Il Collio (ma anche Isonzo e Carso). Parte prima: l’ospitalità di Roberto Picech

picech

Picech

Basta osservare la forma della cantina, un perfetto quarto di cerchio, per capire qualcosa della personalità di Roberto Picech e di conseguenza anche dei suoi vini.
L’architetto cui si era rivolto al momento della costruzione gli aveva proposto un cubo o una grande “L” che abbracciasse l’aiuola dinanzi alla costruzione, ma a Roberto entrambe le idee sembravano scontate, così si è fatto venire in mente questa stranezza, coreografica, non pacchiana, comunque funzionale. Poi, per buon peso, Roberto ne ha anche costruito buona parte del tetto con le sue mani!
Quanto sopra me lo ha raccontato lui, con una piccola punta di orgoglio condita da vari attestati di modestia, come se tutto ciò fosse roba quotidiana.
Geniale e razionale, estro e applicazione.

Picech

Di Picech avevo già scritto dopo averlo incontrato dalle mie parti, e in quella occasione, oltre ad averne apprezzato i vini, avevo avuto modo di gradire il suo garbo e la sua comunicatività. Per questo, quando ho voluto trascorrere qualche giorno in Friuli, non ho avuto dubbi e ho deciso di far base a Cormons, prenotando una camera presso la sua struttura, una splendida casa di campagna immersa nel silenzio dei vigneti e ristrutturata in maniera encomiabile per cura dei dettagli, ampiezza degli spazi e sobria eleganza.

PicechPicechLa camera che ho scelto è situata nella torretta che sovrasta la struttura ed è in realtà un vero e proprio appartamento: si sviluppa su due piani (sotto ingresso, bagno e armadio; sopra la zona letto vera e propria),  e gode di una vista mozzafiato sulle colline grazie alle grandi vetrate disposte su tutte e quattro le pareti e ad un bel terrazzino.

A completamento dell’accoglienza, non posso non citare la Vespa gialla, messa a disposizione degli ospiti per

Vespa

esplorare il territorio in pieno contatto con la natura, e soprattutto la sontuosa colazione, ricchissima di prodotti di grande qualità: oltre ai consueti cereali, frutta e yogurt, vengono offerti il prosciutto di D’Osvaldo, vari formaggi artigianali, marmellate fatte in casa e uno dei migliori strudel mai assaggiati.

La visita della cantina, gli assaggi e una lunga chiacchierata con Roberto, sono stati l’occasione per una piccola confessione, il suo non amore per la ribolla, che difatti usa solo in blend, e per ribadire la sua filosofia di vinificazione: vini di carattere prodotti con naturalità (no ai lieviti selezionati e al controllo delle temperature, minimo uso di solforosa), 

picechsenza estremismi (leggi: senza ricorrere alle lunghe macerazioni, usate con frequenza in zona), sempre piacevolissimi, ricchi di mineralità e sapidità, adatti al lungo invecchiamento ma godibili fin da subito.

picechNessuna nota di degustazione particolare, non ho scoperto nulla che non conoscessi già, ma ho ritrovato sempre notevole lo Jelka, e personalmente continuo ad avere un debole per l’Athena, però prodotto solo in magum e in numero limitato di bottiglie…

[Prosegue qui…]

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Bersi Serlini: una giornata particolare

Bersi Serlini

Capita talvolta che l’essere appassionato di questo strano mondo del vino riservi sorprese e curiosità.
Bersi SerliniIl prologo: lo scorso mese ricevo un cortese invito da Bersi Serlini per partecipare al Festival Franciacorta, roba che per un malato di bollicine come il sottoscritto è come scodellare un vasetto di miele davanti a un orso appena risvegliato dal letargo, ma purtroppo a causa di un precedente impegno devo declinare.

Prima sorpresa: mi dicono che non c’è problema e che possiamo concordare un’altra data; beh, lo scorso week-end era “l’altra data”, e quanto segue è la cronaca di un appuntamento che si è rivelato ben diverso da quanto avevo immaginato.

Bersi Serlini

L’antefatto: ero già stato in Franciacorta e ne avevo ricavato impressioni contrastanti; il territorio non mi era sembrato entusiasmante dal punto di vista paesaggistico e, al giudizio sommario di un profano, forse in alcuni casi non del tutto ideale per la viticultura di altissima qualità.

D’altro canto avevo recepito netta l’idea di una zona gestita da produttori alacri, fattivi, sempre estremamente professionali, e infatti il miracolo Franciacorta (una zona vinicola che dal sostanziale anonimato raggiunge l’assoluto protagonismo in Italia e nel mondo nel breve volgere di circa 40 anni) non nasce certo per caso, ma grazie a notevolissimi sforzi imprenditoriali, credo unici in Italia per il settore specifico.

