Slow Wine 2012

Slow WineContinuo a pensare che le guide in genere e quelle dei vini in particolare servano a poco e che i punteggi siano una mostruosità che sfiora il ridicolo; nonostante questo per il secondo anno consecutivo mi sono sciroppato due ore di trasferta in auto per assistere alla presentazione della guida che più rientra nei miei canoni di leggibilità: Slow Wine.

Ora, siccome il mio approccio eretico al mondo del vino prevede che le bottiglie si aprano a tavola e si scolino con accanto forchetta e coltello e non taccuino e penna (o peggio smartphone), trovo che la degustazione seriale con la quale ci si approccia a queste occasioni sia moralmente ed esteticamente paragonabile all’ascolto dei dischi o alla visione dei film al tempo di youtube (cerchi qualsiasi cosa, trovi qualsiasi cosa, inizi a fruirne e se gradisci nei primi 10 secondi tutto bene, altrimenti via con la prossima ricerca), quindi un abominio.

Detto quanto sopra, i provinciali come me che non hanno frequentemente grandi occasioni di assaggio, difficilmente resistono alla tentazione di calarsi in un giardino dei balocchi di “1000 etichette, 600 cantine“, dunque, si parte sfidando il nevischio autostradale e lo sguardo severo di Carlin Petrini, ché sul sito l’organizzazione chiede di arrivare in bici, con i mezzi pubblici o con il “Road Sharing”; purtroppo la distanza, Tenitalia e l’indole personale spazzano via le tre opzioni nell’ordine.

Slow WineLa degustazione inizia alle 15 e ho la mattinata per girare in un Salone del Gusto non ancora strabordevole di visitatori; in particolare ho la possibilità di “fare fondo” col cibo in previsione della tempesta alcolica del pomeriggio.
Si potrebbero scrivere righe gustose (ma non è il caso) sulla fenomenologia dei vari visitatori del Salone (me compreso), che svariano senza soluzione di continuità dagli scofanatori abbruttiti di qualsiasi cosa abbia vaghe sembianze edibili (e tutte sono, rigorosamente “buonissime, senti qui!”), ai fighetti che conoscono tutti i formaggi della Slovenia e ne discettano con competenza facendo le pulci al produttore.

L’ubicazione del Rito è descritta come la “scenografica Rampa Nord del Lingotto”; scopro, chiedendo, che occorre uscire dal Salone del Gusto e camminare a casaccio lungo il perimetro del gigantesco complesso, poi, da qualche parte (dove?) rientrare. Dopo essermi perso richiedo, e stavolta mi dicono di salire al primo piano, attraversare il centro commerciale interno al Lingotto e poi scendere. Poco prima di chiamare la protezione civile mi sono fortunatamente scontrato con una carovana di altri dispersi adoratori di Bacco: assieme ci siamo fatti forza e abbiamo raggiunto il campo base. Prima nota per l’Organizzazione del prossimo anno: mettere qualche cartello e spiegare agli inservienti dove è la degustazione potrebbe essere una opzione non sgradevole.

All’ingresso, nuovo piccolo disagio: io, come molti altri, ho acquistato il biglietto via internet proprio per evitare le code, ma se tu, Organizzazione, vuoi che TUTTI (sia coloro che hanno pagato, sia quelli che devono ancora pagare) debbano stare nella stessa fila perché TUTTI devono ricevere un bigliettino che TUTTI consegneranno 10 centimetri più a lato per poter ricevere il classico bicchiere, è chiaro che il vantaggio di avere pagato una settimana prima è quantomeno discutibile. Se poi c’è una sola macchinetta che stampa il bigliettino in questione, e se si inceppa, e se i ragazzi addetti non hanno idea di come estrarre e rimettere il nastro, mi sovviene una altra annotazione geniale per l’Organizzazione: due file distinte, due macchinette (e magari una di backup) e un minimo di istruzione agli addetti.

