Champagne Grand Cru Carte d’Or, Camille Saves

Ancora una bottiglia proveniente dalla cassa acquistata presso L’Etiquette, l’azienda è quella di Camille Saves.
Rubo anche questa volta le note relative al produttore dalla scheda sul sito dell’importatore: “il domaine si estende su circa dieci ettari, impiantati a Pinot Noir nei territori Grand Cru di Bouzy, Ambonnay e Tours-sur-Marne ed a Chardonnay nei territori Grand Cru di Bouzy e 1er Cru di Tauxieres. L’età media delle vigne è di 40 anni” … “la fermentazione si fa in vasche di acciaio termoregolato, non viene svolta la fermentazione malolattica per garantire la freschezza e la ricchezza aromatica dei vini di base, l’affinamento, che tradizionalmente si faceva solo in vasche di acciaio, negli ultimi anni, per le cuvée pregiate, si fa anche in botti di legno”

carte-orAncora una volta si tratta di un Grand Cru, ma stavolta non di uno Chardonnay al 100%, bensì di un blend 75% Pinot Noir e 25% Chardonnay, fermentato ed affinato in acciaio, con malolattica non svolta, 57 mesi sui lieviti e disaggio di 9 grammi/litro.

Denominazione: Champagne
Vino: Grand Cru Carte d’Or
Azienda: Camille Saves
Anno: –
Prezzo: 23 euro

Il bicchiere è paglierino, con bolle copiosissime e sottili e aromi freschi e semplici, fragranti, di crema pasticcera, con un bel contrappunto minerale

L’assaggio è aggrumato, minerale, gessoso, molto intenso, ricco, estremamente fresco nonostante il dosaggio (non certo risicato ma per nulla fastidioso).
In bocca è pieno, di ottimo equilibrio e con una lunghezza degna di nota.

Il bello: ottimo prezzo in relazione alla qualità. Fresco e minerale
Il meno bello: poco reperibile

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Champagne Grand Cru Cuvée 555, Voirin-Jumel

Ho comperato una cassa di Champagne prodotti da piccoli recoltant manipulant dei quali so poco o nulla, giusto di qualcuno avevo letto la ragione sociale chissà dove. Per sceglierli mi sono fidato di qualche descrizione letta sul sito dell’importatore (L’Etiquette: lo consiglio perché è stato puntualissimo nella consegna ed estremamente cortese) e soprattutto dalla provenienza da qualche villaggio particolarmente vocato, magari battezzato Grand Cru o 1Er Cru.
So bene che si tratta di criteri aleatori, ma volendo assaggiare qualcosa di nuovo a prezzi umani è sempre meglio che tirare a caso, no?

Uno dei primi vini che ho tolto dalla cassa è prodotto dalla azienda  Voirin-Jumel, la cui scheda pubblicata sul sito de L’Etiquette parla di “vigneti che si estendono su dodici ettari, frazionati in ben 11 villaggi, tutti in aree Gran Cru o 1er Cru, della Cote des Blancs, tranne una parcella a Mareuil su Ay” … “La vinificazione è fatta in vasche di acciaio termoregolate ed anche l’affinamento, con eccezione di quanto riguarda la Cuvée 555 che viene affinata in 11 barriques di parecchi passaggi. La pressatura è fatta con una pressa orizzontale pneumatica a plateau inclinato. Gli champagne subiscono una filtrazione leggera”.

cuvee-555E’ proprio la Cuvée 555 che ho stappato: i dati tecnici parlano di Chardonnay da vigneti Grand Cru al 100%, con malolattica non svolta, affinamento in legno, 72 mesi sui lieviti e 8 grammi/litro di dosaggio.
Bottiglia elegante e caratteristiche interessanti mi predispongono ad aspettative altrettanto importanti: vediamo.

Denominazione: Champagne
Vino: Grand Cru Cuvée 555
Azienda: Voirin-Jumel
Anno: –
Prezzo: 26 euro

Nel bicchiere è giallo quasi dorato, con perlage finissimo alla vista ma soprattutto in bocca.
Gli servono dei minuti: il tappo non è bello e appena stappato è gnucco, muto e pesante. Temo il peggio. Con i giri di orologio si ingentilisce; il naso si arricchisce di note gessose minerali e aggrumate, espressive ed eleganti

L’assaggio è molto fresco, ampio, largo non nel senso della robustezza ma di una persistenza inusuale in tutta la capienza della bocca. Fresco per acidità ma anche oltre, grazie ad agilità e dinamicità.

