Come si individua il limite tra sperimentazione sterile, un po’ fine a se stessa o (peggio) messa in campo per stupire con effetti speciali, e la sana volontà di rompere gli schemi per cercare di stimolare e proporre nuove esperienze?
Naturalmente stiamo parlando di ristorazione, e il dubbio è sorto dopo un passaggio alla Antica Osteria Magenes, alle porte di Milano.
Già in partenza il ristorante si pone in maniera ambivalente, con una proposta che oscilla tra tradizione e sperimentazione: la carta presenta alcuni piatti classici (ad esempio cotoletta e risotto giallo) accanto a suggestioni più esotiche (penso alla Spirale di foie gras, uva fragola, robiola di capra, fave di cacao, o ai Ravioli di mortadella, ostriche, nocciole e shiso), e soprattutto una serie di menu (quattro) tematici ma a sorpresaa tema, che lasciano mano libera allo chef.
Il motivo di questa apparente schizofrenia è la storia del locale, che nasce appunto come osteria e poi evolve dopo l’ingresso in cucina e in sala dei figli dei proprietari storici.
In una situazione del genere la cosa migliore è affidarsi ad uno dei percorsi di degustazione, in modo da ricavare una panoramica più ampia possibile sulle idee di cucina dello chef. Nello specifico ho deciso per il menu “A-mare”.
Le portate sono state molte e varie, e non ha molto senso farne l’elenco, visto che mi pare di capire che la proposta sia piuttosto variabile: in alcuni casi i sapori sono piacevolmente decisi (ricordo in particolare una sorta di fagotto di pasta scotta (volutamente) ripiena di vongola, la arachide soffiata con wasabi), mentre con altri si resta tutto sommato indifferenti (il finto pomodoro ripieno vegetale), ma questo è normale all’interno di un percorso piuttosto lungo (anche troppo, circa tre ore) e variegato.
Lascia semmai più perplessi una certa tendenza alla spettacolarizzazione poco votata al risultato finale (due per tutti: il frattale di anice camomilla, miele e lamponi, che pure è molto buono ma che per poter creare il suo effetto ottico è arduo da raccogliere dalla scodella, e il cioccolato bianco, frutta e bottarga, nel quale per dare un tocco di giusta sapidità al dolce si è optato per il “famolo strano” del pesce, a mio modestissimo modo di vedere piuttosto fuori luogo) e l’incongruenza sulla dimensione delle portate, alcune così lillipuziane da renderne difficile la decrittazione gustativa, per poi presentare quasi in chiusura di cena, quando si è inevitabilmente quasi sazi, due piatti dalle porzioni molto più generose del necessario (un risotto e un polpo).
Sia chiaro che non parliamo della classica lamentela del recensore di TripAdvisor che lamenta di dover far seguire un successivo passaggio in pizzeria per calmare l’appetito, al contrario da Magenes si esce ovviamente più che sfamati, semmai non sarebbe male rimuovere un paio di passaggi in modo da rimpolpare leggermente i rimanenti e compattare anche i tempi di servizio.
Note a contorno della cena: la bella sala elegante, senza sfarzi pacchiani ed illuminata in maniera estremamente intelligente, risulta un po’ troppo rumorosa, il servizio è professionale e non ingessato, il pane è di buon livello ma non eccessivo come varietà.
Bella la carta dei vini, con incursioni di interessante personalità anche in Francia e dai ricarichi corretti.
Conto finale non banale ma tutto sommato adeguato.
Buona esperienza, che potrebbe essere migliorata decidendo di arginare spettacolo e di tecnica in favore di un superiore saldo di concretezza.