Slow WineFinalmente entro, e scopro che la scenografica Rampa di cui sopra è, effettivamente, una rampa concentrica che si snoda dal piano terreno fino alla sommità del complesso, e ad ogni piano sono ospitate diverse regioni.
Lasciando perdere il fatto che le regioni presenti ad ogni piano sono segnalate con un pittoresco cartoncino vergato con penna a punta fine, e tralasciando che non mi è stata fornita neppure una piantina con gli espositori (che però immagino esistesse, perlomeno mi pare di averlo sbirciata nelle mani di pochi fortunati), resta che questa distribuzione logistica costringe gli eccentrici che volessero organizzare la propria visita secondo la sequenza spumanti-bianchi-rossi-dolci ad un saliscendi abbastanza estenuante.
Quindi, altre note per l’Organizzazione: ad una mostra il cui ingresso costa 50 euro mi piacerebbe non si dimenticassero di fornirmi una mappa e che i cartelli fossero leggibili; se poi si riuscisse ad avere tutti i produttori alla stessa quota altimetrica, sarebbe il massimo.

Slow WineInizio il giro dei produttori e scopro che tutti i vini spumanti e bianchi sono caldi: pare siano stati messi in fresco da solo 30 minuti; ne consegue l’ennesima nota per gli Organizzatori: ricordare il noto teorema che dice che una bottiglia immersa nel ghiaccio non scende alla temperatura desiderata nel volgere di un desiderio.

Dopo svariate discese ardite e risalite della Scenografica Rampa, trovo modo di scomodare ancora una volta l’Organizzazione: molti banchi avevano una sputacchiera in comune per più produttori, per di più piuttosto piccola. In una manifestazione così affollata la cosa può rivelarsi particolarmente spiacevole, e non vado oltre.
Ultima raccomandazione: verso le 17.30 le bottiglie d’acqua fornite per sciacquare bicchieri e bocca erano terminate in molti banchetti; credo che si potessero coprire le spese di qualche cartone di minerale aggiuntiva…

Commento finale sulla manifestazione: la scelta del Lingotto è felice (facile da raggiungere con i vari mezzi e ben dotato di parcheggio), ovviamente la selezione di vini è clamorosa, c’è ricca offerta di grissini e parmigiano per asciugare lo stomaco, nonostante la folla gli spazi sono vivibili e il personale FISAR è molto cortese; di contro, capisco che il punto di forza di questo evento siano la qualità e la quantità dei vini, ma una rassegna di questo tipo e il relativo costo di ingresso devono poi godere di una pianificazione di pari livello: lo scorso anno a Milano il tutto mi era sembrata decisamente meglio organizzato.
Vedremo il prossimo anno, tanto sono sicuro di ricascarci.

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Retsina Ritinitis Nobilis

[Disclaimer: bottiglia gentilmente omaggiata da Avionblu nell’ambito della iniziativa “15 recensioni in cerca di autore”. Il prezzo si aggira attorno ai 15 Euro]

Parli di Retsina e a molti viene in mente un bianco greco poco importante che deve la sua particolare fama ad un esagerato aroma di resina; in realtà si parla di storia dell’enologia: 2000 anni fa ad Atene la resina di “Pinus Halepensis” veniva usata come sigillo per preservare dall’ossigeno il vino nelle anfore, caratterizzando di conseguenza l’aromaticità del prodotto. Passati i secoli, la resina viene semplicemente aggiunta al mosto d’uva durante la fermentazione.

retsinaLa commercializzazione di un vino dozzinale è proprio il contrario di quello che si prefigge il produttore di questo “ritinitis nobilis“, che già dalla bottiglia elegante palesa l’ambizione di riposizionare la tipologia in ambito qualitativo più elevato.
La chiusura a vite garantisce l’assenza di aromi indesiderati, e l’etichetta dichiara l’utilizzo di uve selezionate (varietà Roditis, raccolta a Corinto), di processi produttivi allo stato dell’arte e di una aggiunta di resina attentamente bilanciata.

Il vino si presenta cristallino, giallo paglierino-verdolino e abbastanza consistente; il naso è intenso, dominato dalla resina e dal suo distintivo sentore mentolato-balsamco, quasi di eucalypto.
In bocca la sensazione resinosa è ancora sensibile ma fortunatamente meno marcata; il calore risulta poco percettibile (12 gradi supportati da un corpo discretamente presente); queste caratteristiche, unite alla particolare aromaticità e ad una acidità spiccata, quasi citrina, donano estrema freschezza all’assaggio.
Al retro-olfattivo torna la resina, con una chiusura leggermente mandorlata non particolarmente lunga.

