda di certi estremismi arriccia-gengive.

Finale non particolarmente lungo, con accenno di mandorla che fortunatamente non arriva a definirsi nell’amaro.

Il bello: bellissimo spettro olfattivo e sorso gustoso

Il meno bello: manca un po’ di lunghezza, finale non finissimo

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Satèn, Corte Fusia

Ogni tanto mi piace rituffarmi nel mare di proposte dei Franciacorta per capire se nell’oceano di bottiglie ci sia qualcosa di nuovo che emerge. Il problema secondo me è sempre il medesimo: la qualità generale è buona con punte di eccellenza, il Consorzio lavora benissimo rispetto agli omologhi di altre denominazioni, il marchio è forte e “tira”, ma il prezzo medio è alto e secondo me c’è una diffusa mancanza di personalità.

Ho voluto provare stavolta il Satèn di Corte Fusia, una giovane azienda di cui ho letto belle cose che mi hanno incuriosito; il territorio è quello di Coccaglio, zona Monte Orfano, con 5 ettari coltivati con i classici vitigni Pinot nero, bianco e Chadonnay, da cui si ricavano circa 20.000 bottiglie l’anno, declinate in quattro tipologie: Brut, Rosé, Zero e appunto Satèn.
Ho scelto il Satèn seguendo il consiglio di una persona fidata, e anche perché tutto sommato si tratta di una tipologia che tendo solitamente a trascurare in favore del classico Brut o del “modaiolo” Dosaggio Zero.

saten_bottigliaDenominazione: Franciacorta DOCG
Vino: Satèn
Azienda: Corte Fusia
Anno: –
Prezzo: 22 euro

I dati della scheda tecnica parlano di un vino ottenuto da uve 100% chardonnay con residuo zuccherino estremamente contenuto (2 g/l), ottenuto tramite fermentazione in acciaio e affinamento sui lieviti di 30 mesi.

E’ un bicchiere che mi lascia perplesso, si tratta di uno di quei vini di cui non si riesce a parlare con completezza: non c’è nulla di stonato o fuori posto, ma per qualche motivo non arriva nessuna emozione particolare, anzi la bevuta resta piuttosto anonima.
All’occhio trovo un verdolino paglierino con bolle sottili, mentre l’olfattivo concede qualche sbuffo di lievito molto timido e poco altro.

L’assaggio denota morbidezza da satèn, appunto, con bolle decisamente tranquille (anche un po’ troppo, a parer mio), acidità nella norma, e dosaggio ben contenuto; si chiude con qualche sentore di frutta secca, appena al limite con un finale amaro, per fortuna è solo accennato.

Nel complesso come dicevo nulla di sgradevole: un vino che forse ha il suo migliore uso a pasto, dove, in abbinamento a portate poco strutturate, è capace di farsi spalla silenziosa e tranquilla. Peccato che ad un vino di prestigio come un Metodo Classico io chieda qualcosa in più.

Il bello: discreto accompagnatore a tavola

Il meno bello: poca emozione

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Il Mondo del Sommelier: Il Vino e le sue leggi. Di Ughetta Bogliolo

Non faccio a tempo a scrivere una battuta sul capitolo meno studiato del corso (quello sulla legislazione), ed ecco che Ughetta mi invia subito i suoi appunti relativi a questo argomento.

 

Il vino e le sue leggi:

Regolamento CE 479/2008, dispone l’entrata in vigore del nuovo OCM Vino e definisce: “il vino è il prodotto ottenuto esclusivamente dalla fermentazione alcolica totale o parziale di uve fresche, pigiate o no, o di mosti di uve”

Il regolamento classifica:

–        Vini a Denominazione di origine (DOP, IGP) sottoposti a disciplinare di produzione

–        Vini senza Denominazione di Origine, nessun legame col territorio, nessun disciplinare

  1. Lgs. 61/2010, recepisce il Regolamento europeo e prevede l’utilizzo delle menzioni specifiche tradizionali: DOCG, DOC, IGT

 

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Solo le DO posso prevedere le Sottozone

Il riconoscimento DOP e IGP è concesso dalla Commissione Agricoltura della Comunione Europea (previa conformità dello Stato membro); i vigneti devono essere iscritti nello schedario viticolo.

Il Disciplinare di produzione caratterizza i vini DOP e IGP e definisce i vincoli da rispettare nella produzione di ogni determinato vino, deve essere proposto con la domanda di Protezione e deve indicare:

–        Delimitazione della zona

–        Titolo alcolometrico volumico minimo, al consumo e potenziale

–        Resa massima di uva e vino a ettaro

–        Varietà di uve e loro percentuali

E altre informazioni su forme di allevamento, condizioni di produzione, caratteristiche dell’ambiente, periodo minimo di invecchiamento etc.

Menzioni e loro significato:

  • Classico: vini non spumanti prodotti nella zona di origine più antica che possono avere una regolamentazione autonoma (es.: Chianti Classico)
  • Riserva: vini sottoposti a invecchiamento, compreso affinamento, di almeno

×          Due anni per i vini rossi

×          Un anno per i vini bianchi

×          Un anno per gli spumanti in autoclave

×          Tre anni per gli spumanti metodo classico

  • Superiore: migliori caratteristiche qualitative

×          resa per ettaro inferiore del 10% o più

×          titolo alcolometrico minimo potenziale delle uve > 0,5%

×          titolo alcolometrico minimo totale dei vini > 0,5%

  • Novello: deve rispettare metodologie produzione previste

×          non essere in consumo prima del 6/11 dell’anno di produzione

×          non possono essere imbottigliati dopo il 31/12

×          devono contenere almeno il 30% di vino da macerazione carbonica

×          titolo alcolometrico minimo 11%, residuo zuccherino < 10 g/l

  • Passito: da fermentazione di uve sottoposte ad appassimento naturale o in ambiente condizionato