Bersi Serlini

Visitando aziende di varie dimensioni, avevo anche notato in molti casi (non tutti,ovviamente) una certa propensione al lusso, allo sfarzo, alla grandeur un po’ “Milano da bere” che, se ovviamente ben si adatta al marketing internazionale, poco si accorda con la ventata di attenzione alla territorialità e naturalità che soffia attualmente tra gli appassionati.

E, non da ultimo, ammetto di avere a volte qualche riserva sul rapporto qualità-prezzo dei prodotti Franciacorta di fascia base e media, quelli che poi sono destinati alla gran parte di noi comuni mortali.

Bersi Serlini

Date queste premesse, e non conoscendo nulla di Bersi Serlini (che nelle enoteche della mia zona non è attualmente reperibile) se non per quanto riportato da un sito internet francamente demodé e poco ricco di informazioni (ma mi dicono sia in dirittura d’arrivo una ristrutturazione totale), e non lo nascondo, temendo vagamente che il doppio cognome fosse foriero di pretenziose ostentazioni di quarti Bersi Serlininobiliari, mi sono avvicinato a Provaglio d’Iseo con un certo scetticismo: normalmente chiedo appuntamenti ad aziende ben più piccole, sperando di avere un contatto reale con il produttore e potendo quindi dare un senso alla visita, non riducendola ad un banale tour tra i fermentatori condito da assaggi e sputacchiate.

Bersi Serlini

Come scrivevo all’inizio, a volte le sorprese accadono e magari anche più di una nella stessa giornata; la prima è che al mio arrivo ho trascorso diverse ore non con un addetto alla comunicazione, ma direttamente con la disponibilissima patron, Chiara Bersi Serlini, che si è rivelata persona semplice e alla mano, oltre che visibilmente appassionata del suo lavoro ed estremamente comunicativa.

Bersi Serlini

 

Chiara ha fatto iniziare la visita con un inusuale quanto piacevole sopralluogo dei 30 ettari di vigne a bordo di una auto elettrica, e subito ho avuto la seconda sorpresa: i filari che circondano la cantina lambiscono la riserva naturale Torbiere, una sorta di affascinante propaggine del lago d’Iseo ricca di fauna, piacevolmente selvaggia e silenziosa.

Abbiamo proseguito visitando il complesso antistante la cantina, articolato sulla base di una costruzione vecchia di mille anni, valorizzata da una sapiente illuminazione e recentemente ristrutturata e adibita a foresteria e salone per ricevimenti e congressi.

Bersi Serlini

Bersi Serlini

La cantina, molto di impatto come facilmente immaginabile, per fortuna non tradisce eccessive velleità coreografiche; il processo di vinificazione è tradizionale: raccolta manuale delle uve (principalmente Chardonnay, ma anche Pinot bianco e Pinot nero) in piccole cassette e rapido trasporto in cantina, facilitati dalla adiacenza delle vigne.

Bersi SerliniPoi pressatura soffice, temperature controllate e lieviti selezionati, solforosa in dosi minime, in molti casi passaggio in botte piccola e quindi imbottigliamento. Curiosamente, visto il numero di bottiglie prodotte, il remuage è manuale.Bersi Serlini

 

Gli assaggi sono stati un esempio da manuale di quello che ogni appassionato vorrebbe trovare in queste occasioni: le bottiglie sono state stappate tutte appositamente per me, servite e commentate dalla titolare della azienda, e accompagnate con taglieri colmi di ottimi affettati, parmigiano e grissini! Davvero impossibile chiedere di meglio.
Bersi SerliniChi mi segue sa che non sono troppo amico delle descrizioni immaginifiche applicate alla degustazione, e che, per quanto mi diverta nelle occasioni di assaggio seriale, ho grossi dubbi sulla validità e replicabilità delle informazioni che se ne traggono, e che per questo mi limito a qualche impressione su quello che mi colpisce maggiormente, senza la pretesa di avere giudizi oggettivi da spendere.
In generale mi è parso di riuscire a cogliere una filosofia aziendale riconoscibile in tutta la linea di prodotto: grande classicità di gusto, pulizia ed equilibrio millimetrico dei vini, senza eccessi di morbidezza da dosaggio o acidità sparate a mille, uso della botte piccola praticamente inavvertibile, sentori di panificazione tipici della permanenza sui lieviti estremamente delicati, e soprattutto assenza di finale amarognolo pronunciato, che è una delle caratteristiche che meno amo nei metodo classico, in quanto trovo si rinforzi con la durezza delle bollicine e spesso sfoci in un risultato poco piacevole.

