Champagne Brut Grand Cru Millesime 2009, Camille Saves

Altra bottiglia di un produttore dal quale fino ad oggi ho sempre ricevuto buone impressioni qualitative, con il bonus di prezzi sempre civilissimi.
Ricordo che l’azienda possiede 10 ettari nella zona della Montagna di Reims, quindi particolarmente vocati per il pinot nero, a Bouzy, Ambonnay e Tours sur Marne (tutti classificati Grand Cru) e a Tauxières (Premier Cru) sè. La produzione è piccola e si aggira sulle 85.000 bottiglie.

L’etichetta sembra di quelle di prestigio: è un Grand Cru formato da Pinot Nero all’80% e Chardonnay al 20% dalla vendemmia 2009. Vinificazione e fermentazione in acciaio inox,  malolattica non svolta, ben 5 anni di affinamento sui lieviti e disaggio di 8 g/l.

champagne-camille-saves-millesime-2009-brut-gcDenominazione: Champagne
Vino: Champagne Brut Grand Cru Millesime 2009
Azienda: Camille Saves
Anno: 2009
Prezzo: 25 euro

Il bicchiere è piuttosto curioso, se il colore è il solito bel paglierino carico, la bolla sembra invece stranamente un po grossolana, peraltro già la prima sniffata mette tutto a posto: potente, floreale e ricco di agrume (l’ananas in particolare), magari non particolarmente complesso ma godibilissimo.

La paventata rozzezza della carbonica in bocca non si sente, e il sorso è pieno, grasso non di mollezze e vaniglia ma di gusto fruttato e di robustezza che sembra crescere col passare dei minuti. Notevole l’acidità, che regala una decisa scossa al palato, per nulla appiattita da un dosaggio inavvertibile; la materia importante è ben equilibrata dalla freschezza e da un discreto allungo.

Non è un fuoriclasse, non ne ha la profondità, ma è certamente un campioncino di bevibilità: funziona bene prima e durante i pasti, a patto di abbinarlo a preparazioni non troppo strutturate.

Il bello: ricco, si beve bene

Il meno bello: manca un po di complessità

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Brut Cascina Clarabella

Col passare degli anni mi sono leggermente allontanato dal fenomeno Franciacorta, sia chiaro non certo per motivi di snobismo visto che provo grande ammirazione per l’operosità dei produttori e le attività di un Consorzio del quale si legge tutto e il contrario, ma che agli occhi dell’appassionato si muove con passo ben diverso rispetto ad analoghe istituzioni di altre zone.

Poco da dire anche sulla qualità: oltre alle ben note punte di eccellenza, a mia esperienza non risulta nulla meno che dignitoso; trovo semmai un certo appiattimento nella fascia media, una generica mancanza di identità, a fronte di prezzi non propriamente contenuti; forse per questo motivo la mia voglia di bolle negli ultimi tempi è stata soddisfatta un po’ meno dai bresciani e un po’ di più da francesi, da trentini, oltrepadani e piemontesi.

E’ quindi con piacere che sono tornato a comperare un vino che mi aveva accompagnato nei primi passi della mia carriera da “alcolista non professionista”, il Brut di Cascina Clarabella, azienda situata tra Corte Franca e Iseo, che oltre alla produzione vinicola si occupa di altre attività (agriturismo, alloggi, fattoria didattica eccetera) e soprattutto intraprende, come recita il sito, con il fine di “promuovere percorsi di cura ed assistenza e di sviluppare attività produttive per la creazione di opportunità lavorative per persone con disagio psichico”.

franciacorta-brut-docg-cascina-clarabella-75-clDenominazione: Franciacorta DOCG
Vino: Brut
Azienda: Cascina Clarabella
Anno: –
Prezzo: 16 euro

Il vino in questione è composto di un assemblaggio di Chardonnay al 95% e Pinot nero al 5%; la fermentazione avviene in acciaio inox per l’85% e per il 15% in barriques, segue poi l’affinamento a contatto con i lieviti che varia dai 20 ai 28 mesi.

Nel bicchiere è canonicamente perfetto alla vista, con un paglierino luminoso e perlage fitto e sottilissimo. L’olfattivo è sottile: principalmente agrumi e un ricordo floreale.
All’assaggio è morbido: le bolle accarezzano e la acidità è corretta ma un po’ mortificata da un dosaggio che forse potrebbe essere più leggero. Chiude il sorso un tocco di tostato, forse retaggio della piccola quota di vino passato in barrique. Buona lunghezza.

Vino del tutto esente da difetti, certo piacevole come aperitivo, ma che mi piacerebbe ritrovare con una anima più decisa e coraggiosa, in sostanza una verticalità meno arrotondata dal dosaggio.

Il bello: prezzo educato, vino piacevole
Il meno bello: leggero eccesso di morbidezza

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Brut Millesimato 2009, Monsupello

Torricella Verzate, Oltrepò Pavese: è qui che la famiglia Boiatti conduce i 55 ettari dell’azienda Monsupello, uno dei nomi storici del vino italiano, e una delle eccellenze della sua spumantistica.

Nella mia testa Monsupello occupa la stessa casellina in cui ho collocato Haderburg: il metodo classico italiano a prezzi civili che magari non arriva ai livelli monumentali di certi mostri storici d’oltralpe ma neppure delude mai, insomma il lido cui approdare quando si è in cerca di sicurezze piuttosto che di avventure, e se ogni tanto mi capita di assaggiare il Brut “base”, ammetto che da un bel po’ di tempo mancavo l’appuntamento con il millesimato, in questo caso targato vendemmia 2009, quindi una volta avvistatolo non potevo non portarlo a casa.

