Champagne Grand Cru Carte d’Or, Camille Saves

Ancora una bottiglia proveniente dalla cassa acquistata presso L’Etiquette, l’azienda è quella di Camille Saves.
Rubo anche questa volta le note relative al produttore dalla scheda sul sito dell’importatore: “il domaine si estende su circa dieci ettari, impiantati a Pinot Noir nei territori Grand Cru di Bouzy, Ambonnay e Tours-sur-Marne ed a Chardonnay nei territori Grand Cru di Bouzy e 1er Cru di Tauxieres. L’età media delle vigne è di 40 anni” … “la fermentazione si fa in vasche di acciaio termoregolato, non viene svolta la fermentazione malolattica per garantire la freschezza e la ricchezza aromatica dei vini di base, l’affinamento, che tradizionalmente si faceva solo in vasche di acciaio, negli ultimi anni, per le cuvée pregiate, si fa anche in botti di legno”

carte-orAncora una volta si tratta di un Grand Cru, ma stavolta non di uno Chardonnay al 100%, bensì di un blend 75% Pinot Noir e 25% Chardonnay, fermentato ed affinato in acciaio, con malolattica non svolta, 57 mesi sui lieviti e disaggio di 9 grammi/litro.

Denominazione: Champagne
Vino: Grand Cru Carte d’Or
Azienda: Camille Saves
Anno: –
Prezzo: 23 euro

Il bicchiere è paglierino, con bolle copiosissime e sottili e aromi freschi e semplici, fragranti, di crema pasticcera, con un bel contrappunto minerale

L’assaggio è aggrumato, minerale, gessoso, molto intenso, ricco, estremamente fresco nonostante il dosaggio (non certo risicato ma per nulla fastidioso).
In bocca è pieno, di ottimo equilibrio e con una lunghezza degna di nota.

Il bello: ottimo prezzo in relazione alla qualità. Fresco e minerale
Il meno bello: poco reperibile

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Champagne Grand Cru Cuvée 555, Voirin-Jumel

Ho comperato una cassa di Champagne prodotti da piccoli recoltant manipulant dei quali so poco o nulla, giusto di qualcuno avevo letto la ragione sociale chissà dove. Per sceglierli mi sono fidato di qualche descrizione letta sul sito dell’importatore (L’Etiquette: lo consiglio perché è stato puntualissimo nella consegna ed estremamente cortese) e soprattutto dalla provenienza da qualche villaggio particolarmente vocato, magari battezzato Grand Cru o 1Er Cru.
So bene che si tratta di criteri aleatori, ma volendo assaggiare qualcosa di nuovo a prezzi umani è sempre meglio che tirare a caso, no?

Uno dei primi vini che ho tolto dalla cassa è prodotto dalla azienda  Voirin-Jumel, la cui scheda pubblicata sul sito de L’Etiquette parla di “vigneti che si estendono su dodici ettari, frazionati in ben 11 villaggi, tutti in aree Gran Cru o 1er Cru, della Cote des Blancs, tranne una parcella a Mareuil su Ay” … “La vinificazione è fatta in vasche di acciaio termoregolate ed anche l’affinamento, con eccezione di quanto riguarda la Cuvée 555 che viene affinata in 11 barriques di parecchi passaggi. La pressatura è fatta con una pressa orizzontale pneumatica a plateau inclinato. Gli champagne subiscono una filtrazione leggera”.

cuvee-555E’ proprio la Cuvée 555 che ho stappato: i dati tecnici parlano di Chardonnay da vigneti Grand Cru al 100%, con malolattica non svolta, affinamento in legno, 72 mesi sui lieviti e 8 grammi/litro di dosaggio.
Bottiglia elegante e caratteristiche interessanti mi predispongono ad aspettative altrettanto importanti: vediamo.

Denominazione: Champagne
Vino: Grand Cru Cuvée 555
Azienda: Voirin-Jumel
Anno: –
Prezzo: 26 euro

Nel bicchiere è giallo quasi dorato, con perlage finissimo alla vista ma soprattutto in bocca.
Gli servono dei minuti: il tappo non è bello e appena stappato è gnucco, muto e pesante. Temo il peggio. Con i giri di orologio si ingentilisce; il naso si arricchisce di note gessose minerali e aggrumate, espressive ed eleganti

L’assaggio è molto fresco, ampio, largo non nel senso della robustezza ma di una persistenza inusuale in tutta la capienza della bocca. Fresco per acidità ma anche oltre, grazie ad agilità e dinamicità.

Un finale leggermente amaro e una bevibilità non record lo azzoppano lggermente, ma devo dire che il tappo non era meraviglioso… vorrei provarne una seconda bottiglia in modo da avere un riscontro.

Il bello: dinamico, fresco, buon prezzo
Il meno bello: occorre tempo, finale leggermente amaro

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Bianc ‘d Bianc Alta Langa 2008, Cocchi

Dopo più di un anno torna l’assaggio di questo prodotto di Cocchi: rimando dunque al post precedente per qualche considerazione più generale.

Devo dire che se il millesimo 2007 lo ricordavo di ottimo livello, questo 2008 (sboccatura 2014), pur ben fatto, mi ha appagato meno.