Un finale leggermente amaro e una bevibilità non record lo azzoppano lggermente, ma devo dire che il tappo non era meraviglioso… vorrei provarne una seconda bottiglia in modo da avere un riscontro.

Il bello: dinamico, fresco, buon prezzo
Il meno bello: occorre tempo, finale leggermente amaro

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Bianc ‘d Bianc Alta Langa 2008, Cocchi

Dopo più di un anno torna l’assaggio di questo prodotto di Cocchi: rimando dunque al post precedente per qualche considerazione più generale.

Devo dire che se il millesimo 2007 lo ricordavo di ottimo livello, questo 2008 (sboccatura 2014), pur ben fatto, mi ha appagato meno.

Denominazione: Alta Langa DOCG
Vino: Bianc ‘d Bianc
Azienda: Cocchi
Anno: 2008
Prezzo: 24 euro

Visivamente paglierino, al palato rivela una bella bolla, finissima, mentre l’olfatto riporta una accenno vegetale un po’ fuori registro, condito da lieviti e da un lontano ricordo di tabacco e caramello.

Il vino è molto delicato, si beve con facilità ed è dotato di grande equilibrio; purtroppo non è particolarmente lungo, e sento un dosaggio in leggero eccesso. Nel complesso è una bevuta facile, piacevole, disimpegnata: nulla di male, anzi, ma da una bottiglia di lungo affinamento ci si aspetta qualcosa in più a livello di complessità.

Il bello: buon equilibrio, bevuta facile
Il meno bello: dosaggio avvertibile, complessità limitata

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Terre sospese

La minuscola cantina Terre Sospese di Andrea Pecunia a Riomaggore è uno dei segreti della straordinaria viticultura delle Cinque Terre, fatta di piccoli produttori che si impegnano a mantenere (e manutenere) un territorio che definire impervio è ovvio eufemismo. Per chi non avesse idea dell’ambiente meraviglioso e durissimo con cui i vignaioli si confrontano, credo sia sufficiente sbirciare le foto sul sito…
Siamo nell’ambito dei cosiddetti vini naturali, quindi niente di niente viene aggiunto: no a lieviti selezionati, solfiti, filtrazioni e chiarifiche; largo spazio invece alla macerazione sulle bucce, e fermentazione e affinamento sono svolti in anfore di terracotta.

terreSospeseDenominazione: Vino bianco
Vino: Terre Sospese
Azienda: Terre Sospese
Anno: 2013
Prezzo: 20 euro

Al sodo: il bicchiere (un blend di Vermentino, Bosco e Bianchetta) è paglierino lattiginoso, torbido, con una decisa puzzetta di zolfo e chiuso che comprime il fruttato di uva matura.
Il sorso è molto sapido e semplice, con poco corpo e poco calore (anche se l’alcol in etichetta c’è, eccome), accompagnato da una certa morbidezza che ricorda ancora il succo dell’uva da tavola. Mi ricorda chissà perché le bollicine di Solouva.
E’ una bevuta veloce, dissetante, tutto sommato piacevole nella sua imperfezione, da servire sicuramente sui 15 gradi.

Da riprovare una seconda bottiglia per confermare le caratteristiche errabonde e randomiche da “super naturale” oppure per essere smentiti (per capirci, me ne avevano parlato in termini molto più lusinghieri)…

Il bello: molto godibile, nonostante le imperfezioni

Il meno bello: puzzette e rusticità in eccesso, prezzo troppo alto

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Zero Infinito Pojer e Sandri

Il faccione baffuto di Mario Pojer l’ho sbirciato molte volte in varie manifestazioni vinicole, dove era presente come espositore ma spesso anche come visitatore: segno che l’uomo ama capire, assaggiare, confrontarsi.
Dal 1975 a Faedo, lui e il socio Fiorentino Sandri, anno dopo anno sono riusciti ad ingrandirsi e ad introdurre innovazioni tecnologiche, fino costruire una ampia e solida gamma di vini tipici del territorio (e in verità anche di distillati e aceti) che tra gli appassionati gode di ottima reputazione.

zeroIl risultato di una di queste ricette che miscelano tecnologia, creatività e ricerca è lo Zero Infinito, un vino bianco biologico, rifermentato in bottiglia, che deve il suo nome al felice slogan: “ZERO impatto chimico: ZERO in campagna e ZERO in cantina”.
Il vino è prodotto da uva Solaris, un incrocio ottenuto in Germania proprio nel 1975 (l’anno di fondazione di Pojer e Sandri) coltivata a circa 800 metri di altitudine. La varietà ha la caratteristica di essere resistente a molte malattie, consentendo quindi l’eliminazione dei trattamenti in vigna.