Bottiglia dalla etichetta sobria e vagamente retrò, e vino a base pinot nero (90%), con piccolo saldo di chardonnay. La metodologia di produzione dichiarata è quella dell’uso di mosto fiore, fermentato e affinato in acciaio; da qui l’assemblaggio dei vini e il tiraggio con la aggiunta di altro vino, zucchero e lieviti, l’imbottigliamento e il riposo sui lieviti per almeno 55 mesi. Si termina con la sboccatura e l’aggiunta del liqueur di spedizione.

monsupelloDenominazione: VSQ
Vino: Brut Millesimato
Azienda: Monsupello
Anno: 2009
Prezzo: 25 euro

Il bicchiere presenta un liquido paglierino carico con riflessi dorati e una bolla da manuale: finezza e copiosità di questo tipo le ho viste raramente, e la sensazione in bocca risulterà di conseguenza estremamente carezzevole.
L’olfattivo è in linea: delicatissimo di floreale bianco e frutta acerba. Molto aggraziato.

L’assaggio segna un ingresso succosissimo che prelude al resto del sorso sempre molto pieno, ricco di agrume e con accenni lievitosi. Bella freschezza ma soprattutto grande salinità, il tutto in ottimo equilibrio con l’alcol.
Non ho notizie del dosaggio, ma una certa morbidezza mi lascia pensare che non sia proprio leggerissimo, ma in ogni caso non si raggiungono livelli gustativamente eccessivi.
Corpo e lunghezza sono per nulla banali, e se un difetto proprio lo vogliamo trovare occorre cercarlo semmai in un finale lievemente amarognolo che stona un po’ nel contesto di grande eleganza del resto del vino.

Bottiglia certamente da pasto, e da abbinare a qualcosa di più robusto del classico antipasto di pesce, magari un bel risotto di mare o anche a carni bianche.

Il bello: naso fine e sorso succoso, bel corpo
Il meno bello: finale lievemente amarognolo

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Vinnatur Genova 2016

Non ho voglia di parlare di assaggi, non avevo il blocchetto degli appunti e trovo sempre più noioso l’elenco del telefono dei nomi segnati in piedi nella folla che poi lo rileggi a casa come se stessi decifrando il vangelo aramaico.
Semmai parliamo dell’evento: cosa dire ancora della manifestazione che annualmente Vinnatur porta in Liguria? Ormai da due anni, dopo alcune edizioni a Sestri Levante, Vinnatur si è trasferito a Genova, in pieno centro, in uno splendido edificio storico, ma di questo già scrivevo lo scorso anno.

vinnaturE infondo potrei solo ripetermi, perché di fatto la formula (ormai rodata e vincente) giustamente si tocca: la location si raggiunge facilmente con i mezzi pubblici, è accogliente, c’è spazio, c’è il guardaroba, c’è sempre pane e acqua ai banchetti dei produttori, c’è lo spazio della gastronomia, c’è il depliant con la mappa dei partecipanti. Eccetera.
Non posso poi non notare che il posizionamento in pieno centro città, e forse anche l’aver legato alla manifestazione altri eventi in alcuni locali genovesi, ha trascinato all’ingresso un buon numero di persone evidentemente “non del giro”, novizi del vino, facce nuove incuriosite.

Una nota di merito e una di demerito ai produttori: ho parlato con alcuni vignaioli sorprendentemente onesti, tanto da essere i primi a rimarcare qualche difetto di un loro vino; al contrario, di qualcuno ci si domanda perché partecipi ad una manifestazione se poi non ha il minimo interesse a comunicare con il pubblico…

In mezzo a tutti non puoi non notare il patron Angiolino Maule: magrissimo, l’aria tranquilla di chi si sente a casa ma l’occhio febbrile che guizza l’ennesimo cenno di saluto a una delle mille persone che vengono a rendergli omaggio mentre versa il vino. E’ lui, Angiolino, il motore e l’anima della manifestazione, di Vinnatur tutta e di buona parte del movimento dei “vini naturali” italiani, qualsiasi cosa significhi questa definizione ormai abusata.

Cose negative da segnalare?
Forse l’ingresso potrebbe essere un pochino più contenuto, ma comprende anche un buono per una porzione ai banchi della gastronomia e allora va bene così.
Forse l’orario: aprire domenica e lunedì, saltando il sabato, è una scelta che giustamente lascia una giornata (il lunedì, appunto) più dedicata agli operatori del settore e penalizza un pochino gli appassionati, che in maggioranza non prenderanno ferie e sono quindi costretti ad ammassarsi alla domenica, quando per giunta si chiude alle 18.

Ma queste sono inezie, semmai, se un vero limite della manifestazione esiste, è paradossalmente legato alla sua formula: per l’appassionato che partecipa ogni anno a questo raduno (e anche ad altri a tema simile), più o meno la gran parte dei produttori è ben nota, difficilmente capitano grandi scoperte, quindi oltre ai complimenti meritati per l’organizzazione, porgiamo a Vinnatur gli auguri di tante nuove affiliazioni, così da poterci incontrare il prossimo anno a Genova con una decina di produttori inediti in più.

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