Etichetta:

Indicazioni Obbligatorie:

–        Categoria del prodotto (vino, vino liquoroso, vino spumante, vino frizzante ecc), omessa se presente la indicazione DO o IG o menzione tradizionale

–        Espressione di DOP o IGP oppure DOCG o DOC o IGT

–        Titolo alcolometrico volumico minimo (% volumica ± 0,5%)

–        Origine e provenienza

–        Annata delle uve (per DOP), se 85% uve stessa annata

–        Imbottigliatore

–        Importatore

–        Tenore zuccherino per gli spumanti

–        Presenza allergeni (anidride solforosa)

–        Lotto di confezionamento

–        Capacità del recipiente

Indicazioni Facoltative:

×           Riferimenti ad altri operatori nella filiera

×           Per i DO, termini riferiti all’azienda agricola

×           Logo comunitario allergeni

×           Annata delle uve (se 85% stessa vendemmia)

×           Varietà delle uve

×           Tenore zuccherino per non spumanti (secco < 4 g/l; abboccato 4 < zucch. < 12; amabile 12< zucch. < 45; dolce > 45 g/l)

×           Indicazioni sul metodo di invecchiamento, elaborazione; simboli comunitari DOP/IGP; metodi di produzione; indicazioni su unità geografiche più piccole.

La sigla ℮ certifica la conformità degli imballaggi dei prodotti liquidi della Comunità Europea.

 

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Il Mondo del Sommelier: Birre e Distillati. Di Ughetta Bogliolo

Come dicono quelli bravi “è con vivo piacere che accolgo un importante contributo…”.

Seriamente: sono davvero contento che gli appunti relativi alla didattica AIS siano utili a tanti lettori che si avvicinano all’esame: io stesso a suo tempo avevo scandagliato il web alla ricerca di spunti e aiuti allo studio, e per questo avevo deciso di condividere i miei riassunti.

Sono altrettanto felice quando qualcuno dei visitatori decide di contribuire a sua volta, inviandomi qualche riga per raccontare la sua esperienza o per descrivere il suo esame, arricchendo il sito con informazioni utili ad altri corsisti; proprio ciò che ha fatto Ughetta Bogliolo, una gentilissima lettrice che ha ritenuto di farci omaggio dei suoi riassunti e approfondimenti su due capitoli de “Il mondo del sommelier” che spesso vengono tirati un po’ via: si tratta di quelli relativi a birre e distillati.

La minore attenzione è dovuta al fatto che nel mare di roba da studiare, qualcosa si finisce fatalmente per trascurare (come dite? Il  capitolo sulla legislazione? eeehhh, perché esiste un capitolo su questo argomento?), ed è un peccato; proprio per questo motivo il contributo che rimpolpa e integra i post sulla didattica è particolarmente gradito.
Grazie ancora, Ughetta!

 

La birra

Date importanti:

1516 duca Guglielmo IV di Baviera promulga l’editto della purezza (orzo, luppolo, acqua).

1842 Josef Groll alla Pilsner Urquell crea la pilsner, birra chiara a bassa fermentazione.

I cereali sono ricchi di amido (zucchero complesso infermentiscibile), che deve essere demolito dall’ azione degli enzimi, liberando maltosio e destrine

Materie prime:

  • Il cereale più usato è l’orzo, che viene maltato o torrefatto. Altre materie prime: frumento, mais, riso, miglio

  • Zucchero, aumenta il titolo alcolometrico

  • Luppolo: fiori femminili non fecondati, che contengono luppolina = resina con funzione antibatterica, amaricante, e stabilizza la schiuma; oli essenziali che arricchiscono il profumo; tannini, che facilitano la chiarificazione.

  • Acqua, scelta in base alla durezza (birre chiare->acque tenere)

  • Lievito

lievito:

bassa fermentazione (saccharomyces carlsbergensis , 5-10 °C, 6-8 gg., sedimenta sul fondo): lager

alta fermentazione (saccharomyces cerevisiae, 15-25 °C, 4-5 gg., si accumula in alto): birre ale

Produzione:

  • maltaggio: chicchi di orzo messi a bagno per 48 ore, assorbono acqua per innescare l’azione degli enzimi. In cassoni ad aria condizionata avviene la germinazione in 6 giorni a 14-16°C

  • il malto viene essiccato o torrefatto per riscaldamento per circa 24 ore, interrompendo la germinazione e riducendo l’umidità (la temperatura influenza il colore finale e gli aromi, da 85 °C per i malti chiari a oltre 200 °C)

  • ammostamento in sala cottura: i cereali macinati vengono impastati con acqua e tenuti per 2-3 ore a 35-75 °C, l’ammostamento può avvenire per infusione o per decozione; la T° finale deve essere di 76-78°C e si ottiene la trasformazione dell’amido in maltosio

  • la soluzione viene filtrata mantenendola a temperatura tramite un tino di filtrazione, si separano le scorze dei cereali (trebbie) dal mosto

  • il mosto è immesso nella caldaia di cottura, si aggiunge il luppolo e si porta ad ebollizione per almeno un’ora

  • si filtra, chiarifica e raffredda (perché i lieviti possano lavorare)

  • si aggiunge il lievito e inizia la fermentazione tumultuosa per una settimana, a temperatura controllata (10 °C per la bassa fermentazione, 20 °C per alta fermentazione)