Trascrivo qualche appunto preso in diretta durante gli assaggi:

  • Brut 50 Anniversario:
    100% Chardonnay, 24 mesi sui lieviti. Paglierino verdolino, perlage finissimo, fragrante, al naso nettissima mela verde.
    Semplice e fresco, valida alternativa ad un banale charmat come aperitivo
  • Satèn:
    Chardonnay 100%, 30 mesi sui lieviti. Paglierino, perlage leggermente più grande rispetto al precedente. Mi ha colpito per assenza di ruffianerie a volte tipiche dello stile. Intenso, ricco, frutta matura e leggero anice.
    Davvero piacevole.
  • Brut Cuvée 4, 2008:
    Chardonnay 100% dai 4 vigneti più vecchi, 48 mesi sui lieviti. Giallo dorato, bolla estremamente fine, molto morbida in bocca, naso molto intenso e complesso, fiori bianchi, leggera speziatura, frutta matura.
    Già così molto interessante, voglio risentirlo tendolo con calma nel bicchiere: mi sembrava evolversi in maniera notevole
  • Brut:
    80% Chardonnay, 20% Pinot bianco, 20 mesi sui lieviti. Paglierino verdolino, bolla fine e continua, naso abbastanza intenso e piacevole, floreale.
    Forse il vino che mi ha colpito meno
  • Extra Brut Riserva 2004:
    Chardonnay 70%, Pinot bianco 30%, 84 mesi sui lieviti. Paglierino carico, bolla copiosa e continua, fine. Olfattivo inizialmente troppo lieve, occorre attendere qualche  minuto per ottenere ricchezza di panificazione e frutta secca. Bocca straordinariamente piena, intensa, lunga.
    Il vino che ho sicuramente preferito.
  • Brut Cuvée Rosé:
    Chardonnay 70%, Pinot nero 30%, 24 mesi sui lieviti. Colore rosa timido, bolla fine, olfattivamente robusto, si distingue netto il Pinot nero. Di buona potenza in bocca, forse un po’ monocorde. Un buon prodotto non del tutto compiuto: forse un affinamento più prolungato potrebbe regalare maggiore complessità?

Bersi SerliniHo colpevolmente saltato il Demi Sec, che peraltro mi era stato lasciato in fresco in camera per assaggiarlo dopo la cena, ma francamente dopo aver bevuto anche a pasto (consumato presso l’Hostaria Uva Rara di Monticelli Brusati, magari ne parlerò in un altro post) lo avrei aperto per berne solo un sorso e mi sembrava davvero uno spreco!

In conclusione, ho scoperto una Franciacorta diversa, paesaggisticamente più gradevole e naturale, e una azienda condotta con grande umanità ma altrettanta ambizione (posso solo immaginare lo sforzo legato alla comunicazione, se la gentilissima Chiara si è prodigata così tanto con me, signor nessuno), direi giustificata da una gamma di prodotti che ho trovato ben fatti con alcune punte di eccellenza. Non guasta il fatto che il listino prezzi mi sembra del tutto adeguato alla qualità, e compatibile con le mie tasche di consumatore medio.

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Haderburg Pas Dosé, 2009

haderburg

Ho già parlato di Haderburg, ma ho piacere a ribadire che si tratta di un nome sicuro per quanto riguarda la spumantistica italiana d’eccellenza; per saperne di più sulla azienda rimando alle mie note riguardanti il Brut base e al sito del produttore.

Stavolta mi approccio al Pas Dosé, una tipologia non facile, sicuramente di nicchia ma che da qualche tempo gode di buon favore nelle cerchie degli appassionati più hardcore (si può far riferimento a questo post per un veloce ripasso sui dosaggi e la relativa classificazione).
Personalmente, forse anche per questioni territoriali e climatiche, apprezzo decisamente la assenza di dosaggio in molti metodo classico italiani, più che francesi.

haderburgDenominazione: Alto Adige DOC
Vino: Pas Dosé
Azienda: Haderburg
Anno: 2009
Prezzo: 25 euro

Al sodo: si tratta di un millesimato, prodotto con 85 % chardonnay e 15 % pinot nero, affinamento in acciaio e rovere, 36 mesi sui lieviti, assenza di fermentazione malolattica e appena 2 grammi per litro di dosaggio zuccherino.