In conclusione, un vino che suscita curiosità sia per l’afflato storico che per la provenienza e la metodologia produttiva inusuale. Sicuramente non un vino quotidiano o un Grande Vino, ma un prodotto di personalità, diverso da quanto siamo soliti assaggiare e nel quale può essere divertente immergersi per una piccola esplorazione storico-sensoriale, magari accompagnati da fritture o da piatti con una buona speziatura, o persino da portate di pesce arricchito di erbe aromatiche.

 

 

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Karlsmühle Lorenzhofer Mauerchen Riesling Kabinett 2007

Ancora vini del nord, ancora riesling: il produttore è Karlsmühle e siamo a Mertesdorf, lungo il fiume Ruwer (Mosella) e i vigneto di provenienza è Lorenzhof.
Si tratta di un kabinett tradizionale, quindi siamo alla base della piramide di qualità dei Qmp  (Qualitätswein mit Prädikat) e c’è residuo zuccherino.
Karlsmühle L’aspetto è tipicamente nordico, cristallino, dorato scarico.
Il naso è intenso, molto minerale e con una nettissima albicocca disidratata, poi miele; lasciandolo scaldare leggermente nel bicchiere, il profumo si esalta fino a diventare quasi inebriante, restando comunque  elegante e fine.
Al palato il residuo zuccherino è sensibile ma non stucchevole grazie alla notevole acidità. Si averte un lievissimo residuo carbonico;. freschissimo e sapido. Tornano nettamente in evidenza l’albicocca secca e il miele, e si aggiunge la pesca.
Piacevolmente semplice da bere e di bassa gradazione (9 gradi), l’unico difetto è una lieve carenza di corpo  e il finale non lunghissimo, anche se di discreta persistenza.
Abbinamento classicamente scontato (e difficile, per i non amanti della tipologia dei riesling tradizionali): salmone e gamberi, oppure come aperitivo.

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Varie espressioni del Sangiovese

Conosco poco di ONAV ma sono iscritto alla newsletter della delegazione di Genova, che mi pare organizzi con discreta frequenza degli eventi interessanti; l’ultima mail proponeva un incontro a tema “Il San Giovese in varie sue espressioni” e il 3 Ottobre ho deciso di andare a vedere di cosa si trattava.

Intanto complimenti per l’organizzazione: l’evento si è tenuto in un salone in peno centro città, facilmente accessibile sia con l’auto che con il treno, spazioso e comodo nonostante la nutrita presenza di appassionati e con un sistema video e audio dignitosi. Sembra poco ma non è così scontato.
Non ultimo, il prezzo abbordabile (15 euro i non soci, 10 i soci).

L’incontro era in realtà una passerella di alcuni prodotti della azienda Tenimenti Angelini, produttore di dimensioni ragguardevoli, con tenute che si estendono in varie parti d’Italia; la conduzione è stata affidata ad un responsabile commerciale (Dino Torrione), oltre che ad un enologo “super partes” (Marco Quaini, che, per la cronaca, a suo tempo fu il mio docente alle prime due lezioni del corso AIS).

Abbiamo dapprima ascoltato una breve presentazione della azienda (che dichiara di affidare la fermentazione ai soli lieviti autoctoni, di controllare le temperature, di ricorrere a botti di media dimensione, riservando le barrique solo a certi cru, e di evitare la filtrazione), poi l’introduzione ad alcune declinazioni del sangiovese a seconda del differente territorio (Siena, Montalcino e Montepulciano), e infine la degustazione guidata.

Un breve riepilogo delle principali denominazioni provenienti dai terroir in questione

DOC
DOCG
Siena
 
Chianti Classico (80% sangiovese)
Montalcino
Rosso (100% sangiovese grosso) Sant Antimo
Brunello (100% sangiovese grosso. Invecchiamento 5 anni – 6 per la riserva)
Montepulciano
Rosso (70% sangiovese prugnolo gentile)
Nobile (70% sangiovese prugnolo gentile)

Le impressioni di assaggio:

1- Rosso di Montalcino Val di Suga 2010 (il prezzo in enoteca dovrebbe aggirarsi attorno ai 10/12 euro)
Rubino limpido, scarico con qualche riflesso granata, buona consistenza.
Al naso frutta rossa matura e spirito (ciliege, amarene, prugne) e leggera speziatura.
All’assaggio è decisamente caldo e materico; discrete acidità e tannicità; sicuramente morbido e con una certa persistenza.
Piacevole, ma senza nulla di particolare per farsi ricordare.