Denominazione: IGT Vigneti delle Dolomiti
Vino: Zero Infinito
Azienda: Pojer e Sandri
Anno: 2014
Prezzo: 15 euro

Bello e interessante il progetto, ma i risultati?
Il vino è proposto con tappo a corona, in bottiglia trasparente che lascia vedere il deposito di lieviti sul fondo: come sempre in questi casi l’assaggio può dunque essere effettuato in duplice maniera: decantando oppure “mescolando” i residui.

Nel bicchiere troviamo un liquido paglierino torbido,  lattiginoso, e i primi richiami olfattivi sono nettamente aromatici, tanto che alla cieca mi sentirei certo di azzeccare un sauvignon. Quindi ovviamente erbaceo in primo piano, poi mela verde e pera acerba, forse pure anche menta e zenzero.

In bocca c’è coerenza con quanto annusato, quindi è subito evidente l’acidità, decisa, che aggredisce con un sorso sicuramente verticale, persino quasi astringente.
E proprio l’assaggio è un po’ anche il limite del vino: si esaurisce tutto in questa sensazione, oltretutto abbastanza corta, senza riuscire ad integrarsi con altre caratteristiche: aromaticità e acidità così intense e poco bilanciate paradossalmente frenano la bevibilità che risulta lievemente compromessa. Nulla di grave, ma ritengo ci sia ancora da lavorare per “dare ciccia” attorno alle sensazioni che per ora prevalgono.

Il bello: grande freschezza

Il meno bello: mancano complessità e lunghezza

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Tenuta Il Falchetto Brut

La scorsa settimana ad Acqui Terme ho gironzolato qualche minuto nella bella Enoteca Regionale per scampare al caldo formidabile del pomeriggio, e mi è stato proposto il Brut della Tenuta Il Falchetto, una azienda di Santo Stefano Belbo che, a giudicare da quanto leggo sul sito, gestisce un bel po’ di ettari e si dedica alla produzione di una vasta gamma di bottiglie, tutte comunque legate a vitigni del territorio, a parte Chardonnay e Pinot Nero.

Denominazione: VSQ
Vino: Brut
Azienda: Tenuta il Falchetto
Anno: –
Prezzo:18 euro

La scheda tecnica dice solo che si tratta di Chardonnay e Pinot Nero con almeno tre anni sui lieviti, nulla di più…
Purtroppo il vino, pur senza difetti e gradevole, non mi ha lasciato grandissime impressioni; sicuramente positiva la parte visiva, con un bel paglierino illuminato da catenelle fitte e sottili, ma già portando il calice al naso emergono note di panificazione troppo predominanti che sotterrano il resto dello spettro, lasciando una impressione un po’ monocorde.

L’assaggio poi conferma le perplessità a causa di una bolla un po’ grossolana e di una acidità che, seppure ben presente, resta relativamente slegata dal resto del sorso, che in definitiva risulta poco dinamico e interessante.
Anche il dosaggio mi ha dato idea di essere leggermente troppo invadente.

Quindi nessun difetto, ma neppure elementi particolari di distinzione, e soprattutto la bevuta è leggermente faticosa.

Il bello: nessun difetto, prezzo corretto per un metodo classico con almeno tre anni sui lieviti

Il meno bello: dosaggio un po’ invadente, bevuta leggermente faticosa

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Cascina Garitina reloaded: ritorno in Monferrato

In un Monferrato rovente, dopo il passaggio dello scorso mese, sono tornato con un pochino più di calma a visitare Cascina Garitina, stavolta accolto dal titolare Gianluca Morino.