Colore paglierino brillante, bolla non troppo copiosa ma fine e ben continua. Olfattivo tenue, delicato di agrume, mela verde, erba e lievito.

Come facilmente intuibile parte secchissimo, citrino, con bella freschezza, ma pur essendo un pas dosé non è una lama acida, al contrario c’è equilibrio. Sicuramente lascia bocca pulitissima, senza stucchevolezza.
Buone struttura e corpo, il sorso è bello pieno.

Il bello: dritto, fresco, pulito. Prezzo accessibile
Il meno bello: naso non particolarmente intenso

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Percoranera 2004, Tenuta Grillo

Si dirada il caldo estivo, finalmente torna la voglia di vino rosso e possiamo riprendere gli assaggi dei prodotti di Tenuta Grillo.
Se le puntate precedenti avevano riguardato il Tornasole e Baccabianca, oggi è il turno del Pecoranera, un blend di Freisa (principalmente), Dolcetto, Barbera e Merlot, vinificato con la consueta metodologia aziendale: lieviti autoctoni, lunghe macerazioni, nessuna filtrazione.

Tenuta-Grillo-Pecoranera-280x280Denominazione: Monferrato DOC
Vino: Pecoranera
Azienda: Tenuta Grillo
Anno: 2004
Prezzo: 16 euro

Subito si rivela di aspetto invitante: rubino pieno, intenso, ben vivo e luminoso.
Al primo giorno naso esce prepotente un fruttone rosso maturo, accompagnato da leggeri etereo, alcol e smalto, che si mostrano un pochino invadenti. C’è un accenno puzzetta (riduzione?).

La bocca è calda, con ingresso peno che prosegue corposo, e una bella freschezza acida coerente col colore: difficile pensare di trovarsi di fronte ad un millesimo 2004.
Il tannino c’è, ma è un po’ sfocato, confuso, polveroso. Discreta la lunghezza.

Memore di quando avvenuto con gli altri vini di Tenuta Grillo, lascio da parte mezza bottiglia per proseguire gli assaggi il secondo giorno: l’olfattivo è nettamente migliorato, è del tutto scomparsa la puzzetta ed è praticamente inavvertibile l’etereo; resta un bel frutto maturo con un accenno balsamico. Non si modifica invece la percezione del tannino.

Una bottiglia interessante, magari non particolarmente complessa ma sicuramente piacevole e probabilmente adatta ad un ulteriore invecchiamento. Alla luce dell’assaggio, non ho dubbi nel consigliare l’apertura il giorno precedente o comunque molte ore prima della bevuta.

Il bello: facilità di bevuta, prezzo interessantissimo dato l’invecchiamento
Il meno bello: la necessità di stappare con molto anticipo

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Antares 2010, Cantina Toblino

antares

Si dice spesso che le cantine sociali in Tentino Alto Adige siano una eccezione rispetto a quelle di gran parte del panorama vinicolo italiano, nel senso che sfornano prodotti a prezzi ragionevoli, mantenendo standard qualitativi di ottimo livello.

Ne ho avuto conferma stappando questo Antares, metodo classico di Cantina Toblino, che ho potuto indirettamente comparare con un analogo prodotto della Cooperativa Tre Secoli di Mombaruzzo, bevuto qualche giorno prima.
Il confronto è stato davvero impietoso: del primo leggete qui sotto, mentre del secondo mi limito a segnalare la piattezza gusto-olfattiva e il prezzo (8 euro).

antaresDenominazione: Trento DOC
Vino: Antares
Azienda: Cantina Toblino
Anno: 2010
Prezzo: 12 euro

Mi avvicino con un certo scetticismo: infondo si tratta di un metodo classico con 36 mesi di affinamento sui lieviti, per giunta millesimato, proposto a 12 euro!
Contribuisce alla diffidenza l’orrenda etichetta, che mi ricorda nettamente quelle appiccicate sulle bottiglie delle confezioni panettone-spumante da autogrill anni ottanta… Dai ragazzi, io sono tutto fuorché un fissato della grafica, ma credo non sia difficile fare di meglio…

Il vino è uno chardonnay in purezza, paglierino con accenni verdolini, dalla bolla non copiosa ma continua e vellutata.
L’olfattivo è fresco, floreale, con qualche accenno di fieno, anice e una lontana crosta di pane; semplice ma piacevolmente delicato.

L’ingresso in bocca, che mi aspettavo timido, è in realtà pieno e di una certa struttura, acidità e sapidità sono ben calibrate; proseguendo, il sorso risulta un po’ troppo morbido per i miei gusti (ma per nulla stucchevole): è pur sempre una bolla “primo prezzo” che deve piacere a tutti!
Lunghezza non esaltante, ma non possiamo chiedere troppa grazia.