  • maturazione o fermentazione secondaria, in serbatoio chiuso o in bottiglia con aggiunta di fermenti

  • infine filtrazione, lavaggio dei recipienti, riempimento, tappatura, pastorizzazione (per evitare che rimanga lievito) etichettatura

La classificazione legale:

si basa sul titolo alcolometrico volumico e il grado saccarometrico

Il grado saccarometrico o di fabbricazione è la quantità di estratto fermentiscibile nel mosto in % di peso o gradi plato

il titolo alcolometrico volumico è la quantità di alcol in %. Si ottiene moltiplicando il grado di fabbricazione x 0,4

Tipo di birra

°P

% alcol

birra analcolica

3 – 8

< 0,8

birra leggera

5 – 10,5

1,2 – 3,5

birra

> 10,5

> 3,5

birra speciale

> 12,5

> 3,5 in genere > 5

birra doppio malto

> 14,5

> 3,5 in genere > 6

Gli stili birrari:

si può classificare la birra secondo il tipo di fermentazione:

  • bassa fermentazione = lager, le più diffuse al mondo, tempo di maturazione di 5 – 6 settimane

  • alta fermentazione = ale, 10% produzione mondiale, 50% dei consumi in Gran Bretagna e Baviera, tempo di maturazione di 15 gg.

  • fermentazione spontanea, prodotte in Belgio, mosto esposto all’aria per favorire inoculo naturale (Lambic, Gueuze)

Equilibrio gustativo:

  • Più amaro per le pils

  • Più fruttato per le ale

  • Più maltato per le lager

  • Più acido per le weizen

Flavour, insieme delle sensazioni gusto-olfattive post deglutizione:

  • Nota verde del luppolo nelle pils

  • Fruttata nelle ale e weizen

  • Tostatura nelle stout

  • Speziatura nelle trappiste

 

 

Distillati

distillati o acquaviti sono il prodotto della distillazione di un fermentato, spesso di origine vegetale (es eccezione il miele)

Classificazione in base alle materie prime:

Cereali Gin, Vodka, Whisky
Vegetali Rum, Cachaca, Tequila
Vino Cognac, Armagnac, Brandy
Vinacce Grappa, Eau de vin de Marc
Frutta Calvados, Slivovitz, Williams, Kirsch, Distillato d’uva

l’età dei distillati si calcola con i periodo passato in legno (la bottiglia non conta)

Produzione:

  • preparazione del mosto: l’amido dei cereali deve essere demolito da enzimi per diventare fermentescibile, quindi serve il maltaggio, il malto viene poi macinato e miscelato con acqua, si ottiene il mosto detto wort (liquido biancastro e colloso con le scorie), quando viene privato delle scorie si chiama wash;

  • fermentazione: si inoculano lieviti selezionati, saccharomyces cerevisiae per 3-4 gg. a 18-25 °C producono alcol etilico da 5 a 12% e sostanze secondarie

  • distillazione: continua o discontinua*. processo fisico che separa i componenti volatili del fermentato in base al loro punto di ebollizione  (si separano alcol e elementi aromatici, lasciando l’acqua in alambicco). Il fermentato diventa vapore e poi torna liquido. Si concentra l’alcool e si selezionano le sostanze. Si separano le sostanze liquide da quelle solide, successivamente si separa l’alcol etilico dall’acqua, infine si eliminano teste e code. Si distilla fino al 65 – 72%, poi si diluisce fino al 40-45% (perché altrimenti rimarrebbero dentro i prodotti di coda);

  • stabilizzazione: riduzione del grado alcolico con acqua demineralizzata, refrigerazione a -10/-20 °C condensa le sostanze pesanti, poi separate per filtrazione. A volte aggiunta zucchero max 2% per dare morbidezza e persistenza aromatica, o caramello per dare colore

  • invecchiamento: in botti usate (whisky, cognac, armagnac, calvados, per legge)

  • A volte si usa la aromatizzazione, con infusione e successiva distillazione, con aromatizzazione dei vapori durante la distillazione, o con macerazione nel distillato

*Distillazione:

  • Discontinua (pot still): la cotta viene scaricata una volta esaurita, poi la caldaia viene ricaricata. Gli alambicchi possono essere a fuoco diretto, a bagnomaria o a vapore, tutti hanno sopra un elmo e un collettore che collega al refrigerante. Alambicchi di rame (cognac, whisky di malto, alcuni armagnac, calvados, brandy, grappe)

  • Continua (patent still): la colonna, costituita da un tubo verticale intervallato da piatti, campanelle e tubi di troppo pieno, viene alimentata continuamente e il distillato continuamente estratto (vodka, grappa, gin, rum, tequila, whisky cereali, alcuni brandy e armagnac)

Il bicchiere di servizio è il tulipano da 100-120 ml, trasparente e con stelo

Temperature di servizio:

Vodka, acquavite, steinhager

0 – 4 °C

Acquaviti giovani di frutta

6 – 8 °C

Grappe giovani

10 – 12 °C

Rum, blended whisky, whiskey poco invecchiati

14 – 16 °C

Acquaviti di frutta invecchiate (calvados…), grappe invecchiate, rum, malt whisky, whiskey molto invecchiati

16 – 18 °C

Brandy, cognac, armagnc

18 – 20 °C

Whisky

In scozia di malto, la maltazione avviene per essicazione tramite aria scaldata bruciando la torba. Wash, fermentazione, distillazione.

Doppia distillazione in alambicchi di rame:

  1. Low wine con 20-24% vol alcol
  2. Eliminazione di teste e code e ottenimento del cuore a 65-72% vol alcol

Infine si riduce il grado alcolico a 60-62% con poca acqua distillata per l’invecchiamento.