1Ricapitoliamo: siamo a Castel Boglione, in provincia di Asti, a pochi chilometri da Nizza Monferrato, nel cuore della zona storica per la produzione della Barbera: è proprio grazie agli sforzi di Gianluca (a lungo presidente della associazione dei produttori) che dal 2016 la bottiglie di Barbera DOCG esibiranno la denominazione Nizza, veicolando quindi non più solo un vitigno ma un territorio e una tradizione.

I vigneti di Cascina Garitina, fondata nel 1908, si estendono per circa 26 ettari e sono coltivati non solo con la pur predominante Barbera (della quale sono presenti alcune vigne molto vecchie), ma anche con altre varietà: Brachetto, Dolcetto, Pinot Nero, Merlot e Cabernet Sauvignon.
Gianluca mi ha guidato sulla collina adiacente alla cantina: in una giornata torrida i suoi curatissimi vigneti (si nota la evidente differenza con quelli adiacenti) sono comunque relativamente “vivibili”: siamo a circa 280 metri di altitudine ma soprattutto c’è una costante brezza che arriva dalla direzione del mare a mitigare l’afa.2

Gianluca spiega con semplicità (ma con altrettanta precisione) le varie fasi della conduzione, mostra i diversi terreni, indica le vigne vecchie, racconta del progetto di mettere sul mercato tre diversi cru di Barbera…
Soprattutto colpisce la differenza con tante tipiche visite al produttore: qui si cammina tra i filari, vivaddio non in cantina tra fermentatori e diraspatrici, e soprattutto non si parla in termini roboanti e/o poetici di lieviti autoctoni, di naturalità e solforosa. Semplicemente, Gianluca racconta con entusiasmo e decisione il suo lavoro e le sue idee: ad esempio della predilezione per il tappo a vite, oppure di come nelle sue visite negli USA ha visto crescere il consumo dei vini rosati e allora pronti via ecco una nuova tipologia che si aggiunge alla già nutrita lista di referenze, o ancora del perché sia voluto uscire dal consorzio del Brachetto.

Dopo la vigna si passa alla degustazione: è troppo caldo per stappare i grossi calibri, meglio concentrarsi sui vini che possono essere serviti freschi, quindi il rosato diAmanti, il  Morinaccio (una Barbera rifermentata naturalmente in bottiglia) e lo ‘pseudo-Brachetto’ (pseudo: come scritto sopra Cascina Garitina è uscita dal consorzio e vinifica l’aromatico con alcune particolarità non previste dalla DOCG).

Denominazione: Vino rosato
Vino: diAmanti Rosè
Azienda: Casina Garitina
Anno: –
Prezzo: 5 euro (in azienda)

Del Morinaccio conto di scrivere prossimamente, mi piace invece lasciare subito qualche nota sul rosato, tipologia spesso (ingiustamente) trascurata.
Questa è la prima vinificazione del diAmanti (mi sembrava di ricordare Dolcetto, ma spulciando su internet pare si tratti di Dolcetto, Barbera e Merlot), e già da ora colpisce: è un vino coraggioso a partire dalla bottiglia elegante ed insolita, di fatto senza etichetta, con solo un piccolo bollo trasparente a riportare le indicazioni di base, capace di mettere in grande evidenza il bellissimo colore rosa acceso, quasi porpora, del vino.

Ma è il bicchiere che, a coloro che sono abituati ai rosati anonimi e senza personalità, regala piacevoli sorprese: gli aromi sono semplici e fragranti di frutta fresca (ciliegia in particolare) e di rosa, e l’assaggio è deciso, con l’ingresso rinfrescante per le notevoli acidità e sapidità e poi una piacevole chiusura in cui torna la ciliegia e un richiamo al vino rosso giovanissimo.

Quel che è certo è che la bevibilità è assassina: l’alcol, pur attestato sui canonici 12.5%, neppure si avverte e questo diAmanti, se servito freschissimo, è di un imperdibile compagno di bevute estemporanee, di aperitivi o persino un valido accompagnatore dei crudi di pesce; di sicuro in una giornata afosa è impossibile non finirlo, ed è difficile chiedere di meglio ad un vino che viene venduto a circa 5 euro in cantina.
Facendolo salire un po’ più di temperatura chissà come si comporterebbe con una zuppa di pesce…

Il bello: rinfrescante, bevibilissimo, semplice con personalità

Il meno bello:  niente da segnalare

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Saver, Monteversa

Estate e caldo, poca voglia di bere cose impegnative e alcoliche.

