Pietranera 2014, De Bartoli

Da Pantelleria e da uve Zibibbo ci si aspetta qualcosa di diverso dal passito?
Normalmente no, ma a casa De Bartoli sanno e vogliono stupire, quindi ecco appunto uno Zibibbo 100%, vinificato in secco con uva da vigne ad alberello di oltre sessanta anni di età che insistono su suolo vulcanico. Le rese sono, ovviamente, bassissime.
A seguire, criomacerazione, pressatura soffice e fermentazione in acciaio grazie ai lieviti indigenti; si tratta quindi di un ibrido particolare di antica fattura in vigna e di qualche “malizia” tecnologica in cantina.

Denominazione: Terre Siciliane IGP
Vino: Pietranera
Azienda: Marco De Bartoli
Anno: 2014
Prezzo: 20 euro

Se l’idea affascina, il bicchiere tutto sommato non delude ma neppure entusiasma, presentandosi con un paglierino carico di avvolgente educata aromaticità dove la sensazione morbida di lyci e di salvia è molto presente senza per fortuna sfondare il livello di guardia. A contorno, qualche accenno di macchia mediterranea e persino un ricordo ad un giovane riesling.

L’assaggio veicola l’alcol in maniera quasi impercettibile, e anche l’acidità è decisamente contenuta.
Quando pensi che ok, è un “vinino che non c’è la fa” e pazienza, arriva una buona botta salina che rimette in piedi il tutto; si chiude con un richiamo amarognolo che dona spessore e personalità e con una inaspettata lunghezza.

Vino particolarissimo, solo in parte mediterraneo visto che per certi versi inganna con sensazioni nordiche, comunque personale ma di abbinamento non facile: forse crostacei o magari il salmastro delle ostriche da contrastare con la morbidezza.

Il bello:  Inconsueto e leggero, facile da bere

Il meno bello: Mancano un po’ di acidità e di grinta

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Chablis premier cru Côte de Léchet 2012, La Chablisienne

Ancora Chardonnay.
Dopo gli ultimi due post dedicati ad interpretazioni di questo stesso vitigno, ma è un caso: questa righe sono relative ad una bottiglia che avevo assaggiato diversi mesi fa e che per qualche motivo era rimasta in anticamera di pubblicazione.

Dopo l’intermezzo italiano torno a stappare una bottiglia francese, nuovamente Borgogna, ma da una sottozona particolarmente distinta: precisamente Chablis, la parte più settentrionale di questo territorio, dove le caratteristiche di clima, territorio e metodologia di produzione sono completamente differenti.
L’unico elemento comune è appunto il “cépage”, lo chardonnay.

La Chablisienne è uno dei pochi produttori di Chablis facilmente reperibili in Italia, immagino a causa del fatto che si tratta di una cooperativa con volumi considerevoli  e con conseguente ampia gamma di categoria e prezzo.

Denominazione: Chablis 1er cru AOC
Vino: Côte de Léchet
Azienda: La Chablisienne
Anno: 2012
Prezzo: 23 euro

In questo caso parliamo di un Premier Cru con qualche anno alle spalle, che  però si mostra di colore paglierino luminoso, giovane e fresco.

Le sensazioni olfattive ci permettono di sfoderare il famigerato minerale, che si sviluppa in accompagnamento ad un tocco vegetale (foglia di limone) e a ricordi di fiori bianchi. Tutto piuttosto intenso, ma non troppo espressivo.

L’assaggio denota immediatamente una acidità estremamente elevata, altro tassello nella trama giovanile del vino, che garantisce buone possibilità di invecchiamento.
Peccato però che in aggiunta allo sviluppo verticale (notevole, peraltro) non ci sia molto altro: il centro del sorso riporta in primo piano le sensazioni erbacee e il corpo è piuttosto esile, con un finale non memorabile.

Vino senza difetti ma che non regala particolari emozioni: può funzionare discretamente in accordo a crostacei e crudi di pesce.

Il bello: freschezza, gioventù

Il meno bello: monotono, manca il guizzo

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Giarone 2011, Poderi Bertelli

Quando tra appassionati terminali si discetta di un vitigno assai démodé sbuca subito fuori lo Chardonnay: lo “chardo” è grasso, rotondo e glicerico, e oggi il trend è tutto per i vini verticali, acidissimi e spigolosamente rustici.
In aggiunta, tanto quanto si sorvolano con una frettolosa alzata di spalle gli chardonnay nostrani, al contrario si mitizzano quelli dei cugini d’oltralpe; certo ci sono spesso validi motivi, ma sfido a negare che non si sia esagerato con la ricerca spasmodica del vitigno autoctono sfigato e con le vinificazioni iper rustiche ed ancestrali.

Così, proprio come accade con gli eterni ricorsi fashion di pantaloni che da stretti stretti in pochi anni si tramutano in larghi larghi, mi aspetto che prima o poi gli enomaniaci riprendano a bere (e a parlare) di vini se non, orrore, barricati, perlomeno più convenzionalmente definibili puliti, ben fatti, godibili.

In questa categoria dei vini non dico dimenticati, semmai “sorvolati”, mi pare sia stato ficcato il Giarone, un classicone accantonato in questi tempi di acidità violente e di anatema verso le botti piccole, anche perché la località di produzione (Costigliole d’Asti, tra Langhe e Monferrato) è terra di grande tradizione vitivinivola autoctona, e invece l’eretico produttore Bertelli su queste zolle si muove con in testa i modelli di riferimento francesi: marsanne, roussanne, chardonnay, syrah eccetera.
Insomma, una roba così old school che oggi sembra quasi futurista!

Denominazione: Piemonte Chardonnay DOC
Vino: Giarone
Azienda: Poderi Bertelli
Anno: 2011
Prezzo: 38 euro

Dorato pieno, decisamente materico già alla vista, tanto che quando quando il bicchiere arriva al naso non fa che confermare quel che ti aspetti: un bel concentrato di frutta tropicale (ananas condito con il rum), un accento di speziatura alla vaniglia in sottofondo e qualche fiore. Detta così è da anticristo degli enostrippati moderni e invece, pur nella sua esuberanza, mantiene un certo contegno elegante.

In bocca è decisamente pieno e caldo, morbido, forse anche per un leggero  e ruffiano residuo zuccherino, e dunque emergono i suoi limiti: l’alcol viene fuori in maniera un po’ eccessiva e la freschezza pur presente non riesce a tenere a bada il sorso che risulta troppo monolitico
L’idea è persino quella di una vendemmia surmatura ma chissà…
Curiosamente, con tutta questa polpa, a centro sorso manca un po’ di allungo, mentre il riscatto lo propongono una lunghezza non indifferente e tutto sommato una bella versatilità a tavola: grazie a struttura e intensità riesce ad essere un buon compagno di primi e secondi e anche di qualche fine pasto fatto di formaggi.

Il bello: pulito, ricco, potente

Il meno bello: un po’ monocrode

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