Invecchiamento per legge almeno 3 anni in rovere, invecchiamento migliore 10-15 anni.

Prima dell’imbottigliamento si diluisce fino a 40% vol.

Il whisky scozzese ha due tratti essenziali: dolcezza del malto, secca aromaticità della torba.

Zone di produzione:

Highlands complessi e avvolgenti, tipico affumicato amabile

Lowlands più morbidi

Islay secco e torbato, accento di alghe

Campbeltown salmastro

Classificazione:

single malt: se prodotto da solo malto d’orzo e da una sola distilleria

pure malt: se prodotto da solo malto d’orzo di più distillerie (vatted)

single grain: se prodotto da una sola distilleria con più cereali, in impianti a colonna

blended: se con vari cereali da varie distillerie, in impianti a colonna

I cereali diversi dall’orzo non sono maltati, ma macinati e cotti

Irlanda:

Whiskey, da orzo maltato (20-40%) e non maltato (60-80%), non si usa la torba per cui prevale il profumo dell’orzo e la morbidezza del malto, distillazione continua o tripla distillazione, riduzione del grado alcolico al 70% per l’invecchiamento e successivamente al 40% per l’imbottigliamento, sosta in botte almeno 3 anni, in genere non più di 10-12.

USA:

Rye whiskey, a base di segale 51% invecchia in botti nuove di rovere carbonizzate, almeno 2 anni (punta di amaro, speziata e mentolata)

Corn whiskey, a base di mais 80%, non riposa in legno carbonizzato e ha un sapore più dolce

Bourbon, 51% mais, più segale, grano e malto d’orzo, botti nuove carbonizzate, nasce in Kentucky

Tennessee whiskey, 51% mais, poi segale, orzo, avena, prima della botte viene filtrato attraverso 3 m di carbone d’acero.

Canada:

Prodotti in Ontario e Quebec, principalmente da segale spesso maltata e un po’ di mais, addizione di alcol per alleggerire il dolce-amaro della segale, distillazione a colonna e almeno 3 anni in botte per legge.

Giappone:

Impronta scozzese, orzo maltato, con torbatura più sottile e doppia distillazione, invecchiato in botti di rovere carbonizzate, nuove o usate per sherry e bourbon

Vodka

Nata in Russia (segale e frumento) o Polonia (segale), parzialmente si usano anche i tuberi; gli ingredienti sono tritati e lasciati a macerare alcune ore, poi scaldati fino a bollitura per la solita trasformazione degli amidi in zuccheri, filtrati, fatti fermentare coi lieviti fino a ottenere il wash a 6-8% vol; distillazione continua in colonna fino a 85-90% vol. filtrazione su sabbia quarzifera e riduzione a max 40% vol. alcol.

Acquavite d’uva

Rispetto alla grappa l’acquavite d’uva è prodotta con materia prima più ricca, non sfruttata per la produzione del vino.

Si cercano uve adatte alla produzione del distillato che giungono in distilleria immediatamente dopo la vendemmia

da uve ammostate e fermentate:

l’uva è portata in distilleria senza che si scaldi, diraspata e pigiata senza spappolare la buccia

fermentazione in cisterne di acciaio sottovuoto, con lieviti selezionati

distillazione in alambicco discontinuo a vapore o bagnomaria, a 65-70% vol, si preleva un cuore alto, eliminando le code già a 55%, poi diluizione a 40-45%, rfrigeraione, filtrazione e riposo alcuni mesi in acciaio, solo a volte in legno.

Va servita fresca, 10-12°C

Grappa

Distillato italiano di vinacce, (acquavite di vinaccia) prodotta solo in Italia e non deve obbligatoriamente invecchiare

Le vinacce devono essere freschissime e pregne di liquido, quelle non fermentate (da vinificazione in bianco) sono separate dal mosto e messe in vasche di acciaio sottovuoto per la fermentazione controllata, quelle fermentate (da vinificazione in rosso) sono poste subito in alambicco.

Alambicchi continui e discontinui, distillazione al 70-75%.

Classificazione:

grappe a denominazione geografica, ottenute nelle zone geografiche indicate in etichetta (es. Grappa di Barolo, Grappa del Friuli, Grappa del Trentino etc.)

grappe ottenute da vini DOCG, DOC, IGT

grappe a indicazione geografica, per cui non sono consentite altre denominazioni a riferimento regionale

grappe di monovitigno, almeno 85% del vitigno.

Il titolo alcolometrico minimo è 37,5% vol.

Possono essere giovani, vecchia o invecchiata (1 anno in legno), riserva e stravecchia (18 mesi in legno).

Cognac

Distillato di vino, prodotto a nord di Bordeaux (dipartimento Charente), tra le colline del Limousin e del Perigord

6 zone argillose e calcaree: petit e grande champagne, borderies, fin bois, bons bois, bois ordinaires

vitigni a bacca bianca: ugni banc 90%, colombard e folle blanche da cui si ottiene un vino leggero ( 8% vol. e acidità elevata) da distillare con doppia distillazione (a ripasso) nell’alambicco charentais in rame:

prima distillazione, 95-100°C per 8-10 ore liquido bruillis al 24-30% vol

seconda distillazione, detta bonne chauffe, 12 ore cuoreal 65-72% vol

da 1000 l di vino 2 l teste, 62 l cuore, 36 l code

Invecchiamento in botti da 350 l di querce del Limousin, ogni anno 2-4% diventa part des anges, fino a max 60 anni, poi assemblaggio con almeno 40 gradi

La classificazione si basa sull’ età, il distillato più giovane determina la classificazione:

trois etoiles (2.5 – 4.5 anni)

very superior old pale (almeno 4.5 anni)

napoleon (oltre 6.5 anni)

Fine Cognac è un blend ottenuto con cognac solo di Grand Champagne min 50% e Petit Champagne

Armagnac

Più antico distillato di Francia e forse del mondo, zona della Guascogna (Bas-Armagnac, Haut-Armagnac, Ténarèze, caratterizzate dalla presenza di silicio)

Vitigni a bacca bianca: ugni blanc, colombard, folle blanche, bacco, meslier St-Francois, mauzac, producono un vino base 8% ricca acidità.