2- Nobile di Montepulciano Tre rose 2009 (prezzo sui 12-15 euro)
Rubino limpido, scarico con accenno granata; più vivo al colore e forse meno consistente rispetto al vino precedente.
Secondo me l’olfattivo è lievemente meno intenso e più fine del precedente, più votato al floreale, mentre opinione esattamente opposta è stata espressa  da chi conduceva la degustazione.
In bocca è caldo, morbido, abbastanza tannico, intenso e abbastanza persistente. Mi è parso meno fresco del precedente.

3- Chianti Classico San Leonino 2008 (prezzo sui 12-15 euro)
Rubino carico, più denso e consistente dei precedenti.
Olfattivo abbastanza intenso, non particolarmente complesso: frutta rossa non troppo matura, e un curioso tocco aranciato.
Al gusto mi è parso leggermente meno caldo e morbido rispetto agli altri vini, e con una acidità lievemente più presente. Il tannino è sempre dolce, rotondo.

4- Chianti Classico Riserva Mosenese 2007 (prezzo sui 20-25 euro)
Rubino vivace e quasi impenetrabile, consistente.
Naso intenso e di una certa complessità: si iniziano a sentire accenni di tabacco e spezie.
In bocca è potente, di gran corpo e di buona lunghezza. Tannino morbido.

5- Brunello di Montalcino Val di Suga 2007 (prezzo sui 20-25 euro)
Rubino non troppo carico, riflessi aranciati. Abbastanza consistente.
Olfatto floreale (viola) e di frutta rossa matura ma non troppo. Spezie dolci.
Al gusto è caldo, morbido, rotondo, con un tannino dolce. Non troppo fresco.

La mia personalissima conclusione è che si tratta di vini ben fatti, corretti, senza sbavature, con prezzi corretti e pronti da bere fin da subito anche nelle denominazioni che teoricamente necessiterebbero di maggiore attesa.
Di contro ho riscontrato un costante calore e lieve mancanza di acidità: insomma, in generale si tratta di “vinoni”, piacevoli all’assaggio, ma temo poi difficili da bere in quantità, se non in accompagnamento a robusti piatti di cucina non certo quotidiana.

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Kerpen Wehlener Sonnenuhr Riesling Spatlese 2007 Trocken

Andiamo per ordine, che con i vini stranieri non sempre è tutto facile, e in Germania il casino si moltiplica.
Dunque, il vitigno è riesling e il produttore è Kerpen. Siamo a Wehlen, nella regione tedesca della Mosella, una delle più vocate per questa tipologia di vini. Fino qui è tutto facile.
Wehlener Sonnenuhr è il vigneto, classificato Erste Lage (che sarebbe a dire di prima categoria), comunque per questi termini e per quanto riguarda Spatlese e Trocken vi rimando ad un altro post informativo che conto di scrivere a breve.


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KerpenL’annata assaggiata è il 2007, dunque, parlando di riesling, si tratta di un prodotto ancora giovane: si dice che questi vini partano semplici e fruttati in gioventù per dare il massimo dopo un paio di lustri, arricchendosi di complessità (il mitico sentore di idrocarburo).
Il tappo è in vetro e ne sono contento: inizio a nutrire molte riserve sull’uso del sughero a tutti i costo;conto di scrivere qualcosa a proposito.
La bottiglia in questione si è rivelata leggermente spiazzante.
Vino limpido, di colore giallo paglierino molto vivo con riflessi dorati, abbastanza consistente. Il naso è abbastanza intenso e complesso, di discreta finezza e rivela miele, fiori bianchi, pesca bianca, agrumi, the, gesso, un timido accenno di idrocarburo.
Buone freschezza e sapidità, persistenza non banale.
In bocca entra leggermente dolce, con accenno di succo di mela, poi è subito secco.
Peccato il finale leggermente amaro, di mandorla, che ne sciupa lievemente la pulizia e la finezza.
In generale il vino è un pochino troppo grasso, e, stranamente, non sembra avere grande potenziale evolutivo. La sensazione di squilibrio forse deriva anche dal alcol, fuori scala per un tedesco (di solito tra 7 e 11), e i 13 gradi si sentono troppo.

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