Ottimo rapporto qualità prezzo, una dignitosissima interpretazione di vino base da servire in tutta tranquillità e piacevolezza con aperitivi e primi piatti di mare.

Il bello: il prezzo, la semplice piacevolezza
Il meno bello: lunghezza e complessità limitate

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Il mostro di formaggio: Cheese 2013

cheese1Guardate questa foto, vi prego. Questo è uno dei mercati di Cheese, ripreso domenica mattina alle 10.40 circa; ovviamente la folla sarebbe andata ad aumentare per tutto il giorno, perlomeno fino alle 16 e 30, quando, stremato, ho desistito e mi sono incamminato verso l’auto.

Li dico subito: non sono socio Slow Food e non ho certo la saggezza per suggerire alcunché a Petrini o ai suoi luogotenenti, ma sinceramente credo che sia venuto il tempo di ripensare queste manifestazioni-monstre: è pacifico che a tutti noi piace entrare nel Paese dei Balocchi per un giorno all’anno (o ogni due anni, come in questo caso), ma ormai abbiamo oltrepassato il livello del turismo di massa, siamo agli autobus che scaricano frotte di varia umanità condita da gelato e fotocamera compatta davanti al Vaticano, o ai 23 Km di coda in automobile il fine settimana per arrivare in una spiaggia con i lettini accatastati in spalla gli uni agli altri…

Non è questione di snobismo: in mezzo a questa folla di malcapitati, a sgomitare per una briciola di formaggio della Macedonia o per un cucchiaino di yogurt africano c’ero anche io, e non certo per la prima volta… Io sono colpevole tanto quanto tutte le altre migliaia di bipedi vocianti e sudati presenti.

Il punto è che inizio a chiedermi che senso abbia tutto questo circo (a parte ovviamente il godere del Paese dei Balocchi di cui sopra), quando ti rendi conto che, pur con tutta la buona volontà, non potrai scambiare una parola con i produttori, non riuscirai a leggere una riga dei cartelli accanto agli stand, non avrai modo di camminare tranquillamente e di fermarti ad annusare senza rompere le scatole ad altre venti persone che attendono dietro le tue spalle…
Inizio a chiedermi perché ad ogni manifestazione di SF ci debbano essere gli stand della piadina romagnola, delle olive ascolane, della farinata genovese eccetera eccetera, via col giro d’Italia.
Soprattutto, ora che il cibo è tornato ad acquisire dignità e centralità e che il concetto dei presidi è ben noto, mi chiedo se il famoso slogan del “Buono, pulito e giusto” non faccia fatica ad armonizzarsi con i formaggi paracadutati qui da mezzo mondo, con le migliaia di auto parcheggiate sotto la collinetta di Bra e lungo la strada, con gli autobus che fanno saliscendi continuato, con i bar che ormai hanno capito l’antifona e hanno messo pure loro il banchetto all’aperto, proponendo birra e gelato industriali ai visitatori meno accorti, con la gente che si spintona per un piatto di qualsiasi cosa e lo mangia in piedi o seduta in terra, accanto all’onnipresente logo “Slow”.
Certo, i contrasti sono il sale della vita, ma vedere dei tizi che arrotolano spaghetti alle vongole seduti ai tavolini di un bar di Bra (Cuneo, Piemonte) durante lo weekend di Cheese, ha qualcosa di surreale….

Immagino che per SF manifestazioni come questa siano una ottima fonte di marketing e di reddito (libri venduti, laboratori, espositori paganti), così come sono certo che per la cittadina di Bra un evento simile valga più dell’oro, e che quindi sia ben difficile trovare il coraggio di metter mano al carrozzone per ridimensionarlo, però ritengo che sarebbe un bel segnale di coerenza e un salto di qualità notevole da parte della associazione.
Immagino non più un unico Cheese-monstre ogni due anni, ma tanti piccoli Cheese basati sulle realtà locali (e magari alcuni, pochi, selezionati prodotti ospiti, scelti sulla base di affinità), con eventi magari solo a prenotazione e a pagamento.
Certo, per noi appassionati finirebbe il Paese dei Balocchi in cui nello stesso giorno puoi levarti la voglia di cheddar e caciocavallo, ma forse ci aiuterebbe a crescere, ad essere più consapevoli, e scongiurerebbe la deriva da “sagra della salsiccia con orda di turisti giapponesi”.

cheese2Detto questo, Cheese è sempre una gran figata per la possibilità di assaggiare tutto quello che hai in mente e anche oltre, e l’organizzazione è impeccabile: gli spazi per i dibattiti, i parcheggi ai piedi della città con gli autobus che portano in centro, la moltitudine di isole ecologiche presidiate da ragazzi che ti aiutano a buttare il rifiuto nel contenitore giusto, i laboratori con traduzione istantanea bilingue, il centro informazioni accogliente e cortese, e tanto altro ancora…

Temo che ci rivedremo nel 2015.