Distillazione continua alambicco armagnacais a colonna e una sola distillazione fino a 58-63%. Recentemente anche alambicchi discontinui e doppia distillazione. Invecchiamento e assemblaggio

 

Classificazione per invecchiamento del distillato più giovane:

trois etoiles (1 anni)

very superior old pale (almeno 4)

napoleon (almeno 5 anni)

Cognac

Armagnac

Il Cognac è un distillato prodotto esclusivamente nell’omonima regione situata nella Francia settentrionale.

L’Armagnac è un’acquavite distillata solo con uve provenienti dalla Guascogna.

Entrambi i distillati sono prodotti con uve di bacca bianca e in particolare con il vitigno Ugni blanc, una sorta di Trebbiano. In percentuali minori vengono utilizzati anche vitigni come Colombard, Folle Blanche e Baco.

Prodotto su scala industriale.

Prodotto in quantità limitate.

Invecchiato in botti di rovere.

Invecchiato in botti di quercia.

La regione del Cognac è divisa in sei cru (sottozone di produzione): GRAND CHAMPAGNE, PETIT CHAMPAGNE, BORDERIES, FINS BOIS, BONS BOIS, BOIS ORDINAIRES.

La zona di produzione dell’Armagnac è divisa in tre cru: BAS ARMAGNAC, HAUT ARMAGNAC, ARMAGNAC TENAREZE.

Distillazione continua. Alambicchi “chiarentais”.

Distillazione discontinua. Alambicchi in rame a ripiani.

Calvados

Ottenuto in Normandia da mele ammostate e fermentate (a volte percentuale pere) e poi da una sola distillazione continua (solo nel Pays d’Auge distillazione a ripasso)

In alcuni casi doppia distillazione in alambicco discontinuo, in altri singola a colonna. Dipende dalla zona.

Le mele più utilizzate sono: St-Martin, St-Aubin, Duret, Bendor rossa; e si raggruppano per tipologia: acidule, dolci, dolci-amare, amare.

Classificazione per invecchiamento nelle botti di legno:

trois etoiles (2 anni)

vieux (almeno 3 anni)

very superior old pale (almeno 4)

napoleon (almeno 6 anni)

Rum

Prodotto in tutta la fascia equatoriale dove si coltiva la canna da zucchero. Area più pregiata: Caraibi

Rum in lingua inglese, ron spagnola, rhum francese

Rum agricolo: il succo zuccherino chiamato Vesou, ottenuto dalla pressatura dei fusti della canna, viene filtrato, decantato e fermentato con lieviti spontanei detti caipiria, poi distillato in alambicchi discontinui.

La maggior parte dei rum è invece ottenuta dalla melassa (sottoprodotto della lavorazione dello zucchero), fermentata con addizione di acqua e lieviti e poi distillata in apparecchi a colonna continui (Rum industriale).

Ci sono rum non invecchiati, Blanco, altri con breve affinamento in legno, Paille, Superior, Gold, Carta de Oro, e altri scuri per aggiunta di caramello, Dark o Black label.

Rum Anejo invecchiato in botti di rovere e l’età è il tempo minimo nelle botti.

Cuba ron industriali leggeri

Giamaica industriali pieni di sapore

Puerto Rico maggiore produttore di rum industriale al mondo

Barbados tra i migliori in assoluto       

Tequila

Prodotta in Messico e Centro America. Cottura, macinatura e spremitura del cuore dell’ agave poco prima che spunti l’infiorescenza (dopo 7-10 anni); si ottiene l’aguamiel, il succo zuccherino cui si aggiunge acqua e si fermenta con i lieviti naturali dell’agave e distilla fino a 70-72% vol poi ridotto al 38-42%

  • Pulque atzeco: pigna di 45 kg “cotta”
  • 1200 specie di agave
    • Tequila da agave azul
    • Mezcal da altre specie
  • Classificazione:
    • Plata o Blanco o Fino, appena uscito dall’alambicco
    • Suave o Joven o Gold o Abocado, con coloranti naturali o infuse di erbe o maturate alcuni mesi
    • Reposado: 3-12 mesi in legno di querce francesi o rovere bianco
    • Anejo o Finissimo Tequila Espuela e Muy Anejo: da 18 mesi –> 5 anni

Il Tequila giovane si consuma fresco, quello invecchiato a 18-20°C

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Chiesino, Podere di Rosa

Il Podere di Rosa è una azienda agricola con annesso agriturismo in provincia di Lucca; ora, io non ho messo piede nell’agriturismo (e questo poco importa) ma soprattutto conosco poco e nulla i vini dei questa zona della Toscana, per questo ho colto la palla al balzo quando mi è stato proposto l’acquisto del Chiesino, un IGT Toscana bianco, prodotto da prevalenza di Vermentino e saldo di Trebbiano, con la ormai tipica tecnica dei cosiddetti “vini naturali”: fermentazione spontanea con lieviti indigeni, nessun controllo della temperatura, nessuna filtrazione e chiarifica.