Oltretutto è troppo tempo che non torno sulla categoria dei rifermentati in bottiglia, bottiglie spesso semplici ma appaganti, che in qualche modo trovo essere una sorta di anello di congiunzione tra il vino e alcune birre (penso alle fermentazioni spontanee e alle blanche). Soprattutto molto adatti alla stagione.

L’occasione capita durante una degustazione di prodotti di Monteversa, azienda biologica situata in provincia di Padova, nella zona dei colli Euganei: il vino che mi ha convinto di più è quello che potremmo definire un Prosecco Colfondo (mi pare che l’uva sia 100% Glera), ma in realtà si tratta di un prodotto senza denominazione.

Denominazione: Vino bianco
Vino: Saver
Azienda: Monteversa
Anno: –
Prezzo:10 euro

L’aspetto è canonico per la tipologia: paglierino pallido, opalescente, ma quello che impressiona è la straordinaria mineralità, declinata in accenti soprattutto sapidi e pietrosi, accompagnati da un bel aggrumato, limonoso, fresco senza per fortuna arrivare alla acidità bruciante; il quid in più è un guizzo difficilmente definibile, se non forse in qualche lontano richiamo animale (che mi sia lasciato trasportare dalla analogia con il lambic?).

Quanto sopra, unito alla bassa gradazione e magari ad una temperatura di servizio adeguatamente fresca, restituisce una bevuta decisamente irresistible, che non sfigura col passare dei minuti, quando il liquido inevitabilmente si scalda di qualche grado.

Il bello: semplice ma gradevolissimo, adatto all’estate e di buona personalità

Il meno bello: nulla da segnalare

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Solleone 2011, Tenuta Grillo

A volte ritornano, e infatti dopo due anni ho nuovamente bussato a casa di Igea e Guido Zampaglione per riprovare qualcuno dei loro vini; nella fattispecie è toccato ad una bottiglia davvero curiosa, almeno per chi come me non crede troppo nelle potenzialità di certi vitigni internazionali nel Monferrato, in particolare per il Sauvignon, che ritengo un oggetto da maneggiare con le pinze.
Mi spiego: la particolare (e robusta) aromaticità del vitigno, soprattutto in climi caldi, rischia di partorire vini estremamente caratterizzati, stucchevoli e faticosi da bere, insomma caricature di quegli esempi di eleganza che provengono da certi produttori della Francia…

Questo Solleone è dunque la particolare interpretazione del Sauvignon da parte di Guido, che aggredisce il frutto con 60 giorni di macerazione(!) e due anni di affinamento sui sedimenti.

tenutagrillo_solleoneDenominazione: Monferrato bianco
Vino: Solleone
Azienda: Tenuta Grillo
Anno: 2011
Prezzo:15 euro (in azienda)

Sessanta giorni di macerazione, dicevamo, e si sentono, ma per fortuna neppure troppo, nel senso che visivamente il liquido è giallo oro antico, compatto, luminoso, solcato da appena un velo di residuo, mentre l’olfatto racconta di erba di campo, fiori di camomilla, frutta matura ma non cotta o surmatura, e di un inusuale accenno a metà tra liquirizia e balsamico.
Il tutto accompagnato da un vago accenno di volatile che, lungi dal mortificare la bevuta, esalta lo spettro aromatico, mentre il sorso pieno e fresco nasconde alla grande i 13.5 gradi e chiude molto lungo, lasciando sul palato un accenno di tannino

Di sicuro l’abbinamento non è semplice, soprattutto se non si vuole ricorrere agli scontati formaggi… magari sarebbe da provare con una brandade di baccalà, e la temperatura di servizio è necessariamente da cantina o anche poco più.

Il vino è piacevole, ma a me resta un dubbio più “filosofico” (vabbè, non esageriamo) che degustativo: chi, alla cieca, direbbe trattarsi di un Sauvignon? Chi ne azzarderebbe la provenienza dal Monferrato?  Secondo me, molto pochi.
Per qualcuno, in tempi in cui si abusa di discorsi su territorialità e rispetto del frutto, questi possono essere limiti non da poco.