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Cosa mi combini, Oscar! E, in appendice, la cena al ristorante “Il Marin”

Per sgomberare il campo da equivoci dichiaro subito che ritengo Natale Farinetti detto Oscar un grande imprenditore, una risorsa per l’Italia, uno che vede lontano (sganciarsi dal settore dell’elettronica di consumo per inserirsi in quello del cibo e delle bevande di alta qualità è forse ovvio oggi ma di certo non lo era quando lo ha fatto lui).

logo-eataly1Ciò detto, ho molte riserve sul piccolo (ma neanche tanto) impero Eataly: a prescindere dallo sfavorevole rapporto qualità/prezzo dei “ristorantini”, non è bellissimo trovare in vendita accanto allo slogan degli “Alti cibi”, sotto il cappello filosofico di “sostenibilità, responsabilità e condivisione” e della “possibilità di offrire a un pubblico ampio cibi di alta qualità a prezzi sostenibili”, prodotti quantomeno discutibili (es. il pesto senza aglio, la birra Peroni, la pasta Barilla sugli scaffali di Eataly New York, tutta la pletora di creme e cremine per viso e corpo vendute a prezzi da strabuzzo degli occhi, eccetera), ma capisco che il supermercato occorre riempirlo e che i margini di profitto abbiano le loro esigenze, quindi non mi scandalizzo di certo.

Vado oltre: pur non piacendomi per nulla, accetto persino il voler spostare l’asticella del (legittimo) marketing sul piano etico, ma quando si arriva a certi eccessi retorici non può non scapparmi una risata.
La prima volta in cui avevo percepito chiaramente l’abbattimento del muro del ridicolo era stata quando Oscar, in combutta con Illy, aveva risolto in pochi decisionisti istanti il problema previdenziale che attanaglia il Belpaese; l’ultima volta nei giorni scorsi, quando ho ricevuto una mail di Eataly.
Apro la mail e mi accoglie una foto di Obama e Putin che si stringono la mano; istanti di smarrimento (“che c’azzeccano i presidenti col supermercato”), poi gli occhi scivolano sull’oggetto del messaggio: “Noi di Eataly vi invitiamo a pranzo” per poi scendere sul delirante testo: “… noi la pensiamo come il Papa: la guerra è sconfitta dell’umanità. Lui giustamente propone il digiuno come preghiera del corpo contro la guerra. Noi di Eataly ammiriamo questo gesto potente che unisce i religiosi di tutto il mondo con i laici che ripudiano la guerra. Vogliamo però aggiungere che il mangiare insieme può rappresentare un altro valore forte, rivolto alla convivialità e al superamento dei conflitti. Ci piace immaginare di poter invitare Putin e Obama ad un pranzo qui da noi, dove di fronte ad ottimo cibo i due possano trovare il modo di parlarsi”.
Sono senza parole! Immagino che al prossimo giro Oscar, per vendermi un vasetto di marmellata, si attrezzi a risolvere la questione palestinese, oppure chissà metta mano al problema  mediorientale per farmi iscrivere ad uno dei suoi corsi di cucina…

A margine, una doverosa appendice sul ristorante “vero” di Eataly Genova, Il Marin.
C’ero stato la prima volta a Febbraio, sono tornato la settimana scorsa, e per quel che mi riguarda in entrambi i casi ho trovato la migliore cucina di Genova, by far.

Certo, restano alcuni limiti strutturali (l’arredamento discutibile, l’ingresso che costringe all’attraversamento del supermercato, i tavoli “di design” senza tovaglie), ma altri sono stati superati (maggiore professionalità al servizio, con una ottima direttrice di sala).
Odio prendere appunti o scattare foto quando ceno, quindi vi beccate qualche ricordo confuso, anche perché non posso aiutarmi con il menu pubblicato sul sito, che non è per nulla aggiornato (dai Oscar! Questo è da correggere immediatamente): pregevole cortesia sia in fase di prenotazione che all’arrivo sulla scelta del tavolo all’esterno o all’interno, encomiabile l’aperitivo realmente offerto e non aggiunto al conto, molto bene i tempi di servizio (io ho preso un menu degustazione da varie portate, chi era con me solo due piatti più dolce, e comunque c’è stata armonia e nessuna attesa eccessiva), bella la presentazione al tavolo del carrello del pescato del giorno.
I piatti che ho apprezzato maggiormente: le acciughe fritte ripiene offerte a inizio pranzo, ottimo l’antipasto di crudi di mare, strepitosi gli spaghettoni alle sarde.