Mi accingo quindi all’assaggio scevro da pregiudizi, la condizione migliore.

al-podere-di-rosa-chiesino-igt-toscano-biancoDenominazione: IGT Toscana
Vino: Chiesino Bianco
Azienda: Podere di Rosa
Anno: 2014
Prezzo: 12 euro

Giallo, di un dorato che già si capisce dove andremo a parare, e il naso conferma i presupposti: la leggera volatile che arricchisce e veicola i profumi di erbe di campo e di camomilla racconta di una leggera ma decisa macerazione.
Per fortuna la volatile è dosata col calibro (anche se per qualche purista sarà certamente al limite dell’accettabile,  di certo non trapana il naso) e serve solo come coadiuvante degli altri aromi; a me, ogni tanto, un vino con queste caratteristiche non spiace: basta sapere prima a cosa si va incontro e passa la paura.

in bocca ricorda la frutta leggermente acerba ma è garbato, con corpo semplice (non esile), discrete freschezza e sapidità e alcol poco avvertibile. Anche in questa fase, si capisce che ha macerato, ma è altrettanto chiaro che il produttore ha usato la mano leggera: non c’è tannino e, vivaddio, neppure quella pesantezza di bevuta che talvolta marca troppo nettamente i vini che fanno uso di questa tecnica.

Bottiglia semplice ma non banale e dal sorso facile, che consente un buon abbinamento con cibi saporiti: con me ha funzionato bene accompagnando ravioli di gorgonzola e pera.

Attenzione, perché immagino a causa dell’uso limitato di solforosa o chissà per quale altro motivo, il giorno successivo la bottiglia cambia nettamente carattere, alzando i toni e sviluppando in fretta sentori ossidativi non sgradevoli ma piuttosto evidenti.

Il bello: bevuta coinvolgente e saporita

Il meno bello: volatile un po’ al limite

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Live Wine Milano 2016

E’ con colpevole ritardo che scrivo e pubblico qualche riga su Live Wine; era la mia prima alla manifestazione milanese e devo dire di essere rimasto stupito dalla professionalità della organizzazione: tutto di alto livello, dal numero e dalla qualità dei produttori, proseguendo con la sede spaziosissima e luminosa, con i tanti eventi a corollario (ad esempio le degustazioni guidate), gli ottimi banchi gastronomici, il libricino con la mappa dei partecipanti, l’area riservata per la stampa, eccetera.
Ho presenziato tutto il sabato pomeriggio e, nonostante il notevole afflusso di visitatori, ancora verso le 18 c’era possibilità di degustare in maniera decente. Complimenti sinceri all’organizzazione: faccio un nodo al fazzoletto virtuale per ricordarmi di partecipare il prossimo anno e consiglierò altrettanto a chi mi conosce.

Live WinePer il resto: davvero tanti i produttori presenti nonostante che il maltempo improvviso (con tanto di nevicate) abbia reso difficoltoso il transito ad esempio dalla Francia all’Italia e aggiungo che forse per la prima volta ho apprezzato anche gli stand dei distributori presenti: sarà un caso ma perlomeno a quelli da cui mi sono fermato mi hanno servito persone che conoscevano bene i prodotti proposti e non hanno fatto rimpiangere l’assenza dei produttori, anzi è stata l’occasione di fare assaggi di vini di tipologie molto diverse, magari estemporanei ma divertenti.

Devo proprio fare i nomi di qualche produttore o vino che mi ha colpito? Gli elenchi mi annoiano e appunto li trovo riduttivi nell’economia di una manifestazione così riuscita, ma vabbè, mi limito a qualche appunto sparso con note veloci.
Dopo lunga (mia) assenza torno ad assaggiare Podversic e non posso non annotare la vitalità e la simpatia dell’uomo, che rispondeva sempre disponibilissimo e con un sorriso a tutta la folla che lo accerchiava. I vini? Tra i pochi a saper macerare in modo da mantenere facilità di bevuta e identità di vitigno e territorio (e scusate se ho scritto un termine stra-abusato e poco significativo, “territorio”).

Il Cannonau non è sicuramente uno dei vini del mio cuore, ma se capita quello di Montisci non posso fare a meno di godermelo.Live Wine

Continuo a non familiarizzare con i vini di Pepe, perlomeno con i bianchi: il Trebbiano che mi è stato servito secondo me non era del tutto a posto, ma la persona al banco mi ha confermato che era proprio lui… boh, ne deduco sia colpa mia. Ritenterò.

Il Camerlengo lo avevo assaggiato anni fa, poi non mi era più capitata l’occasione, e mi si conferma un vinone nel senso migliore del termine: pieno, caldissimo, succoso, robusto ma bevibile. Devo tentare una bottiglia a pasto invece che un semplice assaggio per capire se non sia “troppo”.

I bicchieri serviti da Corte Sant’Alda mi fanno ricordare come mi piacciono i vini della Valpolicella e come troppo poco li frequenti.

Mi sono piaciuti molto i vini Alsaziani di Geschickt, magari troppe tipologie per analizzarle a fondo in cinque minuti, ma i Riesling erano ben fatti e tipici, freschi, sapidi, capaci di invecchiamento. Più semplice ma ben godibile il Cremant.

Per chiudere, mi piace spendere qualche secondo per Chateau Tour Blanc, produttore da una zona, l’Armagnac, nota per altri liquidi alcolici piuttosto che per i vini. E’ stata una bella sorpresa assaggiare una batteria di bottiglie di millesimi e di parcelle diverse, tutte da un vitigno poco considerato (l’Ugni Blanc, il nostrano Trebbiano) e tutte di notevole interesse e, mi pare di aver capito, prezzate in maniera decisamente abbordabile.