Il bello: lunghezza, aromaticità gradevolissima e tenuta a bada

Il meno bello: abbinamento complesso

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Terroir Vino: anno uno

Ad un certo punto è stato chiaro che Terroir Vino (TV, d’ora in poi) non sarebbe mai più stato lo stesso, e ne parlavo qui, spiegando le ragioni del mio affetto per una delle manifestazioni meglio organizzate.
Forse solo a Summa, da Lageder, mi è altrettanto piaciuto trascorrere una giornata tra banchetti e produttori, e devo dire che la prima edizione di Mare&Mosto è stata pur essa di alto livello.

Infondo non chiedo mica la luna (cit.): certo, una buona selezione di produttori, ma poi tanto spazio, ché io odio la calca e urlare per farmi sentire, poi tanta acqua a disposizione, il libricino con i partecipanti completo dell’elenco dei vini in modo che sia comodo prendere una nota al volo, a disposizione non solo pane e grissini ma anche altro cibo (magari a pagamento, certo) e tante sputacchiere spesso svuotate. Ah, il guardaroba se è inverno. TV aveva tutto (guardaroba a parte, ma a giugno non serve).

tv1Così alla fine è successo: dopo cinque anni di teutonica organizzazione presso i Magazzini del Cotone, la manifestazione è cambiata, approdando in una (bellissima) villa in centro città, sempre a Genova. L’arrivo è piacevole: certo meno agevole coi mezzi pubblici della precedente location, poiché dalla stazione è meglio prendere l’autobus, ma (incredibile) c’è un ampio parcheggio gratuito all’interno; non solo: un notevole giardino a prima vista garantisce adeguato spazio di “decompressione”.
Però.
Però i produttori sono in numero minore rispetto alle passate edizioni, soprattutto hanno poco spazio e i visitatori anche meno: io sono arrivato verso le 15 ed era quasi impossibile muoversi e parlare.
I cestini del pane erano sempre riforniti ma io e altri abbiamo sentito la mancanza di qualcosa di più da mettere sotto i denti, e non nascondo che tra diversi produttori interessanti ne ho trovati alcuni un po’ così… e due o tre banchetti erano abbandonati dal produttore (perlomeno al momento del mio passaggio).

Soprattutto deludente la “Degustazione dal basso” cui ho partecipato: “Champagne Diligent, unorthodox blends”. Sulla carta era una figata assoluta, visto che il sottotitolo prometteva “… alcuni rarissimi Champagne monocultivar fuori dai comuni schemi …”, ma il laboratorio si è risolto in un bel pasticcio: se la qualità non al top (eufemismo) dei vini proposti poteva non essere un problema (infondo lo scopo era quello di esplorare bollicine da varietà inusuali, non assaggiare selezioni stellari), sicuramente è stato drammatico il fatto che il relatore parlasse solo in inglese: una parte consistente dei partecipanti non capiva la lingua e dopo pochi istanti si è innescato il classico meccanismo del telefono senza fili (“che ha detto?”). Risultato: un casino micidiale di gente che parla riportando informazioni sconclusionate (sentito con le mie orecchie: dopo un paio di passaparola il petit meslier è diventato petit meunier…), così dopo pochi minuti il relatore si è limitato a far sbicchierare i vini, ad elencarne i cépages e a parlottare con i partecipanti più vicini.
Ma la cosa più fastidiosa è che gli stessi vini, distribuiti dallo stesso relatore che elargiva le medesime “spiegazioni”, erano disponibili nel primo banchetto incontrato all’ingresso, annullando di fatto il valore del laboratorio.20150622_175827

Cerchiamo di non fraintendere, TV2015 ha avuto comunque begli spunti (i sorprendenti banchetti affiancati di AIS, ONAV e FISAR, il parcheggio comodissimo, il bel giardino attorno alla villa, il comunque considerevole numero di produttori presenti) e sono consapevole che la manifestazione non si esaurisce nella giornata di degustazione ma comprende anche il Baratto Wine Day, il Garage Contest e le Conferenze; ho però avvertito una cura minore nei dettagli e soprattutto una netta carenza di identità, credo dovuta al fatto che il patron Filippo Ronco è alla ricerca di una formula nuova (non ancora trovata), utile a valorizzare al meglio il suo Grassroots Market e che questa edizione di TV sia stata una sorta di “anno uno”, un tentativo non completamente riuscito che ha comunque potuto poggiare sulle solide basi di tanti anni di organizzazione, lasciando presagire di meglio e di più per le prossime edizioni.

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