Qualche appunto negativo: servire a Genova una focaccia non perfetta è un vero delitto, e quella dell’altra sera era da galera diretta senza passare per il via, per tenere in fresco la bottiglia sarebbe meglio attenersi alle tradizionali glacette e buttare quelle buste in plastica semirigida che fanno temere il rovesciamento da un momento all’altro, il preantipasto di centrifugato di melone è abbastanza scoordinato e la piccola pasticceria post-dolce decisamente non al livello del resto della cena. Sala un po’ rumorosa.

Ma sono dettagli, in generale le portate sono felici, con cotture chirurgiche, dosi adeguate e impiattamenti perfetti; la carta dei vini è discreta e ha ricarichi umani, il personale cortese e competente, i tavolini sono ben distanziati, la cucina a vista è piacevole e il panorama sul porto è ovviamente meraviglioso.
Da ultimo, ma non per ultimo, il conto non è basso ma del tutto giustificato da quanto raccontato sopra.

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Festival Franciacorta

Di solito succede che vai alle manifestazioni (degustazioni, festival, incontri eccetera) e poi se qualcosa ti ha colpito, in positivo o negativo, scrivi le tue impressioni.
Stavolta non posso fare a meno di spendere qualche riga su di un evento prima che accada e soprattutto sapendo che non potrò presenziare, ma il programma è così ricco e interessante che davvero relegare la sola segnalazione al calendario eventi mi sembra uno spreco.

logo-franciacortaNon ho voglia di andare a controllare e a contare i post, ma chi mi segue ha di certo notato che una parte considerevole dei vini di cui parlo sono spumanti (sì, lo so che non si può più usare la definizione generica di “spumante” ma occorre specificare: metodo classico, charmat, Franciacorta, Trento DOC, Prosecco dei Colli Asolani e via così, passatemi la semplificazione), e quindi si può immaginare come mi dispiaccia non potermi prendere due giorni in libertà (il 28 e il 29 Settembre) per affondare nel mare di bolle del Festival Franciacorta, per il quale avevo ricevuto il cordiale invito di una azienda che non conosco e della quale ho in programma di assaggiare i prodotti quanto prima: Bersi Serlini.

Sono stato in Franciacorta due anni fa circa, ho visitato un paio di cantine, una grande e una più piccola, e ho mangiato in un paio di ristoranti: ho attraversato (purtroppo) velocemente un territorio magari non paesaggisticamente affascinante come possono essere le Langhe o certi colli Toscani, ma di certo ho incontrato persone e aziende cordialissime e soprattutto estremamente professionali e determinate.
Per questo non mi sono stupito più di tanto quando ho visto la incredibile ricchezza del programma del Festival: ci sono ovviamente le degustazioni con cibo in abbinamento, eventi artistici e musicali, incontri e dibattiti con operatori del settore, passeggiate guidate nei vigneti, merende e picnic all’aperto, cene formali e non e molto altro ancora (qui il programma completo).
Trovo molto interessante l’idea dei tour con bus gratuiti: in pratica vari bus sono abbinati ad alcuni percorsi con visita guidata e degustazione in due o tre aziende.

Per chi ne ha la possibilità, direi si tratta di una manifestazione da non perdere.

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La Lune 2009

Per dirla chiara e senza ombra di dubbio: non conoscevo nulla del Domaine de la Sansonniere, di Marc Angeli e di questo La Lune, sapevo solo di voler bere uno Chenin Blanc…

Quello che ho capito sbirciando a destra e a manca, è che Marc Angeli, influenzato dalla sua amicizia con Nicolas Joly, ha rilevato i 12 ettari di questa tenuta nella Loira a fine anni 80, facendone la realizzazione delle sue idee radicali: in pratica il Domaine è quasi autosufficiente sia dal punto di vista energetico che da quello del ciclo produttivo, e i vini sono distribuiti sotto il cappello di Triple A Velier, dunque associati a tutto il corollario bio-naturale proprio della sigla in questione: nessuna aggiunta di solforosa, nessuna chiarifica e filtrazione, nessun diraspamento eccetera.