Ancora complimenti all’organizzazione. Ci vediamo l’anno prossimo!

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L’accoglienza eno-turistica nel Nord Piemonte

E’ banale dirlo, ma nell’immaginario onirico dell’enostrippato medio le varie denominazioni del Nord Piemonte (Carema, Ghemme, Gattinara, Boca, eccetera) vengono ben dopo i grandi miti (Barolo, Barbaresco).
E’ un peccato, visto che capita di assaggiare prodotti provenienti da quelle zone che, con le loro caratteristiche precipue, poco o nulla hanno da invidiare alla media delle bottiglie langhette, anzi, hanno dalla loro il bonus di un prezzo spesso ben più vantaggioso.

Perché si sia arrivati a questa situazione sarebbe materia di discussioni lunghe, complesse e certo oltre le mie capacità di analisi, ma di certo il Nord Piemonte ha ancora tanto da dare: la qualità è invidiabile e gli ettari vitati sono assai ridotti rispetto al passato, quindi c’è ampio margine di crescita. Naturalmente per crescere è necessario promuovere vini e territorio e, fatto salvo che un singolo caso non può fare statistica, la mia esperienza recente in questo senso è stata disastrosa.

La faccio breve: affascinato da alcune letture e troppo pochi assaggi, decido di regalarmi un weekend in zona Ghemme – Gattinara.
Telefono per tempo ad A*******, (di cui avevo bevuto uno straordinario O**********) per concordare una visita, e la conversazione è desolante:
Io: “Buongiorno, sono un appassionato, sabato sarò in zona e volevo sapere se è possibile una visita alla cantina e magari comperare qualche bottiglia”
Voce al Telefono (d’ora in poi VaT), estremamente scoglionata: “Le dico subito che durante le visite non facciamo assaggiare i cru, al limite l’assemblaggio”
Io: “Ok, non importa, possiamo concordare una visita?”
VaT: “Ma non abbiamo neppure l’assemblaggio, non vendiamo, abbiamo finito tutto”
Io: “Ok, non importa, possiamo concordare una visita?”
VaT: “Eh, ma oggi siamo in negozio(???), la cantina è chiusa”
Io: “Come le dicevo, sarò in zona sabato”
VaT: “Eh, ma è troppo tardi, siamo chiusi”
Io: “Va bene, ho capito”
CLICK

Altra telefonata, stavolta ad A**********: una gentile signorina prende la mia prenotazione e mi fa lasciare un numero di cellulare per ogni evenienza.
Sabato mattina ho appuntamento alle 10 ma nevica con una certa insistenza e spostarsi con l’auto è difficoltoso, quindi chiamo in azienda per avvertire che ritarderò di circa 20 minuti; un signore, credo il titolare, mi risponde che non è un problema e che approfitta per fare una commissione.
Arrivo davanti all’azienda: è tutto chiuso e il telefono squilla a vuoto. Attendo per circa 30 minuti sotto la neve e provo a richiamare almeno tre volte, poi alle 11,visto che la nevicata sembra peggiorare e temo di restare bloccato mi arrendo e me ne vado. Riceverò una telefonata di spiegazioni solo verso le 11.45. Pare che il titolare non abbia sentito il telefono…

Casi sfortunati? Possibile, probabile, ma due eventi negativi su due tentativi sono una statistica poco incoraggiante; tenetene conto se avete intenzione di fare enoturismo in questa zona.

[I nomi dei produttori coinvolti sono stati omessi onde evitare spiacevoli discussioni]

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Champagne Brut Grand Cru Millesime 2009, Camille Saves

Altra bottiglia di un produttore dal quale fino ad oggi ho sempre ricevuto buone impressioni qualitative, con il bonus di prezzi sempre civilissimi.
Ricordo che l’azienda possiede 10 ettari nella zona della Montagna di Reims, quindi particolarmente vocati per il pinot nero, a Bouzy, Ambonnay e Tours sur Marne (tutti classificati Grand Cru) e a Tauxières (Premier Cru) sè. La produzione è piccola e si aggira sulle 85.000 bottiglie.

L’etichetta sembra di quelle di prestigio: è un Grand Cru formato da Pinot Nero all’80% e Chardonnay al 20% dalla vendemmia 2009. Vinificazione e fermentazione in acciaio inox,  malolattica non svolta, ben 5 anni di affinamento sui lieviti e disaggio di 8 g/l.

champagne-camille-saves-millesime-2009-brut-gcDenominazione: Champagne
Vino: Champagne Brut Grand Cru Millesime 2009
Azienda: Camille Saves
Anno: 2009
Prezzo: 25 euro

Il bicchiere è piuttosto curioso, se il colore è il solito bel paglierino carico, la bolla sembra invece stranamente un po grossolana, peraltro già la prima sniffata mette tutto a posto: potente, floreale e ricco di agrume (l’ananas in particolare), magari non particolarmente complesso ma godibilissimo.

La paventata rozzezza della carbonica in bocca non si sente, e il sorso è pieno, grasso non di mollezze e vaniglia ma di gusto fruttato e di robustezza che sembra crescere col passare dei minuti. Notevole l’acidità, che regala una decisa scossa al palato, per nulla appiattita da un dosaggio inavvertibile; la materia importante è ben equilibrata dalla freschezza e da un discreto allungo.

Non è un fuoriclasse, non ne ha la profondità, ma è certamente un campioncino di bevibilità: funziona bene prima e durante i pasti, a patto di abbinarlo a preparazioni non troppo strutturate.