Denominazione: Alta Langa DOCG
Vino: Bianc ‘d Bianc
Azienda: Cocchi
Anno: 2008
Prezzo: 24 euro

Visivamente paglierino, al palato rivela una bella bolla, finissima, mentre l’olfatto riporta una accenno vegetale un po’ fuori registro, condito da lieviti e da un lontano ricordo di tabacco e caramello.

Il vino è molto delicato, si beve con facilità ed è dotato di grande equilibrio; purtroppo non è particolarmente lungo, e sento un dosaggio in leggero eccesso. Nel complesso è una bevuta facile, piacevole, disimpegnata: nulla di male, anzi, ma da una bottiglia di lungo affinamento ci si aspetta qualcosa in più a livello di complessità.

Il bello: buon equilibrio, bevuta facile
Il meno bello: dosaggio avvertibile, complessità limitata

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Terre sospese

La minuscola cantina Terre Sospese di Andrea Pecunia a Riomaggore è uno dei segreti della straordinaria viticultura delle Cinque Terre, fatta di piccoli produttori che si impegnano a mantenere (e manutenere) un territorio che definire impervio è ovvio eufemismo. Per chi non avesse idea dell’ambiente meraviglioso e durissimo con cui i vignaioli si confrontano, credo sia sufficiente sbirciare le foto sul sito…
Siamo nell’ambito dei cosiddetti vini naturali, quindi niente di niente viene aggiunto: no a lieviti selezionati, solfiti, filtrazioni e chiarifiche; largo spazio invece alla macerazione sulle bucce, e fermentazione e affinamento sono svolti in anfore di terracotta.

terreSospeseDenominazione: Vino bianco
Vino: Terre Sospese
Azienda: Terre Sospese
Anno: 2013
Prezzo: 20 euro

Al sodo: il bicchiere (un blend di Vermentino, Bosco e Bianchetta) è paglierino lattiginoso, torbido, con una decisa puzzetta di zolfo e chiuso che comprime il fruttato di uva matura.
Il sorso è molto sapido e semplice, con poco corpo e poco calore (anche se l’alcol in etichetta c’è, eccome), accompagnato da una certa morbidezza che ricorda ancora il succo dell’uva da tavola. Mi ricorda chissà perché le bollicine di Solouva.
E’ una bevuta veloce, dissetante, tutto sommato piacevole nella sua imperfezione, da servire sicuramente sui 15 gradi.

Da riprovare una seconda bottiglia per confermare le caratteristiche errabonde e randomiche da “super naturale” oppure per essere smentiti (per capirci, me ne avevano parlato in termini molto più lusinghieri)…

Il bello: molto godibile, nonostante le imperfezioni

Il meno bello: puzzette e rusticità in eccesso, prezzo troppo alto

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Zero Infinito Pojer e Sandri

Il faccione baffuto di Mario Pojer l’ho sbirciato molte volte in varie manifestazioni vinicole, dove era presente come espositore ma spesso anche come visitatore: segno che l’uomo ama capire, assaggiare, confrontarsi.
Dal 1975 a Faedo, lui e il socio Fiorentino Sandri, anno dopo anno sono riusciti ad ingrandirsi e ad introdurre innovazioni tecnologiche, fino costruire una ampia e solida gamma di vini tipici del territorio (e in verità anche di distillati e aceti) che tra gli appassionati gode di ottima reputazione.

zeroIl risultato di una di queste ricette che miscelano tecnologia, creatività e ricerca è lo Zero Infinito, un vino bianco biologico, rifermentato in bottiglia, che deve il suo nome al felice slogan: “ZERO impatto chimico: ZERO in campagna e ZERO in cantina”.
Il vino è prodotto da uva Solaris, un incrocio ottenuto in Germania proprio nel 1975 (l’anno di fondazione di Pojer e Sandri) coltivata a circa 800 metri di altitudine. La varietà ha la caratteristica di essere resistente a molte malattie, consentendo quindi l’eliminazione dei trattamenti in vigna.

Denominazione: IGT Vigneti delle Dolomiti
Vino: Zero Infinito
Azienda: Pojer e Sandri
Anno: 2014
Prezzo: 15 euro

Bello e interessante il progetto, ma i risultati?
Il vino è proposto con tappo a corona, in bottiglia trasparente che lascia vedere il deposito di lieviti sul fondo: come sempre in questi casi l’assaggio può dunque essere effettuato in duplice maniera: decantando oppure “mescolando” i residui.

Nel bicchiere troviamo un liquido paglierino torbido,  lattiginoso, e i primi richiami olfattivi sono nettamente aromatici, tanto che alla cieca mi sentirei certo di azzeccare un sauvignon. Quindi ovviamente erbaceo in primo piano, poi mela verde e pera acerba, forse pure anche menta e zenzero.

In bocca c’è coerenza con quanto annusato, quindi è subito evidente l’acidità, decisa, che aggredisce con un sorso sicuramente verticale, persino quasi astringente.
E proprio l’assaggio è un po’ anche il limite del vino: si esaurisce tutto in questa sensazione, oltretutto abbastanza corta, senza riuscire ad integrarsi con altre caratteristiche: aromaticità e acidità così intense e poco bilanciate paradossalmente frenano la bevibilità che risulta lievemente compromessa. Nulla di grave, ma ritengo ci sia ancora da lavorare per “dare ciccia” attorno alle sensazioni che per ora prevalgono.

Il bello: grande freschezza

Il meno bello: mancano complessità e lunghezza

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