L’intransigenza di Angeli si evince forse maggiormente facendo notare il volontario declassamento dei suoi prodotti dalla nota AOC Anjou alla ben poco prestigiosa dicitura ‘Vin de Table’, in segno di protesta contro il mancato intervento delle Denominazioni nella riduzione dei pesticidi.
“La Lune” è uno dei suoi vini più noti e discussi, a quanto pare a causa di una certa incostanza di risultati non difficile da immaginare, vista la metodologia di produzione: io ho assaggiato il millesimo 2009.

La LuneDenominazione: Vin de Table
Vino: La Lune
Azienda: Domaine de la Sansonniere
Anno: 2009
Prezzo: 35 euro

Il colore indica chiaramente un vino giovane, l’olfattivo è intenso e completo: c’è tutto, e tutto è cangiante, all’apertura un tocco dolce di miele (poi scomparso), poi dal floreale alla albicocca disidratata, da una leggera pungenza dell’alcol alla frutta macerata.

Entra caldo, decisamente secco, con acidità stellare ma soprattutto sapido; forte, ma dal corpo abbastanza snello, che non riesce a mascherare del tutto i 13 gradi.
Decisamente giovanissimo e pieno di carattere, soprattutto lunghissimo e facile da bere.

Il bello: la grande complessità e la lunghezza
Il meno bello: il prezzo, la reperibilità e, temo, la costanza delle annate

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Ché, stai a rosicà pè Francone tuo?

Franco Ricci

Franco RicciPoi dice che uno si fissa sulle cose, che rimugina, che ‘sta a rosicà (visto che parliamo di Bibenda e AIS Lazio…) ma la verità e che io da quella volta del “Capodanno col botto neanche ci pensavo più all’amicone mio Francone Ricci, ma quando ti arriva la newsletter appunto di Bibenda (cito: “La Rivista nata per rendere più seducenti la cultura e l’immagine del vino, il magazine più esclusivo, la rivista che parla di vino più bella del mondo”), come fai a non ripensare che di tutto questo rutilante sciupio di carta patinata in teoria sei colpevole anche tu, umile associato AIS della profonda provincia italiana che lo splendore della capitale lo hai calpestato solo in gita scolastica?

Quale è la mirabolante novità di casa Bibenda, annunciata in pompa magna? La rivista, cito, “da oggi potrà essere “gustata” anche online! Basterà cliccare sul titolo dell’articolo che vi interessa e sarete immediatamente accompagnati nelle raffinate ambientazioni Bibenda style”.
Accidempoli! (Scusate l’affermazione: volevo adeguarmi alla prosa dandy della rivista del Francone).

Ma questo è niente, i veri pezzi da novanta della comunicazione sono la presentazione di due nuovi servizi: “BIBENDA Ricevimenti d’Autore” e “BIBENDA Grafica”.
L’autrice Paola Simonetti, allineandosi alla modestia che sembra contraddistinguere il Francone, descrive così i due nuovi settori di business di Bibenda: la prima sarà “… la proposta di un servizio catering che rispecchi tutti i criteri di eccellenza che ci hanno caratterizzato fin qui … L’eccellenza dalla a alla zeta, a partire dalla progettazione dell’evento fino alla sua realizzazione, dai luoghi più suggestivi fino ai grandissimi chef d’Italia, i più “desiderabili”, dalla scelta della mise en place ai cristalli e agli addobbi fino ai fuochi d’artificio”, mentre la seconda attiverà “un servizio di grafica, di creatività per i vostri nuovi prodotti o per rinnovare l’immagine di quelli già esistenti, dalle etichette dei vini e degli oli extravergine alla realizzazione di loghi o dell’immagine coordinata, insomma per tutte le vostre esigenze di comunicazione e design”.

Ora, seriamente: se già da prima mi sfuggiva il motivo per cui AIS dovesse legarsi mani e piedi con il business di Francone per far uscire un giornale e una guida, adesso che detta azienda diventa di fatto imprenditrice nel settore non della critica e divulgazione, ma della ristorazione (catering) e della produzione (comunicazione e design), la commistione è francamente inaccettabile.

Ma forse la cosa che più mi scoccia è lo schizofrenico e sfumato avviluppo che impedisce di capire dove finisce l’azienda e inizia la associazione, per cui il provinciale come me fatica a distinguere i contorni di AIS Roma e Lazio da quelli di Bibenda e quindi se da un lato ti becchi il Francone che ti vende i fuochi artificiali, dall’altro sul sito di Bibenda ci sono una sparata di corsi AIS meravigliosi per i quali sì che “stò a rosicà”, visto che non potrò mai frequentarli…

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