Il bello: ricco, si beve bene

Il meno bello: manca un po di complessità

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Brut Cascina Clarabella

Col passare degli anni mi sono leggermente allontanato dal fenomeno Franciacorta, sia chiaro non certo per motivi di snobismo visto che provo grande ammirazione per l’operosità dei produttori e le attività di un Consorzio del quale si legge tutto e il contrario, ma che agli occhi dell’appassionato si muove con passo ben diverso rispetto ad analoghe istituzioni di altre zone.

Poco da dire anche sulla qualità: oltre alle ben note punte di eccellenza, a mia esperienza non risulta nulla meno che dignitoso; trovo semmai un certo appiattimento nella fascia media, una generica mancanza di identità, a fronte di prezzi non propriamente contenuti; forse per questo motivo la mia voglia di bolle negli ultimi tempi è stata soddisfatta un po’ meno dai bresciani e un po’ di più da francesi, da trentini, oltrepadani e piemontesi.

E’ quindi con piacere che sono tornato a comperare un vino che mi aveva accompagnato nei primi passi della mia carriera da “alcolista non professionista”, il Brut di Cascina Clarabella, azienda situata tra Corte Franca e Iseo, che oltre alla produzione vinicola si occupa di altre attività (agriturismo, alloggi, fattoria didattica eccetera) e soprattutto intraprende, come recita il sito, con il fine di “promuovere percorsi di cura ed assistenza e di sviluppare attività produttive per la creazione di opportunità lavorative per persone con disagio psichico”.

franciacorta-brut-docg-cascina-clarabella-75-clDenominazione: Franciacorta DOCG
Vino: Brut
Azienda: Cascina Clarabella
Anno: –
Prezzo: 16 euro

Il vino in questione è composto di un assemblaggio di Chardonnay al 95% e Pinot nero al 5%; la fermentazione avviene in acciaio inox per l’85% e per il 15% in barriques, segue poi l’affinamento a contatto con i lieviti che varia dai 20 ai 28 mesi.

Nel bicchiere è canonicamente perfetto alla vista, con un paglierino luminoso e perlage fitto e sottilissimo. L’olfattivo è sottile: principalmente agrumi e un ricordo floreale.
All’assaggio è morbido: le bolle accarezzano e la acidità è corretta ma un po’ mortificata da un dosaggio che forse potrebbe essere più leggero. Chiude il sorso un tocco di tostato, forse retaggio della piccola quota di vino passato in barrique. Buona lunghezza.

Vino del tutto esente da difetti, certo piacevole come aperitivo, ma che mi piacerebbe ritrovare con una anima più decisa e coraggiosa, in sostanza una verticalità meno arrotondata dal dosaggio.

Il bello: prezzo educato, vino piacevole
Il meno bello: leggero eccesso di morbidezza

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Brut Millesimato 2009, Monsupello

Torricella Verzate, Oltrepò Pavese: è qui che la famiglia Boiatti conduce i 55 ettari dell’azienda Monsupello, uno dei nomi storici del vino italiano, e una delle eccellenze della sua spumantistica.

Nella mia testa Monsupello occupa la stessa casellina in cui ho collocato Haderburg: il metodo classico italiano a prezzi civili che magari non arriva ai livelli monumentali di certi mostri storici d’oltralpe ma neppure delude mai, insomma il lido cui approdare quando si è in cerca di sicurezze piuttosto che di avventure, e se ogni tanto mi capita di assaggiare il Brut “base”, ammetto che da un bel po’ di tempo mancavo l’appuntamento con il millesimato, in questo caso targato vendemmia 2009, quindi una volta avvistatolo non potevo non portarlo a casa.

Bottiglia dalla etichetta sobria e vagamente retrò, e vino a base pinot nero (90%), con piccolo saldo di chardonnay. La metodologia di produzione dichiarata è quella dell’uso di mosto fiore, fermentato e affinato in acciaio; da qui l’assemblaggio dei vini e il tiraggio con la aggiunta di altro vino, zucchero e lieviti, l’imbottigliamento e il riposo sui lieviti per almeno 55 mesi. Si termina con la sboccatura e l’aggiunta del liqueur di spedizione.

monsupelloDenominazione: VSQ
Vino: Brut Millesimato
Azienda: Monsupello
Anno: 2009
Prezzo: 25 euro

Il bicchiere presenta un liquido paglierino carico con riflessi dorati e una bolla da manuale: finezza e copiosità di questo tipo le ho viste raramente, e la sensazione in bocca risulterà di conseguenza estremamente carezzevole.
L’olfattivo è in linea: delicatissimo di floreale bianco e frutta acerba. Molto aggraziato.

L’assaggio segna un ingresso succosissimo che prelude al resto del sorso sempre molto pieno, ricco di agrume e con accenni lievitosi. Bella freschezza ma soprattutto grande salinità, il tutto in ottimo equilibrio con l’alcol.
Non ho notizie del dosaggio, ma una certa morbidezza mi lascia pensare che non sia proprio leggerissimo, ma in ogni caso non si raggiungono livelli gustativamente eccessivi.
Corpo e lunghezza sono per nulla banali, e se un difetto proprio lo vogliamo trovare occorre cercarlo semmai in un finale lievemente amarognolo che stona un po’ nel contesto di grande eleganza del resto del vino.

Bottiglia certamente da pasto, e da abbinare a qualcosa di più robusto del classico antipasto di pesce, magari un bel risotto di mare o anche a carni bianche.

Il bello: naso fine e sorso succoso, bel corpo
Il meno bello: finale lievemente amarognolo

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